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    Totò Cuffaro: “Oggi vendo fichi d’india e voglio rifondare la Democrazia Cristiana”

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi

    "Sono più di sinistra di Renzi. La mafia fa schifo, io mai colluso". L'intervista di Claudio Sabelli Fioretti

    Di Claudio Sabelli Fioretti
    Pubblicato il 9 Mag. 2021 alle 07:10 Aggiornato il 9 Mag. 2021 alle 07:13

    Vasa vasa. Ovvero Totò Cuffaro. Sì proprio lui, quel Presidente della Sicilia, abile dispensatore di baci a fini clientelari, che al vertice del suo fulgore rimase impelagato in drammi giudiziari che alla fine lo portarono in prigione. Avventura che affrontò con coraggio e dignità, senza urlare al complotto della magistratura, come consuetudine dei politici, senza scappare, come consuetudine di molti personaggi importanti, addirittura presentandosi in anticipo all’appuntamento con le sbarre prima ancora che qualcuno lo andasse a prendere. Come non fa nessuno.

    Io lo intervistai due volte, la prima quando era potente, prima dei processi, la seconda quando non contava più nulla, al ritorno dei cinque anni di carcere. Questa è la terza volta. Sulla elegante e moderna piattaforma di Clubhouse, nella room “Cazzoni stonati”, bene frequentata dai miei amici profondi e leggeri che mi seguono in questa rivisitazione delle vecchie interviste di una ventina di anni or sono. Rivisitazione, o meglio, intervista sull’intervista, o come l’abbiamo chiamata, “metaintervista”.

    In sostanza un tagliando sulle persone e sulle idee e sul tempo che passa. Le domande sono quelle di una volta ma le risposte a volte sorprendono. Cominciamo dalla caratteristica principale di Totò, il clientelismo.

    Totò, parlare dei tuoi metodi di clientelismo è affascinante. Tutto si basava sui bar e sui baci. Tu avevi scelto alcuni bar di Palermo a succursale della tua azienda clientelare. Una catena di bar dei quali ogni mattina facevi il giro per controllare le richieste dei tuoi clientes. Trovavi tanta gente che ti aspettava e ti chiedeva roba, giusto?

    “Giustissimo. Ricevere in una stanza è molto più dispendioso. Puoi ricevere una persona per volta. Entrano, si siedono, parlano, chiedono. E intanto il tempo passa. In un bar invece prendi il caffè con 10-15 persone, parli brevemente con ognuno di loro, ascolti le richieste e in mezz’ora hai fatto tutto. Rapido e indolore”.

    Geniale.

    “Adesso lo fanno tutti. Io sono un precursore. Imparai il metodo da un vecchio parlamentare siciliano, Paolo Iocolano”.

    Saltiamo un attimo ai giorni d’oggi. Tu hai avuto il Covid.

    “Purtroppo sì, pesante. Sono stato in coma quasi un mese”.

    Nel senso che non capivi niente? Dormivi? Che facevi?

    “Il coma da Covid è un coma particolare. Sei lì intubato, hai mille aghi dappertutto, da una parte l’antibiotico, dall’altra parte l’eparina. La testa ce l’hai lucida. Capisci che stai per morire e che non puoi fare niente. Vedi girare le persone intorno a te ma non sei in condizione di dialogare con loro. E’ un coma vigile che ti fa soffrire di più perché ti fa passare per la mente le cose e le persone che stai per lasciare, tua moglie, i tuoi figli, i tuoi genitori, i tuoi amici. È una tortura continua in attesa che sia il virus a scegliere se farti morire o farti vivere”.

    Tu pensavi di morire?

    “Ero convinto di morire perché stavo veramente male. Ad un certo punto sono sprofondato in un tunnel profondo dove vedevo soltanto buio e dove tentavo disperatamente di aggrapparmi a sprazzi di luce, che mi scappavano, poi ritornavano. Poi riscappavano. Intere giornate a tentare di aggrapparmi a questo filo che era il filo della speranza, della vita”.

    Poi sei guarito.

    “Un giorno quel filo sono riuscito a prenderlo e si è aperto uno spazio sempre più luminoso fin quando sono uscito dal coma”.

    Sei uscito dal coma ma c’era il Covid e non potevi baciare nessuno.

    “E’ stato un problema. Figurati se io oggi dovessi fare una campagna elettorale, sarei un candidato depotenziato”.

    Senza baci!

    “Senza baciare le persone non prendo nemmeno un voto. Sarebbe un dramma”.

    Adesso a noi ce lo puoi dire. Hai baciato qualcuno durante la pandemia?

    “Beh sì, qualche bacio l’ho dato”. Con l’autocertificazione? “Con la mascherina!”

    Un bacio con la mascherina è un bacio strano, non è un vero bacio.

    “È come se tu usassi un profilattico”.

    Un bacio protetto.

    “Un bacio molto scadente. Vedi, il bacio è una storia, una cultura, una tradizione. Durante la dominazione araba se ne davano addirittura tre. Tu figurati se io dovessi fare il candidato in un Paese arabo dove invece di due baci dovrei darne tre”.

    Sarebbe faticosissimo. “Il bacio è una soluzione stupenda. Baci un candidato, invece di usare mille parole che non finiscono mai. Invece tu accorci tutto, lo baci e gli dici tutto, no?”

