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    Il nuovo status symbol dei paperoni? Avere famiglie molto numerose

    Credit: Unsplash

    Non più borse, auto o ville. In un’epoca di precarietà e inflazione, crescere tre o più figli rappresenta il segno più visibile della ricchezza. Economica, morale e di tempo

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 7 Nov. 2025 alle 17:16

    Un tempo, il lusso era rumoroso: si mostrava con la carrozzeria lucida, la villa con piscina, il cane di razza. Oggi, invece, è diventato silenzioso, discreto, quasi etico. Non si misura più in oggetti, ma in persone. Il nuovo status symbol — forse il più potente, e certo il più costoso — è la famiglia numerosa. Tre, quattro, cinque figli: un tempo segno di normalità, oggi dichiarazione di potenza. In un’epoca di inflazione, affitti insostenibili e precarietà diffusa, poter crescere più di un figlio è una forma di privilegio visibile, una dimostrazione concreta di stabilità economica, tempo libero e ottimismo verso il futuro. Avere figli — molti figli — è il nuovo modo per dire: “posso permettermelo”.

    Gerarchia del benessere
    Il simbolo di status del lusso per eccellenza potrebbe non essere più un oggetto fisico come una borsa rara o un’auto sportiva, ma piuttosto la capacità di sostenere una famiglia ampia e serena. Come ha scritto il Financial Times in un articolo apparso nell’estate 2025, «nelle economie sviluppate l’ultimo vero segno di ricchezza non è ciò che si possiede, ma ciò che si è in grado di mantenere». È un passaggio culturale profondo: il consumo ostentato non ha più la forza di un tempo, perché tutto è diventato replicabile, accessibile, “democratizzato”. Le borse firmate si noleggiano, le auto di lusso si condividono, i viaggi esclusivi si comprano a rate. Ma i figli no. I figli restano il bene più costoso, più impegnativo e più irriproducibile. Avere una famiglia numerosa è diventato un segnale di vera ricchezza: non tanto materiale, quanto esistenziale. Implica sicurezza, spazio, tempo, e una rete di supporto invisibile fatta di reddito, nonni disponibili, aiuti domestici, flessibilità lavorativa. È una forma di “lusso umano” — la possibilità di dedicare tempo e risorse a molti, mentre il resto della società fatica a mantenere se stessa. In un contesto di incertezza globale, questa scelta si colora anche di valori: ottimismo, tradizione, fiducia nel futuro. E proprio per questo diventa il nuovo linguaggio simbolico delle élite.
    Nelle economie avanzate, il costo di un figlio cresce proporzionalmente al reddito: non solo perché aumentano le spese dirette (abitazione, scuola, assistenza), ma perché cresce la pressione sociale a “fare bene”. I figli diventano progetti educativi, investimenti emotivi, status symbol morali. In Italia, secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, mantenere un figlio fino ai 18 anni costa tra 120 e 180 mila euro. Una cifra che sale vertiginosamente se si aggiungono università, corsi, viaggi, sport. In questo contesto, una famiglia con tre o più figli appartiene quasi inevitabilmente a una fascia socioeconomica alta o altissima. Ecco la nuova “ereditocrazia”: il privilegio di potersi riprodurre. Chi può permettersi figli numerosi, tramanda non solo il proprio patrimonio, ma anche la possibilità stessa di continuare a esistere nel tempo — biologicamente, culturalmente, simbolicamente.

    Il confronto Usa, Ue, Italia
    Negli Stati Uniti, la famiglia numerosa è tornata di moda tra le élite economiche e culturali. È la versione contemporanea del “family brand”: una combinazione di stabilità, fede nei valori tradizionali e capacità di investimento. Già nel 2015 Business Insider osservava che «quattro figli erano i nuovi tre», e che famiglie con cinque bambini non erano più considerate “pazze o religiose”, ma semplicemente ricche. Nel 2025, la newsletter MoneyWithKatie ha ripreso il concetto, definendo la grande famiglia americana un vero e proprio “bene di lusso”: una scelta disponibile solo per chi possiede stabilità economica e flessibilità di tempo. La retorica del “legacy” — la trasmissione del proprio nome, del proprio patrimonio e della propria visione — si fonde con un capitalismo morale: chi ha avuto successo “restituisce” alla società generando vita. Nel paese che ha fatto del sogno individuale la propria religione, la famiglia numerosa diventa la nuova frontiera della distinzione: un atto di ottimismo in un sistema che produce insicurezza.
    Nel Nord Europa, dove il welfare garantisce servizi e sostegni, il numero di figli non dipende solo dal reddito, ma da scelte culturali più equilibrate. In Svezia o in Danimarca, una coppia con tre figli non è necessariamente ricca: è sostenuta da un sistema che riduce il costo individuale della genitorialità. Basti pensare all’assistenza in gravidanza e nel post parto da parte di ostetrice dedicate che settimanalmente si prendono cura della neomamma e del nuovo nato e che fanno della Danimarca un vero paradiso per le mamme (ne parlo nel mio libro “Quello che le madri non dicono”, People Edizioni 2025).
    Nel Sud Europa, invece, la situazione è opposta. L’assenza di politiche strutturali e il costo crescente della vita trasformano la natalità in un fatto privato, e quindi in un lusso. Come ha scritto Thred in un’analisi pubblicata nel 2025, «in un’epoca di crisi del costo della vita, i figli sono diventati il simbolo supremo di sicurezza economica». La Francia resta un’eccezione: politiche nataliste, assegni familiari, incentivi fiscali. L’Italia e la Spagna, al contrario, rappresentano il punto più basso della natalità europea e il punto più alto della concentrazione sociale del privilegio. In molte città europee, la famiglia numerosa è ormai sinonimo di élite urbana: stroller gemellare, tata filippina, scuola privata, brunch domenicale.

