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    Caro energia: migliaia di lavoratori potrebbero finire in cassa integrazione a settembre

    Di Piera Rocco
    Pubblicato il 30 Ago. 2022 alle 16:27

    Lo spettro delle aziende chiuse per l’aumento delle bollette aleggia dall’inizio del conflitto in Ucraina, anche se velato dalle riaperture dei locali e dalla ripresa della vita dopo la pandemia. E’ impossibile godersi con spensieratezza le discoteche e le stazioni balneari affollate per tutti quei lavoratori in cassa integrazione da mesi, tantomeno per quelli che a settembre dovranno rimanere a casa.

    Alle crisi di sovrapproduzione conosciute negli ultimi anni si sostituisce una tensione causata da mercato delle materie prime. Produttori di piastrelle, acciaierie e vetrerie hanno i quaderni pieni di ordini ma lasciano i dipendenti a casa. L’Industria Vetraia Valdarnese, esempio storico del Made in Italy, ha visto le sue bollette aumentare del 250 per cento. La dipendenza dalle altissime temperature alle quali solo il metano può portare, fa sì che, senza un’azione politica, la sabbia non si trasformerà in vetro quest’autunno. Attualmente i dipendenti di IVV rientrano nelle 14.196.737 ore di cassa integrazione straordinaria approvate a luglio, il 25,2% in più rispetto allo stesso mese del 2021.

    Secondo un rapporto dell’INPS, sono state 202.233 le nuove domande di disoccupazione a giugno scorso (per le prestazioni Naspi e DisColl), il dato mensile più alto del 2022. All’epoca il prezzo del gas era inferiore ad un terzo di quello attuale. “In qualche caso le bollette, che nel luglio 2019 pesavano sul fatturato per il 5%, a luglio 2022 sono arrivate al 24% – dice a Modena Today la CNA locale -. Una situazione insostenibile, come testimoniano le numerose procedure di cassa integrazione attivate oggi dalle imprese energivore, ma che presto si allargheranno ad una platea sempre più numerosa di aziende. Le ceramiche, ma anche le lavanderie, le carrozzerie, i forni, le aziende di trasformazione di prodotti alimentari: sono tantissime le categorie colpite in modo incisivo dalla crisi energetica. Senza interventi tempestivi rischiamo concretamente una crisi economica più dura del 2008-2009 e di quella legata alla pandemia, con gravi ripercussioni sociali”.

    La differenza tra le piccole e le grandi imprese si delinea sempre di più: i piccoli e medi produttori locali non possono mettere al sicuro una parte dei profitti in investimenti finanziari, nel mondo dei contratti derivati dove, come durante ogni crisi, ci sono sacche di profitti immensi. L’incertezza è massima, nonostante non manchino le proposte da parte dei settori colpiti per risolvere il problema: “Tetto nazionale al costo di gas ed energia elettrica, sganciamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas, costituzione con gli extra profitti delle società erogatrici di energia di un fondo per indennizzare le imprese, riduzione al 3% dell’iva su energia elettrica e gas, installazione di impianti fotovoltaici per agevolarne e velocizzarne la realizzazione…”. Queste le proposte del segretario della CNA di Modena, insieme all’ “immediato avvio all’implementazione delle attività estrattive dei nostri pozzi e dei rigassificatori e alla messa a disposizione di incentivi simili a quelli disponibili per i privati per l’installazione di impianti fotovoltaici e geotermici nelle imprese”.

    A chiedere un’azione del governo è anche la Fiom in un comunicato del 25 agosto: “Il numero delle aziende in crisi sta crescendo, si affiancano ai tavoli Whirlpool, ex Ilva, nuovi rischi: Ansaldo Energia, Wartsila, automotive, telecomunicazioni, appalti.”. Il gruppo siderurgico Pittini ha messo in cassa integrazione i 751 dipendenti del suo stabilimento in provincia di Udine. Ci sono poi  aziende che delocalizzano, o che devono fermare la produzione per causa della concorrenza proveniente dai paesi che non sono colpiti dal rincaro del gas o da concorrenti europei con impianti meno energivori. E’ quello che constata Assocarta (associazione di categoria dell’industria cartaria): “Il nostro è un settore tra i più energivori. Il costo dell’energia ha un peso sul prodotto finito di circa il 20%. Perciò se questo costo quadruplica quasi da un giorno all’altro, la cartiera deve trovare il modo di scaricare a valle la spesa aggiuntiva, aumentando il prezzo per chi compra. Oppure si ferma.”. Per ridurre il consumo di gas si dovrebbe ricorrere a soluzioni di “economia circolare” come il riciclaggio o i termovalorizzatori dove bruciare gli scarti della fabbrica stessa per creare energia. “Il macero italiano è in buona parte ancora venduto all’estero.” constatata sempre il presidente di Assocarta.

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