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    Altro che “bagno di sangue”: le auto green faranno aumentare il Pil

    Secondo il Governo italiano lo stop Ue ai motori termici provocherà una bomba sociale. Eppure studi internazionali dimostrano l’esatto contrario: l’eco-svolta aumenterà l’occupazione. Ma l’elettrico non basta. Serve pure l’idrogeno

    Di Angelo Consoli
    Pubblicato il 26 Feb. 2023 alle 07:00

    Dopo lunghe discussioni, la settimana scorsa il Parlamento europeo ha approvato (con la contrarietà di tutte le destre italiane) la proposta della Commissione per lo stop alla vendita di nuove auto termiche (benzina, diesel, ibride, a metano e Gpl) dal primo gennaio 2035.

    A partire da quella data nell’Ue si potranno immatricolare solo nuove auto elettriche a batteria oppure a idrogeno: basta che non producano emissioni. Sono previste eccezioni solo per chi produce auto termiche in numero inferiore a mille l’anno (il famoso “emendamento Ferrari”), mentre per chi ne produce 10mila il divieto slitta di un anno, al 2036. Ovviamente le auto già immatricolate potranno continuare a circolare.

    Ma gli ambientalisti volevano di più. A cominciare da Greenpeace, che avrebbe anticipato lo stop al 2030 e per voce del direttore europeo Jorgo Riss ha osservato che «l’intero pacchetto si basa su un obiettivo troppo basso, che non fermerà la distruzione dei sistemi di supporto vitali del nostro pianeta».

    Transport & Environment, la federazione europea delle organizzazioni non governative su ambiente e trasporti, ha ricordato che comunque fino al 2035 verranno prodotte e immesse sul mercato 95 milioni di auto termiche.

    Contrari in toto al provvedimento, per ragioni opposte, è invece l’industria automobilistica italiana, che ne teme i riflessi sull’occupazione (l’allora ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani nel 2021 parlò di «bagno di sangue»).

    In realtà il settore è stato già decimato dall’automazione e dalla robotizzazione. La transizione verso vetture meno inquinanti, dunque, lungi dal rappresentare una minaccia: offre semmai una grandissima opportunità all’industria italiana e all’automotive in generale.

    Secondo un report di Motus-E e del Centro di ricerca per l’innovazione nell’automotive gestito dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, si potrebbe guadagnare un +6% in occupazione.

    E anche secondo autorevoli studi internazionali come quello Hydrogen Europe e dell’istituto di studi giapponese MyWealth, diretto dal professor Katsuiko Hirose, fra i posti di lavoro persi e quelli guadagnati si può prevedere una compensazione, e in più ci saranno nuovi posti di lavoro nella filiera green.

    Si prevedono infatti centinaia di migliaia di posti di lavoro supplementari per gli impianti rinnovabili che dovranno fornire l’energia per l’idrogeno verde. Altro che «bagno di sangue».

    Non a caso, in altri Paesi europei le reazioni sono molto positive. In Germania, ad esempio, Herbert Diess, amministratore delegato del gruppo Volkswagen, ha affermato che «Questa è un’opportunità per superare la burocrazia europea nel nome di un interesse superiore e di riportare l’Europa al ruolo di modello globale. Il gruppo Vw è pronto e chiedo a tutti i Paesi membri di sostenere questo pacchetto di iniziative. È una grande occasione! L’elettrificazione delle auto avrà una nuova accelerazione, supportata da obiettivi vincolanti per l’infrastruttura di ricarica».

    E tutta l’industria tedesca, in effetti, più che criticare la decisione, si sta focalizzando sulle questioni pratiche, come l’allestimento di una infrastruttura di rifornimento per le auto elettriche e a idrogeno che metta il Paese in grado di raggiungere l’obiettivo al 2035.

    Lo stesso cancelliere Olaf Scholz ha commentato: «Le nuove misure sul clima incontrano la sfida del secolo, il cambiamento climatico. Il nostro governo farà partire negoziati utili al raggiungimento di questi obiettivi con le necessarie trasformazioni industriali, rapide ed eque per tutti. È una questione di salute pubblica e di posti di lavoro».

    E Svenja Schulze, ministra tedesca dell’Ambiente, ha affermato che «l’Europa segna la strada per la lotta al cambiamento climatico e diventa un volano globale per l’innovazione in questo senso. Le proposte della Commissione dovranno essere vagliate con attenzione, rapidità e in maniera costruttiva, Ci sarà ovviamente un’intensa fase di negoziazione, ma noi faremo la nostra parte per raggiungere un accordo ambizioso, equo e solidale».

    Affinché questo switch storico nel settore automotive possa avvenire anche in Italia, bisognerà normalizzare i prezzi delle auto elettriche e a idrogeno, ancora molto alti, con strumenti quali l’ecobonus per veicoli non inquinanti e magari tornare allo sconto di 10mila euro per chi rottama una vettura inquinante in favore di un’auto a zero emissioni.

    Bisogna costruire nuove infrastrutture di ricarica, attualmente del tutto insufficienti rispetto agli obiettivi europei. Bisogna creare la rete dei distributori di idrogeno (e gli impianti di energia pulita per alimentarli), che in Italia è a zero mentre in Germania ha superato i cento distributori.

    L’idrogeno è infatti strategico per raggiungere l’obiettivo del 2035. Le sole auto elettriche non bastano, sia per i lunghi tempi di ricarica che per la limitata autonomia stradale. L’idrogeno permette di superare quei limiti, ma bisogna sviluppare nuove industrie per la fabbricazione di batterie di nuova generazione (come quello che Stellantis ha annunciato che realizzerà a Termoli), creare nuovi poli industriali per il recupero delle materie, insomma bisogna creare tutta la filiera dell’automotive green con centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.

    Per tutto questo è necessario un intervento deciso della politica. Ma il governo italiano sta andando in un’altra direzione, osteggiando le strategie europee e tentando di ritirare le decisioni messe in campo con il Pnrr dal precedente governo e anche le politiche di ecobonus che hanno permesso una rapida avanzata del settore dell’edilizia verso la sostenibilità.

    Invece bisogna lavorare a un grande piano occupazionale che sostituisca tutti i 60mila impieghi a rischio nell’automotive tradizionale (dati di una ricerca del Clepa) con nuovi posti di lavoro green. E bisogna evitare anche pericolose distrazioni verso false soluzioni come i combustibili sintetici (e-fuels) e i biocombustibili, invocati in nome di una presunta neutralità tecnologica, ma molto meno efficienti in termini di performance ambientali (immettono sostanze climalteranti e tossiche nell’atmosfera) nonché molto più costosi rispetto ai combustibili ricavati dall’energia del sole.

    Negli ultimi vent’anni l’automotive italiano è crollato da circa 1,5 milioni di auto all’anno a meno di 500mila. Oggi, con i nuovi obiettivi posti dall’Europa, abbiamo una storica occasione per rilanciare l’industria italiana dell’automobile. Ma occorre abbandonare le false illusioni e il pensiero fossile. Bisognerebbe, se non è chiedere troppo, seguire un po’ più von der Leyen a Bruxelles e Scholz a Berlino e un po’ meno Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni, in Libia.

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