    Ti ho chiesto, anni fa: quanti baci dai al giorno? Tu mi hai risposto: “Ci sono giorni che ne bacio anche mille!”

    “In campagna elettorale facevo certi comizi con migliaia di persone. E pensi che quando scendevo dal palco non le baciavo tutte? È fuori discussione! Pensa ad uno che era stato lì ad ascoltarmi ed era pronto a votarmi. Se mi fossi dimenticato di baciarlo non mi avrebbe più votato”.

    Giorni che baciavi più di mille persone. Un veloce calcolo perché sono una persona colta che conosce la matematica: mezzo milione di baci all’anno.

    “Anche di più. Spesso nella furia di baciare tutte le persone capitava di ribaciarle di nuovo”.

    Il bacio dato due volte vale doppio?

    “No. Il voto resta sempre uno. Il doppio bacio è uno spreco di energia”.

    Poi ti ho chiesto: “Quando stai a Roma smetti di baciare?” E tu mi hai risposto: “Io bacio ovunque!”

    “Ma certo. Forse che i romani non baciano? Però ci sono baci e baci. Ci sono baci che fai per dovere, altri che fai per piacere. Vuoi sapere se bacio con più passione gli uomini o le donne”.

    Muoio dalla voglia di saperlo.

    “Le donne. Rimpiango di non essere un arabo che bacia tre volte”.

    La donna la baci più volentieri, ma alla fine è sempre un voto solo.

    “Lo so, è un voto solo, pero è un voto piacevole, c’è il voto di piacere e c’è il voto di dovere. Sai, la vita ha anche le sue soddisfazioni”.

    Certo, certo, questo lo capisco!

    “Il voto è sempre un voto. Ma non è la stessa cosa se ti vota Nicole Kidman o se ti vota Bush”.

    Ci sono diversi tipi di bacio?

    “Il bacio va calibrato. Non è che puoi baciare tutti alla stessa maniera. Quando baci uno che ti porta cento voti baci con passione, con accoramento. Il bacio è una filosofia. Non è una cosa banale”.

    Uno arriva da te e dice: io sono portatore di 100 voti. Tu lo branchi e lo baci per un’ora?

    “Quello che porta un voto lo baci velocemente, quello da cento devi fargli capire che tu sai che lui porta più voti degli altri!”

    E’ vero che vuoi rifondare la Democrazia Cristiana?

    “Ma certamente”.

    Avete cominciato il tesseramento?

    “Abbiamo terminato il 20 di aprile”.

    Quanti siete?

    “Non lo so. Ma a giudicare dalla pagina che abbiamo aperto per la Dc in Sicilia, siamo oltra 40.000”.

    Tu eri un democristiano di sinistra, un demitiano.

    ”Si, ero con Mannino quindi con De Mita”.

    Sei ancora un democristiano di sinistra?

    ”Assolutamente sì”.

    Più a sinistra o più a destra di Matteo Renzi?

    “Credo che anche Renzi sia un po’ di sinistra”.

    Sicuro?

    “Un po’….credo…non lo so…”

    Non fare il democristiano. Da uno a dieci quanto è di sinistra Renzi?

    ”Sei meno meno”.

    Rifaccio la domanda. Chi è più di sinistra, tu o lui?

    “Credo di esserlo un po’ più io”.

    Tu non potresti fare politica.

    “Io sono interdetto dai pubblici uffici, non posso candidarmi, non ho diritto al voto attivo e passivo”.

    Se potessi, chi voteresti?

    ”Se ci fosse la Democrazia Cristiana voterei Democrazia Cristiana”.

    Ma la Dc non c’è.

    “Forse voterei Forza Italia”.

    Ma non è tanto di sinistra.

    “Se non potessi votare Forza Italia di certo non voterei né Lega né Fratelli d’Italia e sarei costretto a votare PD”.

    Quando venivi accusato di essere un mafioso hai risposto inondando la Sicilia di cartelli con su scritto “La mafia fa schifo”. “Per un mafioso dire “La mafia fa schifo” è un po’ surreale no? Come mai non sei stato ucciso?

    “Proprio perché non ero mafioso. Non era la prima volta. Avevo già fatto cartelli con su scritto “Contro la mafia, costi quel che costi”. Chissà che la mafia non abbia voluto punirmi anziché con la morte in qualche altro modo che mi ha portato in prigione”.

    Potrebbe essere.

    “Ma la sentenza ha detto un’altra cosa ed io la rispetto. La giustizia è un bene che va rispettato sempre.”

    Vasa vasa Socrate.

    “Questa convinzione socratica mi ha molto aiutato a sopportare 1.758 giorni di carcere”.

    Però…

    “Però?”

    A voler essere cattivo potrei pensare che hai fatto i cartelli in accordo con la mafia… potrebbe essere un imbroglio…

    “Ti posso dire una cosa? Leonardo Sciascia che è stato un grande siciliano diceva che uno dei più grandi errori che si possa fare è quello di mitizzare la mafia. Al processo Andreotti, un pluriomicida come Drago, disse: “Io ero nuddu bastato cun niente”, cioè “Ero nessuno impastato col nulla”. Quando sono diventato mafioso tutti cominciarono a salutarmi e riverirmi”.

    E quindi?

    “I mafiosi non hanno né testa né cultura per poter dare consigli di scrivere nei manifesti che la mafia fa schifo. Io l’ho fatto con convinzione”.

    Poi sei stato minacciato?

