La globalizzazione, le grandi trasformazioni degli ultimi decenni – a cominciare da quella tecnologica –, le nuove schiavitù e il potere incentrato sempre più in pochissime mani sono tra i principali fenomeni che stanno ridisegnando il mondo in cui viviamo. La politica tende a perdere il controllo sull’economia, e il mercato detta le sue regole. Si è creato, così un mondo di illusioni in cui i consumatori pensano di essere liberi, ma in realtà sono intrappolati in un sistema che li sfrutta. È la “Economia canaglia”, come la definisce nel suo nuovo libro (pubblicato da Solferino) Loretta Napoleoni, economista nota a livello internazionale.
Professoressa, come spiegherebbe in parole semplici il concetto di «economia canaglia»?
«Si tratta di un fenomeno ricorrente. Ci sono nella storia momenti di grandi trasformazioni, durante i quali si creano delle aree grigie, in cui si inserisce l’economia canaglia. È un fenomeno che, invece di lavorare a favore della società, la danneggia. Pensiamo ad esempio agli oligopoli o alle grandi disuguaglianze che si sono avute a livello globale dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi».
Questo libro è uscito per la prima volta vent’anni fa e ora torna in libreria: cosa nel frattempo è cambiato maggiormente?
«Abbiamo deciso di ripubblicarlo soprattutto per educare i giovani. Abbiamo cercato di aggiornarlo, ma in realtà è cambiato molto poco. L’economia canaglia continua a muoversi nella stessa direzione dagli anni Novanta ad oggi, cioè danneggiando la società. Abbiamo aggiornato soprattutto le statistiche, ma viviamo ancora una fase di grande transizione. Anzi, posso dire che molti di quei fenomeni di cui parlavo vent’anni fa ora sono più marcati, provocando forti squilibri».
Una delle tesi più provocatorie del libro è la correlazione tra democrazia e nuove forme di schiavitù. In che modo questi fenomeni possono essere interdipendenti?
«Avevo notato che la schiavitù era aumentata in quei Paesi che avevano abbracciato il fenomeno democratico. In più, oggi esistono nuove forme di schiavitù, come la Gig economy, in cui il lavoratore non ha più diritti e tutele. Si va dai bambini del Congo che raccolgono il litio con cui costruire le batterie per le auto elettriche fino agli adulti che migrano in Occidente e vengono sfruttati lavorativamente affinché noi possiamo mantenere un’illusione di benessere. Questa tecnologia, che doveva renderci più liberi e farci lavorare meglio, in realtà ha creato ulteriori discriminazioni».
Lei scrive che siamo «complici inconsapevoli» del sistema. Cosa possiamo fare concretamente, come cittadini e consumatori?
«Non sappiamo da dove provengono i prodotti che acquistiamo, per cui è difficile avere una condotta etica. Deve essere lo Stato a proteggere il consumatore dalla penetrazione costante dell’economia canaglia. Il consumatore, dal canto suo, deve essere consapevole del fatto che un prodotto che costa poco potrebbe essere stato realizzato attraverso forme di sfruttamento del lavoratore. I cittadini devono mettere pressione alla politica affinché garantisca che i prodotti che acquistiamo non siano stati contaminati dai fenomeni relativi all’economia canaglia».
La politica tende a perdere il controllo dell’economia. C’è un modello politico che secondo lei potrebbe ancora riuscire a “domare” l’economia canaglia?
«Al momento non c’è un modello politico, altrimenti non ci troveremmo in questa situazione. Credo che la situazione politica attuale sia peggiore rispetto a vent’anni fa, come dimostra il ritorno a un nazionalismo pericoloso. Siamo in una fase di grande transizione: da un lato abbiamo la fine di un Occidente industrializzato a capitalismo avanzato, dall’altra l’ascesa di modelli economici diversi, come la Cina o in generale i Brics. Finiamo così per essere contaminati da modelli lavorativi poco equi, dove si creano grandi disuguaglianze. Dobbiamo affrontare questa trasformazione, con la consapevolezza che, al termine di questo percorso, le condizioni economiche e sociali potrebbero anche peggiorare».
