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Il regresso dell’amore filiale

Di Carlo Albarello
Pubblicato il 23 Lug. 2021 alle 11:19 Aggiornato il 23 Lug. 2021 alle 11:20

Bisognerà prima o poi riconoscere che Maria Grazia Calandrone con Splendi come vita (Ponte alle Grazie, 2021, pp. 224, € 15,50), ripudiata dalla cinquina dello Strega 2021 anche se tra i libri più letti e votati dallo Strega Giovani, tocca e commuove i suoi lettori per la storia della sua adozione, della sua vita e per l’abito linguistico della sua scrittura. E ammettere che al di là dei generi (romanzo e biografia) e dei contenuti attraversati da tale intensissima esperienza estetica, questo romanzo di formazione ci rapisce con una perspicuità che è sempre elegante, con un lessico scavato e pensato all’ossessione eppure lieve, con un periodare ambizioso eppure prodigiosamente aggraziato.

Storia dell’amore indistruttibile di una figlia per la madre adottiva o, secondo una versione più complicata, degli impulsi protettivi nei suoi confronti. La Calandrone felicemente ci manipola, spingendoci a simpatizzare per Consolazione, bionda madre elettiva quando mostra tutta la follia della sua personalità, traboccante di un amore furibondo e possessivo; e rivelandoci a noi stessi, quando parteggiamo per un mondo insensibile, negando all’altro la dignità della sofferenza. “Non l’adozione, bensì la guerra del Vietnam, fu il vero cruccio della mia infanzia”, confessa l’autrice. Non si preoccupa di sentirsi esposta quando scrive, perché nella scrittura consente di non definirla dall’esterno, senza arrivare a conclusioni precipitose.

Cosa ci guadagniamo a voler conoscere la vita di un estraneo? Quando leggiamo le parole private di qualcuno, quando partecipiamo ai suoi momenti più vulnerabili, quando le sue parole esprimono i nostri sentimenti con più efficacia di quanto potremmo azzardare noi, come possiamo continuare a considerare quel qualcuno un estraneo? Questa è la magia della scrittura di Maria Grazia Calandrone: si conversa con lei e la si ascolta, come si legge lo spartito di una sinfonia musicale. Le sue scelte linguistiche, in poesia prima o ora in prosa, sono sempre sorvegliatissime, frutto di meditazioni intense, ma è come se ognuna delle soluzioni formali si conservasse consapevole di tutte quelle scartate. In altre parole la lingua della Calandrone irradia una profonda conoscenza e coscienza della sua tradizione culturale umanistica, di quel Novecento dove è caduta la rigida separazione di lingua della poesia e lingua della prosa. Un Novecento che continuamente riaffiora alla superficie del testo proprio mentre sperimenta, innova, smonta e rifonda generi e tecniche espressive.

C’è chi davvero può sopravvivere solo puntando agli estremi e accettando l’insopportabile sforzo di rendere la vita vivibile. Non c’è un’unità di misura che ci consenta di quantificare questo limite perché tu splendi come vita. Quanta parte di sé vada dedicata agli altri, o anche quale sia la parte di vita che dobbiamo vivere e quale quella a cui rinunciare questo romanzo insegna.

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