Negli androni dei palazzi intorno a Campo de’ Fiori è più probabile sentire il rumore dei trolley che sbattono contro i sampietrini rispetto a quello dei bambini che giocano a pallone in cortile. Anche tra i vicoli di Trastevere, rione protagonista di tante tradizioni romane, tra un tintinnio di bicchieri e un vociare della folla, l’inconfondibile suono dato delle rotelle delle valigie e le immagini di turisti vaganti in cerca dell’indirizzo presso cui alloggeranno sono protagonisti indiscussi.
La questione, peraltro, non riguarda soltanto Roma e il suo centro storico, ma anche Venezia come Dubrovnik, Firenze come Barcellona, passando per tante altre città d’arte che si trovano oggi in una situazione difficile da gestire, con le rispettive aree più note – di solito i centri storici – che cambiano volto in preda a un numero crescente di turisti, con servizi sempre più rivolti alle esigenze di questi ultimi e con i residenti che sembrano essere messi sempre di più in secondo piano. È un processo comune, globale, che riguarda città in tutto il mondo, seppur in modo particolare in Europa, e che è costellato da una serie di parole che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, come «overtourism» e «gentrificazione».
Prendiamo l’esempio di Roma: nella capitale, alla fine del 2024, col Giubileo alle porte, sul portale Airbnb erano attivi 25mila annunci per affitti brevi, molti dei quali interi appartamenti, la maggior parte nei rioni del centro storico. Queste case-vacanza fanno abbassare il numero di alloggi ad uso abitativo e contribuiscono all’aumento dei canoni per gli affitti a lungo termine: così finiscono per escludere via via sempre più persone dalla possibilità di abitare in determinate zone e costringono tanti residenti storici a guardare altrove. Non è un fenomeno solo romano, come abbiamo detto, e in altre realtà ha un impatto persino superiore. Roma, tuttavia, può essere emblematica per spiegare come si è arrivati al fenomeno.
Il caso Roma
Dopo la Seconda guerra mondiale, il centro storico della Capitale era un luogo semi-fatiscente. Nel periodo del boom economico, con l’espansione della città e la costruzione di nuovi quartieri, il centro conobbe una parziale riduzione della popolazione, lasciando poi spazio al fenomeno della cosiddetta “terziarizzazione”: apertura di uffici al posto di abitazioni e vecchie botteghe. Così la popolazione residente diminuì in favore di una popolazione pendolare. Guardando vecchi articoli di giornale di qualche decennio fa, possiamo trovare un certo parallelismo tra i toni allarmati dall’aumento a dismisura di uffici e la conseguente apertura di attività a essi collegate con quelli dei giorni nostri, preoccupati per l’aumento dei turisti e delle strutture ricettive.
È stato a partire dalla fine degli anni Novanta, con l’aumento del turismo di massa su scala globale, la crescita economica di molti Paesi e la nascita di compagnie aeree dai prezzi più abbordabili, che Roma, così come le altre principali città del mondo, ha affrontato una crescita importante del numero di visitatori, tanto più quando ha ospitato e gestito con grande successo il grande Giubileo del 2000.
La grande visibilità della città ha dato avvio a una politica sempre più diffusa di grandi eventi, mentre la riqualificazione di interi quartieri ha portato a un aumento del valore immobiliare. Ma questi successi hanno anche un’altra faccia della medaglia. E questa faccia è quella che compare a Roma come a Praga, a Barcellona o ad Atene, ovvero la trasformazione delle aree a maggiore attrazione turistica in luoghi in cui il tradizionale tessuto urbano, fatto di residenti e attività, non sembra avere più spazio, tra affitti che crescono e allontanano cittadini e botteghe storiche e un sistema di servizi sempre più orientato alle necessità di visitatori “mordi e fuggi” anziché di residenti.
Questi fenomeni riguardano i quartieri storici ma anche altre realtà, spesso colpite a cascata dai grandi cambiamenti: restando a Roma, per esempio, anche San Lorenzo, storico quartiere di origine operaia a due passi dalla città universitaria della Sapienza e tradizionale punto di riferimento per molti studenti, ha in parte subito fenomeni simili.
Se le necessità dei residenti vengono troppo spesso messe in secondo piano, se all’incremento degli affitti non corrisponde una parallela e speculare incremento dei salari, allora finisce che un numero crescente di abitanti decide di trasferirsi. In quartieri di nuova costruzione o in comuni limitrofi: restando sempre all’esempio di Roma, località dell’hinterland come Guidonia-Montecelio e Monterotondo hanno registrato negli anni un aumento della popolazione legato a questo fenomeno. Ancora più emblematico è il caso di Fiano Romano: questo borgo, situato a pochi chilometri da Roma lungo l’autostrada del Sole, ha visto i suoi abitanti raddoppiare nel corso degli anni Duemila proprio per il flusso di residenti in arrivo dalla Capitale. L’excursus offre un quadro sull’evoluzione delle grandi città e dei loro centri storici, perché lo schema di Roma è perfettamente compatibile con quello di molte altre realtà che hanno sperimentato situazioni simili.
A gamba tesa
Ma vediamo con più attenzione quei temi che abbiamo toccato e che lasciano tanti interrogativi sul modo in cui si possano vivere, oggi, le nostre città.