È evidente che il divario tra élite economica e cittadini comuni cresca sempre di più: cosa rischiamo se questa frattura continuerà ad allargarsi? È la fine della globalizzazione?
«La globalizzazione è il fenomeno che ha innescato l’economia canaglia. Ora assistiamo a un suo rallentamento: pensavamo che il capitalismo e il benessere si sarebbero diffusi a livello mondiale. Questo non è successo, come dimostrano le differenze di reddito oggi in Occidente che sono ben maggiori rispetto a quarnat’anni fa. Inoltre assistiamo all’ascesa di alcuni miliardari, che da soli “valgono” più del Pil di intere nazioni, cosa che non era mai accaduta nella storia. Il pericolo è che questi individui arrivino a controllare non solo l’economia, ma anche la politica mondiale».
Qual è allora il possibile scenario?
«Potremmo assistere a un cambio di regime in Occidente, come già in parte sta avvenendo, con l’avanzata delle forze populiste, che fanno presa sul bisogno di protezione della popolazione. Ma la storia ci insegna che nel Novecento questo ha portato a due guerre mondiali. Dobbiamo ricordarci che l’Europa unita è nata proprio per garantire la pace, mentre oggi le tensioni in corso dimostrano che purtroppo la guerra è tornata a essere un’alternativa praticabile».
Nel libro parla di obesità e oppioidi come “killer” del mondo ricco: questi fenomeni sono anche il prodotto di un’economia fuori controllo?
«Certamente. Sono esempi classici che spiegano come funziona l’economia canaglia: gli oppioidi sono stati venduti dicendo che non erano tossici, pur sapendo che non era così. Lo Stato avrebbe dovuto verificare, ma è anche vero che moralmente una società farmaceutica non avrebbe dovuto produrli. Viviamo in un’economia canaglia, dove lo scopo ultimo è solo il profitto».
Un altro tema che lei analizza è quello del mercato del sesso.
«C’è stata una liberalizzazione del sesso a pagamento e del sesso come merce. C’è stato un impoverimento dei principi morali, per cui i giovani decidono di postare contenuti su OnlyFans per potersi comprare la borsa firmata. Ormai tutto è merce, a cominciare dai nostri dati, che vengono venduti per condizionarci ad agire secondo l’ottica capitalistica. Per questo l’economia canaglia, basandosi solo sul profitto, finisce per danneggiare la società».
L’economia digitale prometteva libertà e opportunità per tutti, ma sembra aver concentrato il potere in poche mani: pensiamo a Elon Musk o Mark Zuckerberg. È ancora possibile un modello di Internet più democratico?
«L’idea originaria di Internet era quella di un grande equalizzatore, in cui tutti potevano esprimersi, anche in termini economici. In realtà non è stato così. Non credo sia possibile inserire un sistema di censura, perché si trova sempre una via d’uscita. Penso invece si debba lavorare sulla società, instillando specie nei giovani sani principi, anche se non è facile».
Se dovesse aggiornare il libro tra altri vent’anni, quali sono i segnali che oggi la preoccupano di più e che potrebbero determinare la prossima grande trasformazione globale?
«La parte che temo di più è quella legata alla tecnologia. Vent’anni fa, quando ho scritto per la prima volta questo libro, non esisteva la vita virtuale. Cioè qualcosa che non controlliamo noi direttamente, ma un ristrettissimo gruppo di persone. Potremmo andare verso un nuovo Medioevo, in cui queste persone potrebbero rappresentare i nuovi baroni, che decidono della nostra vita, e noi essere dei servi della gleba digitali. Sarebbe un sistema antidemocratico pericolosissimo, il contrario di ciò che pensavamo di ottenere con la globalizzazione».