    “Il manifesto l’ho fatto a metà del mio mandato. Dopo ho fatto altri tre, quattro anni e ho subito tante minacce”.

    Ce lo dici anche a noi che la mafia fa schifo? Ci fai essere la prima room di Clubhouse in cui Totò Cuffaro ha urlato “La mafia fa schifo?”

    “Vuoi che te lo urli di nuovo?”

    Lo voglio.

    “Ecco: LA MAFIA FA SCHIFO!”

    Beh, mica male no? Credo sia stata la prima volta che in una stanza di Clubhouse un ex presidente della Sicilia condannato per avere aiutato la mafia, urla che la mafia fa schifo. I Cazzoni stonati sono rimasti molto soddisfatti del fatto che tra noi non parliamo solo di sciocchezze e ci avventuriamo nella sconfinata prateria della politica “politicamente corretta”. E così io mi sono ringalluzzito ed ho insistito per la retta via chiedendogli se secondo lui c’era collusione tra politica e mafia.

    “Io escludo che ci sia collusione tra me e la mafia, ma che ci sia un pezzo di politica collusa con la mafia è un dato di fatto”.

    Anche la sinistra?

    “Essendo la Dc il partito di governo in Sicilia da sempre ha pagato il prezzo più alto a questa collusione, ma anche i Ds hanno avuto collusioni con la mafia. La mafia sta dove c’è il denaro, dove può lucrare. Qualsiasi governo, di qualsiasi colore politico, diventa dal punto di vista della mafia una opportunità. Dopo di me ci sono stati altri due Presidenti della Regione. Il primo, Lombardo, che è stato eletto da noi poi ha fatto un governo con la sinistra. Ed anche quel governo sta pagando un prezzo alla mafia. Dopo ce n’è stato uno che veniva addirittura da Rifondazione Comunista, che era Rosario Crocetta, e anche loro hanno avuto mille problemi giudiziari. Il tema è sempre lo stesso. In Sicilia è difficile fare politica. Io vorrei soltanto ricordarvi che in Sicilia tutti quelli che hanno ritenuto di farmi la morale, si sono scoperti di gran lunga più compromessi di me. Non voglio difendere me stesso. Ho fatto i miei errori. Ne ho fatti tantissimi. Ma non ho mai fatto l’errore di favorire la mafia. Ho fatto tanti altri errori per cui non ho pagato un prezzo. Ho pagato invece un prezzo per un errore che mi hanno attribuito e che invece non ho commesso”.

    Totò, però, tu avevi detto che in realtà, anche involontariamente, tu l’avevi favorita la mafia.

    “No, io ho detto che sono andato a sbattere contro la mafia, che è una cosa diversa. E’ facile andare a sbattere contro la mafia se governi in Sicilia. Ho fatto 1.758 giorni di carcere, so che questo è servito, come dice la Costituzione, a rieducarmi e a risocializzarmi. Ho rimesso in ordine i miei valori. Sto tentando di fare la mia parte. Vado per molti mesi in Africa ad aiutare i poveri del Burundi. Stanno morendo di Covid in una maniera drammatica. È morto persino il presidente della Repubblica”.

    Alla fine della prima intervista, quella che hai fatto prima di andare in prigione, io ti ho chiesto: “Tu preghi sempre per Berlusconi?” e tu hai risposto: “Io voglio bene a Berlusconi. È una persona stupenda”.

    “Io non sono mai stato di Forza Italia. Sono sempre stato un democristiano. Non ho mai avuto bisogno di Berlusconi per essere eletto. I voti li prendevo dentro il mio partito. Però ti devo dire che, in alcuni momenti drammatici della mia vita, quando un uomo ha bisogno di sentirsi vicino qualcuno perché vive dei momenti drammatici, e non sto parlando di quelli giudiziari, sto parlando di quelli famigliari, io mi sono trovato accanto l’uomo Berlusconi che anche fisicamente è venuto proprio lì a stare con me, mentre io assistevo i miei famigliari in ospedale. Questa è stata una di quelle cose che nella vita non si possono dimenticare e io non li ho dimenticati. Per questo ti ho detto che voglio bene a Berlusconi. Poi è un salesiano come me, quindi ho motivo per volergli ancora più bene. Poi, è milanista, ed anche io sono milanista”.

    Un siciliano fa il tifo per il Milan…

    “Più che milanista ero riveriano. Ero innamorato di Rivera, innamorato calcisticamente… non facciamo illazioni”.

    Poi ti ho chiesto anche se era vero che Silvio ti aveva chiesto di dimagrire.

    “Era vero. Era venuto in Sicilia per la mia prima campagna elettorale e mi vide pacchionello”.

    Pacchionello…

    “Cicciottello. Mi prese da parte e mi disse: “Devi dimagrire”. Io lo guardai e dissi: “Se vado alle cene elettorali e non mangio, la gente non mi vota. Lui mi guardò e disse: “Va bene, va bene. Prima fatti eleggere”.

    La ragione di Stato vinse sul mio dimagrimento. Adesso quanto pesi?

    “Quasi 100 chili. Sempre un po’ pacchionello. Adesso però posso dimagrire, perché non ho più bisogno di voti”.

