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La rivoluzione sconosciuta. Recensione del testo postumo di Guido Ceronetti

Guido Ceronetti
Di Vincenzo Fiore
Pubblicato il 6 Feb. 2019 alle 20:24 Aggiornato il 6 Feb. 2019 alle 20:24

“Tutto quel che è interessante avviene nell’ombra, decisamente. Nulla si sa dell’autentica storia degli uomini”, con questa frase tratta da Viaggio al termine della notte di Céline, si apre e si comprende lo scopo de La rivoluzione sconosciuta (Adelphi, 2019), l’antologia postuma curata da Guido Ceronetti, scomparso lo scorso 13 settembre a Cetona, in Toscana.

“Non ho paura di morire. Solo di soffrire. Uno ha già tribolato fin qui, e adesso tribolare in un letto di ospedale, no grazie”. Tuttavia, questa non sarà l’ultima sorpresa del Filosofo Ignoto. Tanto altro materiale inedito aspetta soltanto di vedere la luce.

Come già avvenuto e specificato per l’altra selezione di testi, pubblicata sotto il nome di Messia (Adelphi, 2017), la finalità della nuova antologia è quella di raccogliere preziosi frammenti dimenticati – e, appunto, sconosciuti ai più – per raccontare l’autentica storia degli uomini, senza alcuna pretesa di raggiungere la sensibilità delle masse.

“Raccolgo qui per pochi (i molti non sono per la poesia, altro che nulla; ai molti vanno le canzoni, la propaganda, la democrazia…)”. Ancora una volta, Ceronetti ci mette in guardia dai pericoli dell’utopia e ci risveglia dall’illusione della libertà.

Non c’è progresso né salvezza nell’universo osservato dal marionettista torinese: “Il 14 luglio fu veramente liberatore, ma alla maniera dissimulata di un sogno”, Georges Bataille.

Oppure: “Chi vuole plasmare il mondo non ci riuscirà. Il mondo, vaso spirituale, non si lascia plasmare. Chi lo plasma lo distruggerà. Chi se ne impadronisce lo perderà”, come ricorda la sapienza del Tao-tê-ching.

La Rivoluzione sconosciuta non segue una particolare logica cronologica o un filone preciso di pensiero, infatti si trovano dentro autori del tutto diversi: da Vittorio Alfieri a Johann Gottlieb Fichte, da Chamfort a Leopardi, da Napoleone a Guido Piovene, dal marchese De Sade fino a scrittori viventi come Roberto Calasso.

Il filo nascosto che però lega le parole, si trova nell’angoscia democratica e nell’uguaglianza apparente, in un mondo che correndo troppo veloce, inseguendo falsi speranze ed effimeri ideali, ha dimenticato molti indietro.

Proprio guardarsi alle spalle diventerebbe una tentazione, se il curatore non avesse avuto la delicatezza di non proporre nulla. Se non altro, anche guardare al passato come modello sarebbe un’ingenuità imperdonabile, alla ricerca di paradisi mai precisamente identificati e forse mai realmente esistiti.

Ceronetti conclude il testo con tredici profezie, alcune di queste secondo la leggenda già realizzatasi, estratte dalle Centurie di Nostradamus.

Dunque, non c’è nemmeno da essere ottimisti per il futuro, d’altronde “le parole degli ottimisti pugnalano nella schiena l’infinità del martirio degli esseri umani sulla terra” (Insetti senza frontiere, Adelphi 2009).

In questo scenario desolante, come scriveva Heidegger, forse solo un Dio allora potrà salvarci, ma come aggiungeva giustamente proprio Ceronetti: “E se Dio volesse perderci?”.

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