    Tra privilegio e necessità
    Nel contesto italiano, la logica dell’ereditocrazia si manifesta in modo contraddittorio. Da un lato, nelle grandi città e nelle aree più benestanti, la famiglia numerosa è diventata un segno di distinzione: tre o quattro figli, casa spaziosa, tempo libero e reti familiari solide. È la dimensione borghese della natalità, dove ogni figlio rappresenta una scelta consapevole e, di fatto, un investimento. Dall’altro lato, nelle fasce sociali più fragili, la presenza di molti figli non ha nulla di simbolico: è il risultato di povertà, mancanza di educazione sessuale, contesti religiosi o culturali tradizionali, e di una rete di welfare che spesso interviene solo dopo. In queste famiglie, i figli non sono status symbol, ma una responsabilità difficile da sostenere. L’Italia è quindi spaccata tra due modelli: l’ereditocrazia dei privilegiati, che moltiplicano il proprio capitale economico e sociale anche attraverso la procreazione; e la natalità della marginalità, dove i figli non generano opportunità, ma spesso ne riducono la possibilità. In mezzo, il grande ceto medio — quello che conta le spese, rinvia decisioni e guarda da lontano entrambe le scene — assiste a questo paradosso: chi può permettersi molti figli non ha bisogno di aiuti, chi ne ha molti ne avrebbe bisogno ma non li riceve.

    Fiducia e distorsione social
    Sui social, la famiglia numerosa è diventata una forma di lifestyle aspirazionale. Nelle immagini curate e luminose, tra tovaglie di lino e bambini in maglioni beige, si racconta un’idea di vita piena, naturale e “sana”. Ma dietro quella serenità estetica si nasconde un lavoro invisibile: risorse, pianificazione, aiuti. La felicità domestica, come la ricchezza, richiede manutenzione. Nel mondo dei social, la famiglia non è solo affetto: è performatività. Ogni foto di gruppo, ogni colazione perfetta, è una dichiarazione di controllo sul caos — un modo elegante per mostrare che si ha tutto: spazio, tempo, stabilità. Una rappresentazione, comunque la si voglia interpretare, molto distante dalla realtà delle famiglie e di figli decisamente più bisognosi di aiuto di quanto un reel su Instagram possa mostrare.
    Nella nuova economia simbolica del benessere, il figlio è diventato il bene di lusso per eccellenza: raro, costoso e socialmente valorizzato. Non si compra, ma si “sostiene” — e il verbo stesso implica un capitale che non è solo economico, ma morale. Avere figli è una dichiarazione di fiducia nei tempi bui, un gesto di tradizione e ottimismo, ma anche la manifestazione concreta della sicurezza materiale. È il segnale di chi può guardare avanti senza temere la prossima rata o il prossimo contratto a termine. Nel linguaggio delle élite contemporanee, la famiglia numerosa è la forma più raffinata di lusso: discreta, etica, intrisa di significato. Mentre il consumo diventa effimero e la visibilità si democratizza, la riproduzione rimane il vero confine tra chi può e chi non può.
    Viviamo in un’epoca in cui il futuro è diventato un bene scarso. E chi può permettersi di generarlo, lo espone con naturalezza, come un tempo si esponeva un orologio d’oro. L’ereditocrazia è questo: la trasmissione del privilegio sotto le spoglie dell’amore. Il lusso oggi non è nel possedere, ma nel permettersi di appartenere al futuro. Lo scrivo da rappresentante del ceto medio, con un figlio solo — tanto amato quanto finanziariamente sufficiente. A volte mi chiedo se potrei permettermi un secondo, e la risposta varia: dipende dal giorno, dalla bolletta e dal tasso del mutuo. Guardo le famiglie con tre o quattro figli e mi sembrano, sinceramente, la nuova aristocrazia — luminosa, sorridente, inespugnabile.

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