Se il fenomeno della gentrificazione è qualcosa che nasce da presupposti positivi, come la riqualificazione di un’area degradata, sono invece i suoi effetti che, se non governati correttamente, rischiano di causare lo sfaldamento del tessuto storico esistente e di favorire forme di speculazione immobiliare e conflitti sociali. Un discorso simile può valere anche per l’overtourism, ma in città d’arte che attirano milioni di persone da tutto il mondo è difficile fare un’operazione di pianificazione strutturata e il timore è che la situazione tenda a essere sempre più invasiva nelle zone più turistiche, a partire dai centri storici.
Oggi, infatti, ai voli low cost e all’inclusione nel mondo del turismo di Paesi una volta più marginali – fattori che hanno aumentato notevolmente gli spostamenti –, si sono aggiunte le piattaforme per affitti brevi, inseritesi a gamba testa sul mercato e cresciute esponenzialmente negli ultimi anni. Queste, come noto, permettono a qualsiasi proprietario di offrire in affitto una stanza o un appartamento: il fenomeno, nonostante i paletti sempre più stringenti, è cresciuto indiscriminatamente, tanto che ai piccoli proprietari si sono spesso sostituite vere e proprie società del settore turistico.
Se andiamo a vedere i dati, nel 2017 in tutta Italia gli annunci per unità abitative di qualsiasi genere in affitto sulla popolare piattaforma Airbnb erano 494mila. Sette anni dopo, questo numero è cresciuto toccando le 754mila, il 52 per cento in più: un incremento che da l’idea di un quadro in fortissima crescita.
Ma ovviamente il fenomeno non è soltanto italiano. In tutti i Paesi, soprattutto quelli noti per le loro bellezze e che attraggono visitatori con il loro patrimonio o i grandi eventi, si registrano aumenti sempre maggiori che mettono in guardia politici, attivisti e amministratori locali. Già, perché l’overtourism non riguarda soltanto i turisti: molti degli appartamenti messi in affitto sulle piattaforme sono alloggi nati con una funzione residenziale e che sono stati convertiti al turismo, lasciando così meno spazio abitativo alla popolazione locale, alterando i servizi locali in funzione turistica e aumentando i canoni degli affitti a lungo termine. Tutti elementi a cui in un modo o nell’altro qualcuno cerca di fare fronte.
Sharing economy
A Barcellona, a fronte dell’aumento degli affitti residenziali a lungo termine, il sindaco Jaume Collboni ha lanciato un piano che porterà a non rinnovare le licenze per gli affitti brevi, che saranno dunque di fatto messe fuori gioco a partire dal 2029 con l’obiettivo di riportare tali alloggi all’interno del mercato degli affitti a scopo residenziale. A New York, invece, nel 2023 è stata approvata la Local Law 18, che permette affitti brevi solo se l’host – come viene chiamato ormai il locatore in tutte le piattaforme – vive nell’appartamento e limita il numero di presenze.
Misure come queste sono ad oggi tentativi di gestire una situazione che riguarda sempre più città e in cui trovare un equilibrio tra turisti, residenti e proprietari non è facile, come non è facile garantire i diritti di tutte e tre queste categorie.
Spesso, in assenza di regole, è l’elemento economico, legato al flusso di denaro garantito dal turismo, non sempre con un adeguato valore aggiunto, a essere determinante, ma c’è proprio un elemento economico a monte che spesso sfugge. La sharing economy, infatti, ha reso molto facile per i cittadini mettere un proprio bene a disposizione per affitti brevi che possono rappresentare un’entrata in più per molte famiglie: in un Paese come il nostro, in cui gli stipendi medi stentano a salire mentre aumenta il costo della vita e in cui la proprietà immobiliare è più diffusa che altrove, non si può non individuare anche in questi elementi la radice del fenomeno.
Intanto, al di là della questione affitti, altre città provano a far fronte a numeri di accessi ingestibili per centri storici unici e pittoreschi ma che corrono rischi per la propria conservazione a fronte di numeri di visitatori sempre più alti, tali da alterare la vita normale dei residenti. Il caso più clamoroso, legato anche alla conformazione unica della città, è quello di Venezia, che da anni vive un radicale spopolamento del suo centro storico e che dallo scorso anno sta sperimentando un ticket di ingresso per i visitatori giornalieri nei periodi di maggiore affluenza. Altre misure di controllo dei flussi sono stati presi nella città croata di Dubrovnik, dove per ogni abitante si registrano oltre 27 turisti.
Ma mentre si cerca una formula a livello globale per affrontare questa situazione, il fenomeno continua a prendere piede, rischiando di logorare il diritto alla casa, di trasformare i centri storici in “Disneyland” in cui ci si limita a transitare, scattare foto e consumare qualche cibo mordi e fuggi, e di relegare l’economia urbana a un turismo che garantisce entrate ma spesso senza un valore aggiunto in grado di compensare i problemi legati all’ipertrofia e la scarsa pianificazione del fenomeno. Non ci sono tuttavia venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare, per dirla come Seneca: per rispondere a queste domande è necessario che si abbia un’idea di come debba essere una città nel ventunesimo secolo, come garantire i diritti di tutti, come rendere vivibile ogni zona e accompagnare la crescita economica a un valore aggiunto per tutti. Quando ci saranno queste idee, forse, avremo anche una risposta globale a questi fenomeni.