    Arriviamo alla seconda intervista, quella del 16 dicembre del 2015, per il Fatto Quotidiano. Eri uscito dalla prigione. “E’ stato un atto di amore nei tuoi confronti perché il Fatto Quotidiano è stato il mio carnefice. Mai gli avrei dato una intervista”. Pubblicata sul mio sito è stata letta da 65 mila persone.

    “La mia vicenda giudiziaria ha suscitato scalpore. In carcere ho ricevuto 40 mila lettere”.

    Hai subito pensato ai voti?

    “Era gente che mi aveva aiutato a rimanere in vita. Gente che apprezzava il mio comportamento. Io mi sono consegnato in carcere, buono buono, prima ancora che arrivasse il mandato di arresto”.

    Come ti mantieni adesso?

    “Faccio l’agricoltore. Mi hanno tolto tutto. Il vitalizio. La pensione. La professione. Lo Stato dice che tu vai in carcere per essere risocializzato ma poi non ti consente di fare la tua professione perché ti proibisce di iscriverti all’ordine dei medici. Paradossalmente io posso fare il medico in Burundi, dove la mia laurea vale, ma non in Italia. Quindi faccio l’agricoltore”.

    Non è che si vive alla grande facendo l’agricoltore.

    “E infatti non sto vivendo alla grande! Faccio una vita modesta. Però mia moglie è medico. Tutto sommato uno stipendio di medico l’abbiamo. Io vendo i fichi d’india, e sto producendo del vino”.

    Come si chiama il vino? Vasa Vasa?

    “Si chiama Euno, come uno schiavo di colore che si ribellò ai romani, nel 132 avanti Cristo, prima ancora di Spartacus. Sconfisse i romani e governò la Sicilia per vent’anni”.

    Il pezzo forte della seconda intervista fu il racconto del tuo arresto. Tu volevi andare in galera ma nessuno ti ci voleva portare.

    “Appena c’è stata la sentenza io sono andato nella caserma dei carabinieri di piazza Farnese e ho detto al capitano: “Portatemi in carcere”.

    Avevi la valigetta?

    “No. Ero andato proprio così, com’ero. La valigetta me la portarono 48 ore dopo i miei familiari. Non ero neanche passato da casa per salutare mia moglie e i miei figli perché sarebbe stata una tragedia”.

    E il capitano che cosa disse?

    “Disse che non poteva arrestarmi perché era sabato e mancava il mandato. Chiesi al mio avvocato di andare al tribunale di Palermo e sollecitare il procuratore generale. Ho dovuto fare l’ultima raccomandazione della mia vita per farmi arrestare”.

    Tu, intanto, nella caserma dei carabinieri…

    “La sentenza era stata letta alle 11 di mattina, il mandato di arresto è arrivato alle 7 di sera”.

    E tu che facevi?

    “Io niente. Ma il tenente del Ros, che mi aveva seguito, litigava con il capitano dei carabinieri. Il Ros voleva mettermi le manette e lui glielo impediva. Diceva: ”Non potete farlo, non c’è il mandato di cattura”. Poi arrivò il mandato”.

    E finalmente…

    “Il tenente, che non vedeva l’ora, mi portò in macchina e mi mise subito le manette. A Rebibbia volevano farmi entrare dalla porta secondaria e cominciarono a litigare perché il tenente dei Ros insisteva per farmi entrare dalla porta principale. Lo sai perché? Perché c’erano le telecamere pronte a riprendere la scena”.

    Non bisognava perdere lo spettacolo.

    “Alla fine entrai dalla porta secondaria”.

    Ah, finalmente in carcere.

    “Quando il comandante del carcere mi vide, chiamò quello del Ros e gli disse: ”Ma levategli le manette!”. E chiddu ci disse: ”Ma io non le ho le chiavi”. Ed il comandante del carcere s’incazzò. “Come non ha le chiavi, lei gli mette le manette e non ha le chiavi?” Chiamò uno dei suoi agenti di polizia penitenziaria e mi fece levare le manette. Così ho capito che tutte le manette italiane hanno le stesse chiavi”.

    Tu mi hai detto che il Fatto ce l’aveva con te. Ma mi hai detto anche che sei un grande ammiratore di Travaglio.

    “Travaglio è un buon giornalista che non ha peli sulla lingua e che dice quello che pensa…Probabilmente le tante cose che ha detto contro di me le ha dette perché le pensa. Però non è che sono vere perché le pensa lui.

    ROBERTO CHIODI: Una volta hai querelato il Fatto e hai vinto.

    “Mi sono dovuto difendere. Poi ho capito che vincere contro il Fatto non serviva a niente e non ho più fatto niente”.

    ROBERTO CHIODI: E col Daily Telegraph?

    “Ho vinto anche con loro. Ero arrabbiato con Di Pietro che aveva sostenuto che avevo attaccato Falcone. Io non l’ho mai fatto. Falcone è un eroe vero di Sicilia, un magistrato favoloso. Non mi sarei mai permesso di attaccarlo. Ma il fatto che io abbia avuto ragione con sette sentenze di seguito non mi ha dato giustizia. Se tu vai ancora adesso su YouTube trovi quel dannato filmato dove continuano a dire che io ho attaccato Falcone. E’ un falso e credo di avere diritto che venga cancellato” .

    Parliamo del carcere. Tu mi dicesti che in carcere i carcerati pagano l’affitto…

    “Il carcere non è gratis. Soggiornare nel carcere ha un costo. Se non paghi ti fanno il pignoramento dei beni”.

    Tu quanto hai pagato?

