Negli ultimi anni ai giovani è stato detto di tutto: «Bamboccioni», «choosy», addirittura «sfigati». Appellativi che suonano beffardi, tanto più quando arrivano dalla classe politica che ci si aspetterebbe aiuti le nuove generazioni a superare gli ostacoli che devono affrontare. Quelle parole risultano ancora più beffarde, tuttavia, se pensiamo che, per quanto il progresso abbia migliorato molti aspetti delle nostre vite, i nati dai primi anni Ottanta in poi si trovano in una situazione in cui ottenere un lavoro stabile e ben retribuito e avere la possibilità di far crescere il proprio patrimonio è molto più complesso di quanto fosse per i propri genitori.
Chi è entrato nel mercato del lavoro a partire dagli anni Duemila si trova infatti in una situazione che non può certo essere definita sicura.
Tanto per cominciare, i contratti si sono fatti sempre più brevi: la Fondazione Giuseppe Di Vittorio ha segnalato come, secondo alcune stime, quelli a termine per gli Under 34 siano saliti dal 19% del 2004 a oltre il 30 del 2024. Non significa automaticamente insufficienza patrimoniale, ma è lo specchio di un mondo del lavoro in cui trovare stabilità è sempre più complicato.
Gli stipendi, poi, faticano a crescere. Nel 2024 hanno registrato un aumento del 2,6%, insufficiente a recuperare il calo dell’8,7 tra il 2008 e il 2024, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
Se consideriamo che affitti e costo della vita sono saliti negli anni, risparmiare per acquistare una casa o costruirsi un patrimonio sembra essere diventato un lusso. E così, sempre più spesso, la linea che separa il merito dall’origine familiare diventa sottile: la possibilità di farcela non dipende solo dall’impegno, ma anche dal punto di partenza, in barba al principio di equità.
Disuguaglianze
Il mito del lavoratore che si è dato da fare e ha saputo risparmiare e investire sembra ormai superato. Si accentua così sempre di più una frattura generazionale, tra chi ha potuto accumulare ricchezza col proprio impegno e chi, pur impegnandosi, non riesce più a mettere nulla da parte.
Così, per tanti giovani una delle poche possibilità per un futuro più stabile passa da un lascito familiare. Case, risparmi, piccoli patrimoni: colonne portanti della vita di una famiglia che una volta si costruivano gradualmente con il lavoro ma che oggi è sempre più difficile accumulare.
La generazione dai Millennials in poi viene dunque a configurarsi come una generazione sospesa, dove l’impegno personale sembra non essere sufficiente e subentra una dipendenza da elementi che non si possono controllare.
Non è una questione di pigrizia come qualcuno vorrebbe far credere, ma una conseguenza strutturale in un mondo in cui il lavoro non garantisce la sicurezza di una volta, le case e gli affitti hanno prezzi più alti del passato, il costo della vita è aumentato e i tassi di interesse di Btp e buoni fruttiferi postali non sono più tali da garantire l’aumento di patrimonio che permettevano qualche decennio fa.
I beni di famiglia rappresentano per tanti un ammortizzatore sociale, sia sotto forma di garanzia per un mutuo sia come semplice bene ricevuto in eredità: per molti giovani, in altre parole, i beni di famiglia diventano un’ancora cui aggrapparsi.
Se prendiamo in esame gli ultimi vent’anni, non possiamo non notare che il peso dei lasciti ereditari sull’economia italiana sia cresciuto notevolmente. Uno studio del National Bureau of Economic Research ha mostrato come il valore complessivo di successioni e donazioni sia passato dall’8% del Pil nel 1995 a oltre il 15 nel 2016 (e secondo alcune fonti oggi si avvicina al 20), in una tendenza che non sembra fermarsi e che, al tempo stesso, aumenta le disuguaglianze.
Uno studio della Banca d’Italia, infatti, nota come parallelamente la ricchezza detenuta dall’un per cento più ricco in Italia sia salita dal 16 al 22% tra il 1995 e il 2016, mentre quella del 50% più povero è crollata dall’11 al 3,5% nello stesso periodo.
