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Il tramonto social della body positivity

L’estetica magra è tornata in auge su Internet. Soprattutto su piattaforme come TikTok e Instagram. Mascherata da “cura di sé”. Ecco come è cambiata la narrazione del corpo online e che effetti ha sui più giovani

Di Ludovica Valentino
Pubblicato il 25 Lug. 2025 alle 11:43

Per un attimo, abbiamo creduto che qualcosa stesse davvero cambiando. Che la body positivity avesse riscritto le regole del gioco, spazzando via decenni di diktat estetici per fare spazio a un discorso più libero, inclusivo, autentico. Abbiamo visto corpi non conformi occupare spazi prima inaccessibili, racconti di autoaccettazione conquistare visibilità, e slogan come «tutti i corpi sono belli» diventare virali. Ma oggi, quello slancio sembra essersi arenato. L’illusione di un cambiamento profondo lascia il posto a una realtà molto più familiare: la magrezza estrema è tornata in cima alla gerarchia estetica, mascherata da «healthy lifestyle», «cura di sé» e «scelte consapevoli».

Un nuovo storytelling
Il punto non è solo che l’ideale magro sia di nuovo ovunque — dalle passerelle ai reel, dai post sponsorizzati alle cliniche estetiche — ma che lo sia in una versione più raffinata e ambigua. Il corpo asciutto, tonico, scolpito è ancora il protagonista, ma viene proposto con un’estetica soft e wellness-oriented, che lo rende apparentemente neutrale, perfino virtuoso. È un ritorno al passato, sì, ma con un filtro social: meno evidente, più subdolo, e quindi ancora più pericoloso. Perché mentre ci si illude di celebrare il benessere, si reinstaurano modelli escludenti, rigidissimi, che generano ansia e senso di inadeguatezza soprattutto tra chi è più esposto. È una bellezza che parla il linguaggio del self-care, ma impone standard precisi.
Non è solo questione di numeri sulla bilancia. È un linguaggio, un’estetica, una cultura che si insinua ovunque. La novità? Oggi non si parla più di «essere magri», ma di «essere in forma», «disciplinati», «in controllo». Lo storytelling è cambiato, ma il messaggio resta lo stesso: c’è un corpo giusto a cui aspirare — e tutti gli altri restano fuori.
La body positivity, nata come movimento radicale per smantellare gli standard di bellezza dominanti, ha avuto un ruolo fondamentale nel mettere al centro il diritto di ogni corpo a essere accettato e valorizzato. Tuttavia, col passare del tempo, il messaggio si è spesso diluito in slogan generici e facilmente commercializzabili: «tutti i corpi sono belli», «fai ciò che ti fa stare bene», frasi ripetute e riprese dai media mainstream, dalle aziende e dagli influencer.
Dietro questa apparente inclusività si nascondeva spesso un’estetica ancora fortemente legata a canoni di bellezza convenzionali: le campagne “inclusive” vedevano protagoniste donne curvy ma perfettamente fotogeniche, spesso bianche, normativamente belle. In questo modo, il movimento ha perso forza politica per diventare soprattutto un fenomeno estetico e individuale, più adatto a essere venduto come prodotto che a generare una vera trasformazione sociale.
Nel tempo, il messaggio radicale e politico della body positivity è stato progressivamente depotenziato e trasformato in una tendenza estetica, facilmente assorbita dal mercato. Sui social, l’accettazione di sé è diventata un format virale, una posa da adottare per generare un numero maggiore di visualizzazioni, like e condivisioni. Brand e creator hanno capitalizzato sull’inclusività come leva pubblicitaria, sventolando claim emancipatori mentre continuavano a promuovere l’acquisto di prodotti pensati per “migliorare” l’aspetto. La body positivity si è così piegata alle logiche dell’engagement: più che un movimento per cambiare la cultura del corpo, è diventata un’estetica spendibile, una moda rassicurante che celebra la diversità solo entro i confini del consenso e della fotogenia.