    “Io credo di aver pagato 21 mila euro una cosa del genere”.

    12 euro al giorno? Mi sembra tanto. Io credo che ci aggiriamo sui 4 euro al giorno, pensione completa. E poi se lavori ti pagano.

    “200 euro al mese per lavare i gabinetti”.

    Comunque…

    “Come puoi accettare che un povero cristo non abbia i soldi per comprare le scarpe al figlio? Uno Stato che ti vuole rieducare non ti può fare queste cose. Non ti può vietare di fare il padre anche se hai sbagliato”.

    Ti ho detto, allora, che in fondo il carcere ti ha dato da mangiare. E tu mi hai risposto: “Mangiare? Era roba schifosa”.

    “Ti dico una cosa che forse nell’intervista non ti avevo detto. Lo Stato paga per il vitto del detenuto 2,90 euro al giorno.. Con 2,90 euro il carcere deve darti la colazione, il pranzo, la cena, la carta igienica e il sapone”.

    E allora?

    “Allora per fortuna c’è la Caritas, l’Unione europea, che ti fanno avere tutte le sere il cibo che andrebbe al macero. E se non ci fosse la possibilità per il detenuto di comprare la pasta e l’olio per autoalimentarsi si morirebbe di fame”.

    Mi hai poi detto che non è vero che in Italia non esiste la pena di morte.

    “Lo ribadisco. E’ una fantasia. Nelle carceri italiane muoiono suicidi più di quanti vengono giustiziati nei Paesi dove c’è la pena di morte. Io ho visto uccidersi in carcere uno che aveva fatto 24 anni di galera e stava per tornare in libertà”.

    E poi abbiamo parlato delle condizioni igieniche. Tu mi hai detto: “Ho ancora il tanfo addosso”.

    “Il tanfo. Me lo porterò addosso per tutta la vita. Quando si è in cinque in cella di 12 metri quadri con un bagno di un metro per un metro e mezzo, dove c’erano pure i fornelli per fare il caffè e cucinarti la pasta, vuoi non portarti dietro il tanfo per tutta la vita? C’è stato un periodo in cui addirittura pensarono di non darci più la candeggina con cui facevamo le pulizie perché qualcuno si era suicidato”.

    Due metri e mezzo per uno.

    “Le norme comunitarie europee dicono che i maiali hanno diritto a 7 metri quadrati ognuno. Diamo dei diritti ai maiali che non diamo agli uomini”.

    A proposito del gabinetto, mi raccontasti nell’ultima intervista che con la turca ci hai parlato per tutti i cinque anni. Che cosa gli dicevi alla turca? E la turca ti rispondeva?

    “I primi tempi è stato complicato andare in bagno, accovacciarti lì…Però poi ho capito che se invece di quella turca avessimo avuto il classico water, si sarebbe otturato ogni 24 ore. Alla fine ho cominciato ad apprezzarla la turca. Con lei due volte al giorno eri costretto ad avere rapporti, ad accovacciarti. E quando sei accovacciato cosa fai? Pensi, rifletti, ragioni, parli. Io l’ho fatto per tutti e cinque gli anni. Facendo quello che si può fare, rispettando una struttura che comunque ti consentiva di fare i normali atti della vita fisiologica…”

    Poi t’ho chiesto se avevi paura. E tu m’hai risposto: “Avevo terrore. Il carcere per me era quello che avevo visto nei film, con gli agenti che battono con il manganello sulle sbarre. Avevo paura anche a fare la doccia pensando che avrei trovato qualcuno pronto a sodomizzarmi”. Ti hanno sodomizzato?

    “Tutte le cose che vediamo nei film non sono assolutamente vere. Non è vero che ti picchiano, anzi ti aiutano. E nessuno nelle docce ti sodomizza. C’è una grande solidarietà tra le persone”.

    Totò, stiamo tranquilli? Non t’hanno sodomizzato?

    “Non m’hanno sodomizzato! Ti ho raccontato quella storia di “Un posto al sole”?

    No.

    “Te la racconto adesso. Quando sono arrivato nella mia cella ho trovato uno alto e grosso senza capelli ed ho pensato subito: “Ecco quello che mi inchiappetterà!” Entro. C’erano cinque letti, due a destra, due a sinistra e uno sotto la finestra, vuoto. L’uomo grosso mi guarda e mi dice: ”Lei può avere tutto qua dentro, tranne il posto al sole”. E io ho detto: “Non si preoccupi, sto benissimo sotto la finestra”. Passa il sabato, passa la domenica, il lunedì mentre stavo guardando il telegiornale su Rai2, il signore alto e grosso, che era stato il mio incubo che non mi faceva dormire la notte perché pensavo “questo appena mi addormento patapaff!”, questo signore mi leva il telecomando dalle mani e cambia canale e lo porta su Rai3. Io lo guardo stupito e molto preoccupato. E chiddu mi dice: ”L’avevo detto, qui puoi fare tutto, ma il posto al sole non si discute.” Ho capito solo quando è cominciata la musichetta della sigla della fiction, “Un posto al sole”. Insomma non voleva sodomizzarti, voleva “Un posto al sole”. ““Un posto al sole” è la fiction televisiva più vista dentro tutte le carceri. E sai perché?”

    Perché?