In altre parole, l’eredità sta diventando un asset sempre più importante col passare del tempo, ma questo favorisce chiaramente chi viene da una situazione migliore, aumentando in modo progressivo le disuguaglianze e penalizzando le famiglie che hanno meno da lasciare ai propri figli.
In ogni caso, il futuro di tanti dipende da eventi esterni, come l’aiuto economico della famiglia: talvolta anche da eventi particolarmente tristi, come la morte di un parente e il lascito ereditario. Si tratta quindi di un rovesciamento culturale verso l’idea di mobilità sociale e della seria compromissione del concetto di ascensore sociale e del sogno del “self-made man”, ormai sempre più difficile da realizzare.
Effetti collaterali
Ma se la generazione dei Millennials – ossia nati tra gli anni Ottanta e Novanta – oggi rimane in gran parte dipendente dalla propria famiglia e dal suo patrimonio, la situazione per la cosiddetta Gen Z e per quelle successive può essere persino più complessa, in assenza di un cambio di passo.
Più si va avanti con le generazioni e più si ha a che fare con genitori che hanno conosciuto più di frequente lavori instabili e non hanno goduto delle stesse opportunità capitate ai Baby Boomers: in altre parole, più passa il tempo, meno le famiglie rischiano di avere da offrire come lascito ai propri figli in termini patrimoniali.
Al tempo stesso, questo può portare ad altri effetti collaterali, perché le generazioni con meno sostegno economico potrebbero sviluppare una maggiore autonomia dal patrimonio familiare e rappresentare in questo senso un cambio di passo, sviluppando maggiore attenzione a conoscenze, creatività e attitudine al rischio cercando di trasformarli in strumenti concreti per la mobilità sociale.
Quale domani?
Ma a questo punto la domanda nasce spontanea: cosa si può fare per cercare di risolvere una situazione che sul lungo termine rischia di aumentare le disuguaglianze e danneggiare intere generazioni?
Negli ultimi anni un argomento che è riemerso periodicamente è stato quello di introdurre una patrimoniale e reintrodurre la tassa di successione come strumenti volti alla redistribuzione della ricchezza. A prima vista potrebbero sembrare soluzioni in grado di ridurre le disuguaglianze e sostenere i più giovani, ma nascondono un’altra faccia della medaglia che potrebbe, invece, portare all’effetto opposto. In un Paese come l’Italia, dove la pressione fiscale è già tra le più alte d’Europa e dove bisogna affrontare molte difficoltà per tenere in piedi i servizi essenziali, dove i redditi medi fanno fatica a crescere, il rischio è che queste misure rappresentino solo un problema in più. Tasse che non affronterebbero la causa profonda di questo imbuto generazionale e tantomeno andrebbero a risolverla, finendo per colpire solo quelle generazioni che confidano nel lascito della famiglia per costruirsi un patrimonio autonomo senza offrire nuove opportunità a chi ha meno.
I Millennials, dunque, rappresentano un po’ una cerniera in questo processo, sospesi tra passato e futuro, al confine tra le opportunità accumulate da una generazione che ha potuto contare su condizioni favorevoli e la difficoltà di costruirsi una propria autonomia in un’Italia del lavoro instabile, degli stipendi che non crescono e dei prezzi che salgono. E in cui eventuali donazioni ed eredità da parte di una famiglia non li trasformano certo in “Paperoni”, ma potrebbero dare loro un’ancora di stabilità in un clima di incertezza per il futuro.
Se la Gen Z e le successive si ritroveranno con lasciti patrimoniali più bassi, forse inesistenti, la loro eredità sarà costituita da conoscenza e valori: ciò potrebbe portare a una volontà non di accontentarsi e di accettare in silenzio una situazione socialmente difficile, ma di mettere in campo gli strumenti per costruire un futuro migliore per loro e per chi verrà dopo.
Se oggi la stabilità è tutt’altro che scontata e il patrimonio spesso è frutto più di un privilegio che del proprio impegno, la più grande eredità sarà quella che insegnerà alle generazioni future a creare una nuova giustizia sociale in cui ciascuno possa costruirsi autonomamente una vita dignitosa, stabile e in grado di far crescere il benessere proprio e dei suoi cari, senza che sia necessario l’aiuto di nessuno.
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