Chirurgia e farmacologia
Uno dei segnali più evidenti di questa inversione di rotta estetica arriva direttamente dal mondo della chirurgia plastica. Secondo l’ultimo report dell’American Society of Plastic Surgeons (Asps), è in netto aumento la richiesta di interventi finalizzati a ottenere il cosiddetto «ballet body» — un fisico asciutto, affusolato, quasi impalpabile, ispirato ai corpi delle ballerine classiche. Un ideale che, oltre alla sua grazia apparentemente eterea, porta con sé un’eredità spesso problematica.
Dopo quasi un decennio in cui le curve venivano esibite e celebrate anche nei media mainstream, oggi l’estetica torna a contrarsi. L’ideale si fa più sottile, più contenuto, e le scelte chirurgiche lo riflettono: aumentano le richieste di liposuzioni, riduzioni del seno e altri interventi «snellenti». In questo contesto, la chirurgia estetica non è più vissuta come semplice correzione o valorizzazione, ma come uno strumento per aderire a un modello fisico preciso, sempre più normativo e sempre meno inclusivo. Un ritorno a corpi disegnati con il righello, che rimettono in discussione anni di aperture, ridefinendo — ancora una volta — cosa significa essere «belli» nel nostro tempo.
Parallelamente, e non a caso, è esploso l’uso – spesso improprio – di farmaci come Ozempic, originariamente concepiti per curare il diabete, ma divenuti popolari e celebrati per la loro efficacia nella perdita di peso.
Il principio attivo di questo farmaco, originariamente sviluppato per trattare il diabete, contribuisce a ridurre i livelli di zucchero nel sangue e a modulare la produzione di insulina. A livello fisiologico, agisce mimando l’azione di un ormone intestinale simile al glucagone, che interviene nella regolazione dell’appetito. Questo meccanismo duplice invia al cervello un segnale di sazietà precoce e, contemporaneamente, rallenta lo svuotamento gastrico, riducendo così il desiderio di assumere cibo.
Uno degli effetti collaterali più visibili della rapida perdita di peso associata all’uso di Ozempic è l’aspetto svuotato del volto, spesso accompagnato da cedimenti cutanei e rilassamento della pelle su diverse parti del corpo. Non si tratta di un effetto specifico del farmaco, ma di una reazione fisiologica comune a qualsiasi dimagrimento drastico e improvviso. Questo fenomeno, amplificato dalla popolarità del farmaco, ha contribuito a una nuova ondata di richieste nel campo della chirurgia estetica, con un aumento significativo degli interventi correttivi per contrastare gli «inestetismi» post-dimagrimento.
Celebrità come Oprah Winfrey ed Elon Musk hanno pubblicamente ammesso di utilizzarli, mentre personalità come Kourtney Kardashian hanno lanciato prodotti wellness ispirati a questi farmaci. In Brasile, il sindaco di Rio de Janeiro Eduardo Paes ha persino promesso di rendere il farmaco accessibile a tutta la popolazione, auspicando un futuro «senza più persone grasse». Un farmaco destinato al trattamento del diabete e degli stati di obesità gravi viene quindi accolto su internet come salvifico e rivoluzionario, un rimedio efficace e pronto all’uso per raggiungere più facilmente e senza sforzi qualsiasi obiettivo di dimagrimento. Sul TikTok la ricerca con l’hashtag #Ozempic è stata effettuata da oltre 273 milioni di utenti.