    “Perché è girata in tempo reale, è il contatto che il detenuto ha con la realtà esterna. E’ il Natale? Ti fanno vedere il presepe. E’ Pasqua? Ti fanno vedere la crocifissione. Con quella fiction il detenuto riesce a andare all’esterno, uscire dalla galera. Vivere una specie di vita”.

    Totò, baciavi tutti anche in carcere?

    “In carcere non si usa molto il bacio. Io l’ho introdotto un poco. Ma dentro una cella chi ti metti a baciare? Diventa una cosa che non ha senso. Magari quando c’era l’ora d’aria e incontravi una persona che non vedevi da qualche giorno lo baciavi. Ho baciato anche Pannella quando mi è venuto a trovare. Ci baciammo tra le sbarre perché non poteva entrare dentro la cella”.

    Tu mi hai detto una volta che Berlusconi aveva sbagliato tutto. Perché?

    “Doveva dimettersi da senatore, doveva consegnarsi e andare in galera. Ne sarebbe riuscito in trionfo, da martire. In fondo lo ha fatto anche Sofia Loren. Ma ognuno fa le sue scelte”.

    L’ultima volta che ci siamo sentiti tu pesavi settantotto chili…

    “Ero molto magro”.

    Ti dissi: ho visto una tua foto, sembri un intellettuale di estrema sinistra. E tu mi hai risposto: “Non mi offendo, molte delle cose dell’estrema sinistra oggi le condivido”. Che cosa condividevi?

    “Per esempio il testamento biologico. Una idea di sinistra. Anche altre cose ma non le dico altrimenti tu mi dici che sono comunista”.

    Effettivamente lo sospetto.

    “Se ci fosse il vecchio partito comunista, ci penserei. Purtroppo non c’è più. Tra tutto quello che c’è adesso, viva il vecchio partito comunista”.

    Viva il Pci?

    “Sempre dopo la democrazia cristiana”.

    Oggi sei tornato ai 100 chili.

    “Ormai gli intellettuali di sinistra pesano tutti cento chili quindi mi sono adeguato. La sinistra è cambiata, è diventata opulenta”.

    Poi è arrivato a Rebibbia papa Francesco.

    “Uno dei miei ricordi più belli. Noi eravamo tutti dietro le transenne. Ma quando papa Francesco arrivò nel cortile sfuggì al controllo degli agenti, spostò le transenne e si infilò tra i detenuti. E noi tutti a gridare: “Papa Francesco uno di noi!” E poi cominciammo a baciare l’anello del papa. Ma lui appena la gente si genufletteva li tirava su e li baciava. E fu così che per la prima volta io, anziché baciare, sono stato baciato”.

    Francesco vasa vasa.

    “Per me è stato uno smacco. Ho subito un bacio. Però mai bacio fu più gradito e più utile al mio animo”.

    Se adesso fondi la Democrazia Cristiana, che percentuale avrai?

    “In Sicilia posso fare almeno il 10%”.

    Chi è già con te?

    “Mi sono dato una regola: non prendere deputati. Ce ne sono molti già che vogliono venire. Ma io voglio solo giovani”.

    Li vorresti quelli del Movimento Cinque Stelle?

    “Sono bravi ragazzi. Hanno solo il torto di non aver mai fatto politica in vita loro”.

    Dei leader di adesso, chi ti piace di più? Ti piace Salvini?

    “Mi piace di più Giorgetti”.

    E Di Maio?

    “Mah… insomma… un bravo ragazzo…”

    Il carcere fa male?

    “A me non ha fatto male. Mi ha fatto dimagrire, mi ha fatto studiare, mi ha fatto laureare, ha rimesso in ordine i valori della mia vita. Ricordo che tutte le volte che mio padre compiva gli anni io avevo sempre l’Assemblea Regionale, il Congresso del partito… Tutte le volte che mia moglie mi diceva che c’era la Comunione dei nostri figli io arrivavo in ritardo. La vita mi ha presentato il conto mandandomi in carcere. Ed ho capito quanto avessi sbagliato nel non utilizzare al meglio il mio tempo. Non mi hanno fatto partecipare al funerale di mio padre e io mi sono preso il rimorso e ho detto “ben mi sta”, perché quando potevo andare da mio padre io non ci sono andato”.

    E’ stato peggio il carcere o il covid?

    “Più doloroso il Covid. Quando ero in carcere non ho mai avuto la sensazione di perdere la mia famiglia. Il Covid invece me la stava portando via. È stato molto più duro il mese di Covid che i cinque anni di carcere”.

    Lo baceresti Draghi?

    “Se lui lo accettasse io lo bacerei, certo, riconoscendogli il merito e il ruolo che sta svolgendo”.

    Meglio di Conte?

    “Questa è una domanda come si direbbe in siciliano ultronea”.

    Ultronea?

    “Una domanda che non ha senso di essere fatta”.

    Tutte le domande hanno il diritto di essere fatte.

    “La risposta è talmente banale che non mi pare interessante”.

    Non vuoi rispondere a domande banali?

    “E allora ti rispondo: non c’è paragone”.

    RICCARDO: Il sistema Palamara: si aspettava certi meccanismi della magistratura?

    “I meccanismi e l’ingranaggio della magistratura io li ho subiti sulle mie carni. Quando la giustizia ti graffia e tu la rispetti è rispetto vero. Rispettare la giustizia quando graffia la carne degli altri è un po’ più facile. Ho letto le vicende che riguardano Berlusconi e mi piacerebbe sapere se hanno riguardato in qualche modo pure me. Il sistema Palamara mi ha impressionato ma è un’impressione che avevo già vissuta”.

