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Camminare, una rivoluzione

Da Tiziano Terzani a Werner Herzog. Elogio della lentezza. Alla ricerca della flanerie perduta

Di Carlos D'Ercole
Pubblicato il 25 Feb. 2013 alle 12:09 Aggiornato il 28 Nov. 2018 alle 13:55

Camminare una rivoluzione

Nel fine settimana una coppia di amici stranieri in visita a Roma mi chiedeva suggerimenti su cosa fare e dove andare.

“Walk around the center and get lost”. “What do you mean get lost ?”.

Perdersi, divagare, contemplare. Sono tutte parole che il linguaggio contemporaneo della velocità, della iperattività non tollera.

“Il nostro è un mondo dominato dalla tecnica. La pervasività di questo fatto fa sì che non ce ne rendiamo neanche più conto, lo diamo per scontato considerandolo naturale.

La tecnica da mezzo è diventato fine, e il fine della tecnica è il suo incessante potenziamento, accrescimento. È la tendenza fondamentale del nostro tempo. Camminare rappresenta uno scarto rispetto a questo orizzonte dominato dalla tecnica”.

Camminare, una rivoluzione.

Un titolo splendido quello scelto da Adriano Labbucci per il suo libro (edito da Donzelli) che ci invita a riscoprire la lentezza in questi tempi dominati da frenetici tragitti in macchina e continui spostamenti in aereo.

“Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare e di agire oggi dominante che il camminare”.

Tiziano Terzani nel 1993 decide di credere alla profezia di un indovino cinese e attraversa l’Asia a piedi, in autobus o in treno: “Grazie all’indovino di Hong Kong stavo ritrovando non solo il piacere di viaggiare, ma anche quello di vivere. Non avevo più angosce, non sentivo più come un dramma il passare delle giornate, ascoltavo chi mi parlava, godevo di quel che mi succedeva attorno, avevo agio per mettere ordine nelle mie impressioni, per riflettere. Avevo tempo e silenzio: qualcosa di così necessario, di così naturale, ma ormai diventato un lusso che solo pochissimi riescono a permettersi”.

Alla fine di novembre del 1974 Werner Herzog riceve una telefonata da un amico di Parigi che gli comunica la grave malattia di Lotte Eisner: “Io dissi no, non può essere, non in questo momento, il cinema tedesco proprio ora non può fare a meno di lei, non dobbiamo permettere che muoia. Presi una giacca, una bussola, una sacca con dentro lo stretto necessario. I miei stivali erano così nuovi e così solidi che si poteva contare su di loro. Presi la strada più diretta per Parigi nell’assoluta fiducia che lei sarebbe rimasta in vita, se io fossi arrivato a piedi”.

Herzog cammina per 21 giorni da Monaco di Baviera a Parigi. Quando entra in casa della Eisner lei gli rivolge un sorriso e miracolosamente ritrova la forza per sopravvivere.

È proprio vero che “solvitur ambulando”, camminando tutto si risolve.

In tempi di austerity non rinunciamo all’unico lusso che ci è rimasto: la flânerie.

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