Spinta conformista
Il ritorno della magrezza estrema si presenta con un linguaggio condivisibile e rassicurante, che fa leva su concetti positivi quali la salute mentale, l’autodeterminazione e la cura di sé. Ma dietro queste parole si cela una pressione sociale forte e pervasiva: l’idea che la magrezza sia non solo desiderabile, ma un obbligo per essere persone accettate, amate e in salute. È paradossale come il linguaggio liberatorio, che era stato proprio della body positivity, venga oggi strumentalizzato per giustificare una nuova forma di conformismo.
Sui social, contenuti virali presentano il digiuno, la restrizione calorica e il controllo ossessivo del corpo non solo come strategie per migliorarsi, ma come veri e propri atti di empowerment. Piattaforme come TikTok premiano con visibilità e consenso video in cui giovani creator mostrano «routine di benessere» che, dietro l’etichetta del self-care, nascondono spesso diete estreme, esercizi compulsivi e pratiche potenzialmente dannose. In questo ecosistema, la chirurgia estetica viene normalizzata e persino romanticizzata: il ritocchino diventa un accessorio cool, una fase del tutto normalizzato e quasi inevitabile nella costruzione di sé.
Uno dei problemi è che questi messaggi arrivano con particolare forza agli adolescenti, una fascia d’età già vulnerabile per definizione. La pressione a conformarsi a un ideale estetico iperselezionato, filtrato e digitalmente curato può compromettere seriamente la salute mentale, contribuendo all’insorgere di disturbi alimentari, ansia, depressione e una percezione distorta del proprio corpo.
Numerosi studi dimostrano quanto l’esposizione quotidiana ai social media, soprattutto da parte della fascia più giovane della popolazione, possa contribuire allo sviluppo di tali patologie. Piattaforme come Instagram e TikTok, attraverso contenuti apparentemente motivazionali – spesso, ad esempio, sotto l’etichetta di fitspiration – promuovono un ideale corporeo iper-controllato e irrealistico. Video e immagini che mostrano corpi asciutti e scolpiti, privi di imperfezioni, vengono accompagnati da frasi che spingono al sacrificio, alla disciplina estrema, alla trasformazione personale, suggerendo che il valore individuale sia legato alla forma fisica. Questi messaggi, spesso ritoccati e filtrati, non solo inducono un confronto costante e dannoso, ma possono anche legittimare comportamenti pericolosi: diete estreme, esercizio compulsivo, digiuno prolungato, fino all’adozione di tecniche compensatorie tipiche dei disturbi alimentari. Anche messaggi che si presentano come veri e propri inni alla salute possono in realtà essere profondamente diseducativi, soprattutto quando rivolti a un pubblico giovane e suscettibile. La sovraesposizione a questi modelli estetici, presentati come aspirazionali e normali, agisce in modo subdolo sulla salute mentale: alimenta senso di colpa, insoddisfazione cronica verso il proprio corpo e una pericolosa equazione tra magrezza, successo e felicità.
Ma se l’unica forma di visibilità e approvazione sociale passa da un certo tipo di corpo, quanto è autentica la libertà di scelta? In che misura è possibile, per le nuove generazioni, sottrarsi a questo sistema di condizionamenti? Il rischio concreto è che adolescenti e giovani adulti crescano con l’idea che la felicità, la salute e persino l’amore siano raggiungibili solo attraverso la magrezza — ancora una volta, e sempre di più.

Un nuovo inizio?
La fine della body positivity mainstream, con i suoi slogan vuoti e facilmente monetizzabili, non è necessariamente una sconfitta. Può rappresentare un’occasione per un nuovo inizio, per un discorso sul corpo più radicale, onesto e politico – e soprattutto collettivo.
Non si tratta più di ripetere il ritrito mantra secondo cui «tutti i corpi sono belli», ma di mettere in discussione il valore stesso della bellezza come metro di giudizio. Bisognerebbe spostare l’attenzione dalla forma del corpo alla dignità delle persone, dal risultato estetico al benessere reale, fisico e mentale.
È urgente costruire uno spazio culturale in cui le scelte individuali non siano solo reazioni a un sistema oppressivo, ma atti consapevoli di resistenza condivisa. Perché l’obiettivo delle persone non deve essere sentirsi belle comunque, ma smettere di dover essere belle per sentirsi abbastanza.
In questa ricerca di nuove narrazioni, la body neutrality rappresenta una possibilità interessante: non impone l’amore incondizionato verso il proprio aspetto, ma invita a ridimensionarne il peso nella definizione del proprio valore. Sposta il focus da come il corpo appare a ciò che consente di fare, promuovendo un approccio più funzionale, meno estetizzato, più pacificato. Non è una soluzione definitiva né valida per tutti, ma può aprire un varco per immaginare un rapporto con il corpo meno performativo e più libero da imposizioni esterne.
Di fronte a schemi che tornano ciclicamente a riproporre ideali opprimenti, non resta che reagire, mettere in discussione questi modelli e immaginare nuovi modi per vivere e raccontare il corpo, verso un discorso più radicale e collettivo.

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