    STEFANO: non sono d’accordo con una sua affermazione, quando ha detto che i mafiosi “non hanno né testa né cultura”. Sottovalutare la mafia non permette di combatterla bene. Sappiamo che accanto alla mafia della pastorizia ci sono anche mafiosi di ben altro spessore.

    “Hai ragione, ma io parlavo dei gregari della mafia che vogliono emulare i big”.

    STEFANO: Però un gregario non muove dito senza essere approvato da un big.

    “Questo che dici tu lo condivido pienamente”.

    STEFANO: Quando ha parlato di Antonio Di Pietro ha usato il termine “personaggio” che sembrerebbe non far trasparire grande stima. E’ solo un fatto personale o è un giudizio politico?

    “Il giudizio politico per me è devastante perché io avevo quasi fatto il ponte sullo stretto e lui me l’ha cancellato. Di Pietro non ha portato in politica, col suo partito, delle cose utili al Paese. Lui e il suo partito non hanno lasciato una ventata di novità, di moralità e di eticità”.

    DANIELE: Come si può pensare di diventare Presidente della Regione siciliana ed eliminare tutti gli sprechi e le connivenze che ci sono?

    “La Sicilia è una terra straordinaria e bellissima, ma difficile. E’ facile fare il presidente della Regione in Toscana, in Piemonte, in Emilia Romagna. Le nostre condizioni sociali, i rapporti con tutte queste fasce grigie della società, per non dire della criminalità mettono tutti in difficoltà. Incontrare una persona che sembra essere per bene e poi si scopre che è un mafioso, per un politico diventa reato. Chi fa politica in Sicilia è uno che corre grossi rischi”.

    ANNAMARIA: Perché proprio il Burundi? Qual è il suo legame con il Burundi?

    “Il Burundi credo che sia ancor oggi il paese più povero dell’Africa. Quando ero Presidente della Regione un prete siciliano mi chiese di costruire un ospedale in Burundi perché lì la sanità è veramente all’anno zero. Utilizzando i fondi comunitari, costruii un ospedale. Il vescovo del Burundi venne a trovarmi in carcere ed io gli promisi che appena uscito sarei andato in Burundi a lavorare in quell’ospedale. Il vescovo morì qualche mese prima che io uscissi dal carcere, però io ho mantenuto l’impegno”.

    LAURA: Che valore ha per lei il perdono?

    “Se non avessi avuto la forza del perdono i miei anni in carcere sarebbero stati un inferno. L’astio e l’odio sono le malattie che rendono la vita impossibile ai detenuti. Se non l’avessi fatto sarebbero stati 5 anni terribii”.

    Una domanda te la voglio fare io. Quante bugie hai detto finora?

    “Lo so che non ci crederai ma nemmeno una”.

    E nella vita?

    “Molte. Le bugie fanno parte del mestiere della politica”.

    Toto’, non ce la puoi menare continuamente dicendo che hai fatto un sacco di errori. O ce li dici oppure smettila.

    “La mia vicenda giudiziaria ha penalizzato i siciliani. Io avevo avuto 1 milione e ottocentomila voti. Dopo di me Crocetta ne ha presi quattrocentomila. La fiducia che avevano riposto in me era talmente alta che la mia vicenda giudiziaria li ha sicuramente delusi”.

    Ma Io voglio sapere gli errori.

    “L’errore è stato stringere qualche mano che non avrei dovuto stringere, dare qualche bacio che non avrei dovuto dare, di essere stato troppo clientelare quando avrei dovuto guidare la cosa pubblica in maniera più aperta. Faccio ammenda di tutte le cose sbagliate che ho fatto. Se potessi tornare indietro non le rifarei più”.

    Se non avessi fatto questi errori e non fossi andato in galera, oggi cosa saresti?

    “Probabilmente avrei scalato qualche altra carica”.

    Ministro?

    “Ci avrei provato. Mi sarebbe piaciuto fare il ministro dell’Agricoltura o della Sanità”

    E diventare Primo Ministro?

    “Per un siciliano è difficile diventare Primo Ministro. Non c’è mai stato un Primo Ministro siciliano nella storia della Repubblica Italiana”.

    A te sarebbe piaciuto?

    “A chi non piacerebbe?”.

    ALESSANDRO: Mi spiace turbare questo idillio che si è creato. Sento quasi l’incenso. L’atteggiamento un po’ autoassolutorio che ha tenuto questa sera mi meraviglia. Mi spiace che lei abbia dovuto subire il carcere. Credo sia un’esperienza terribile. Come è lodevole l’impegno in Burundi. Però non pensa che un atteggiamento più autocritico sarebbe stato più opportuno?

    “Sei stato distratto. Io non mi sono affatto assolto. Mi sono condannato. Mi sono assunto le mie responsabilità. Ho raccontato i miei errori. Ho fatto il carcere. Non mi sono lamentato. Cosa vuoi che ti dica ancora?”

    CHIARA: Perché una volta che è uscito dal carcere ha voluto riavvicinarsi alla politica? Perché entrare di nuovo nelle insidie, negli egoismi e nei personalismi? E non piuttosto nell’associazionismo, nel volontariato?

    “Io vivo nel mondo dell’associazionismo. Sono socio e protagonista di Nessuno tocchi Caino. Come sto dentro il Partito Radicale, insieme a Rita Bernardini, e facciamo il nostro lavoro per umanizzare le carceri. E faccio il medico missionario in Burundi. Ho un debito morale verso i giovani di questa terra. Io non torno in politica. Non sono interessato a nessuna candidatura. Non farò il leader di partito. Io mi sforzo di far rinascere la Democrazia Cristiana per dare a tanti giovani che vogliono tornare in politica, un partito con dei valori. Perché la politica la si fa o la si subisce, come diceva De Gasperi”.

    Totò, fra dieci anni dirai: “Ho fatto un sacco di errori nella mia vita, tra l’altro quello di rifondare la Democrazia Cristiana”.

    “Non credo che questo sarà un errore”.

    FIORELLA: Lei ha detto che quando c’è un potere in carica la mafia guarda e promuove le persone in crescita. Hanno guardato e promosso anche i grillini?

    “La mafia guarda dovunque possa lucrare”.

    ROSA: Nel dialetto calabrese non ci sono i verbi coniugati al futuro. Tutto è al presente o al passato. Ma il futuro del Sud quando arriva?

    “Il futuro del sud dipende da quello che noi, che siamo il passato, ma soprattutto i giovani, che sono il futuro, sapremo fare. Alla fine vinceremo”.

    CLAUDIO: Hai individuato il momento esatto che ti avrebbe potuto evitare tutto quello che ti è successo? Il momento avresti voluto cancellare…

    “E’ stata la mia elezione il momento che ha acceso i riflettori su di me. Ma se oggi mi consentissero di cancellarlo non lo farei, anche sapendo che andrei in galera. Non rinuncerei a fare il Presidente della Regione perché l’orgoglio che mi ha portato a essere scelto dai siciliani per rappresentarli è più importante e più forte di qualsiasi altra sofferenza compresa quella di finire in carcere”.

    CLAUDIO: Se questa è la tua risposta vuol dire che sei convinto che la tua andata in carcere era proprio inevitabile. Cioè che chiunque venisse eletto nelle condizioni in cui sei stato eletto tu avrebbe un destino segnato?

    “Basta scorrere i Presidenti della Regione. A partire dal Rino Nicolosi per finire a Graziano, a Lombardo, a Crocetta. Il mio non è un fatto isolato. A governare la Sicilia si corre questo rischio”.

    CLAUDIO: Questo non è un quadro di speranza…

    “La speranza sta nel fatto che nonostante tutto c’è ancora qualcuno che ha la voglia e la passione, in attesa che prima o dopo cambi il sistema”.

    CARLA: Totò, non cambierà mai la Sicilia. Sinceramente, quando si va giù si vede. E’ un paese bellissimo, meraviglioso, però manca tutto, un caos. Ci sono le discariche a cielo aperto. E non cambierà mai.

    “Hai messo il dito nella piaga. Sono i termovalorizzatori che mi hanno in carcere turbando gli interessi della mafia”.

    FRANCESCO: Lo guarda ancora “Un Posto al Sole”?

    “Quando sono a casa con mia moglie lo guardo. Ma non più con la puntualità con cui lo vedevo in carcere”.

    MARIO ADINOLFI: E’ finita per noi cattolici? Ci hanno preso a badilate per bene. Non ci rialziamo più?

    “Ci rialziamo, ci rialziamo. Sentiamoci che rifacciamo la Democrazia Cristiana”.

    MARIO ADINOLFI: Vino nuovo in otri nuove. Dai.
    PAOLO: Forza Democrazia Cristiana.

    “Vieni a darmi una mano Paolino”.

    Vogliamo evitare di far diventare questa stanza la propaganda della Democrazia Cristiana?
    PAOLO: Stasera ho sentito a La7, Massimo Cacciari che sosteneva che moriremo democristiani. E’ un buon motivo per non morire allora. Cerchiamo di rimanere vivi.

    “Ti posso dire una cosa, Claudio? Quando Biagi disse ad Agnelli che Buscetta tifava per la Juventus, Agnelli gli disse: “Se lo vede gli dica che di questo non avrà modo di pentirsi!”. E così ti dico io: di avermi fatto parlare della Democrazia Cristiana non avrai modo di pentirtene”.

    PAOLO: Stiamo attenti perché siamo sempre sotto l’occhio di Italia Viva.

    “Ma quelli di Italia Viva sono tutti amici miei, son bravi ragazzi”.

    Ma come bravi ragazzi! Sei andato bene fino ad adesso, non mi crollare alla fine per favore. Quelli di Italia Viva sono colpevoli di tutto. Anche il buco dell’ozono è colpa loro.
    SABA: Totò? Sono Saba. “Ciao Saba”. SABA: Ti ricordi di me, vero?

    “Vuoi che non mi ricordi di una ragazza bella come te?”

    Totò, ti metti anche a fare il provolone adesso?
    SABA: Ma no, lui si ricorda di me perché sono ballerina, faccio danza orientale.

    Appunto. Va bene, fine dell’intervista. Adesso tutti insieme, urliamo lo slogan di Totò Cuffaro. TUTTI QUANTI: LA MAFIA FA SCHIFO, LA MAFIA FA SCHIFO, LA MAFIA FA SCHIFO.

    TOTO’ CUFFARO: “Grazie per la bellissima serata!”

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