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    Gli specializzandi non medici in prima linea contro il Covid: “Noi considerati camici di serie B”

    Una ricercatrice al lavoro nel laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnostica delle Emergenze dell'ospedale Luigi Sacco di Milano. Credit: ANSA / MATTEO BAZZI
    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 7 Lug. 2020 alle 16:36 Aggiornato il 7 Lug. 2020 alle 18:55

    Gli specializzandi non medici in prima linea contro il Covid: “Noi considerati camici di serie B”

    “Sono uno specializzando in microbiologia e virologia. Ho lo stesso obbligo formativo dei miei colleghi medici, in termini di ore. La differenza è che loro percepiscono una remunerazione e io no“. Gianfranco La Bella è uno degli specializzandi di area sanitaria – biologi, biotecnologi, chimici, farmacisti, fisici, veterinari, psicologi e odontoiatri – che da anni chiedono il riconoscimento della parità di trattamento rispetto agli specializzandi medici nella formazione post laurea.

    Insieme ai due colleghi Arianna Cappabianca e Valerio Schisano, ha fondato il network “B come Biologo“, che ormai riunisce 4mila biologi e biotecnologi – professionisti del settore sanitario il cui ruolo si è rivelato prezioso durante l’emergenza Coronavirus – ma che continuano a sentirsi “camici di serie B“. Nei mesi più duri dell’epidemia gli specializzandi biologi e biotecnologi sono stati in laboratorio ad analizzare i tamponi, senza ricevere alcuno stipendio.

    “In questi mesi di emergenza è stata unanime la richiesta di aumentare la capacità analitica (i cosiddetti tamponi a chiunque) senza tener conto che nei laboratori di microbiologia, dove si analizzano i tamponi, ci sono specializzandi biologi/biotecnologi che lavorano gratuitamente”, si legge nell’appello inviato dal gruppo a giugno. “Già a fine 2019, noi del Gruppo abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione volta a tutti gli organi politici e legislativi per poter trovare una soluzione al problema all’interno della legge di stabilità, ma il nostro messaggio è rimasto inascoltato”. Con il Decreto Rilancio, il governo ha stanziato 95 milioni per finanziare oltre 4mila contratti di specializzazione in più, ma nessuno di questi è destinato ai non medici.

    La situazione degli specializzandi non medici

    “Noi specializzandi siamo obbligati – come i colleghi medici – a conseguire il titolo di specialista al termine del corso di laurea per poter accedere al Servizio Sanitario Nazionale, dove l’unico ruolo che ci compete è quello della dirigenza sanitaria“, spiega La Bella a TPI. Per partecipare ai concorsi da dirigente biologo, dirigente farmacista o dirigente fisico, infatti, è necessario il titolo di specialista, che si consegue dopo un percorso post laurea che dura dai 3 ai 4 anni.

    “L’ordinamento formativo per noi specializzandi non medici è identico in tutto e per tutto a quello dei medici, sia per i crediti formativi declinati in tirocinio sia per le ore di studio e gli esami da sostenere. Vengono chieste almeno 30 ore di presenza settimanali per 4 anni di corso, senza alcun compenso. Mentre gli specializzandi medici sono beneficiari di una borsa di studio per tutto il percorso di formazione. Noi invece siamo trattati come camici di serie B, non abbiamo lo stesso trattamento economico e di riconoscimento dell’impegno formativo a tempo pieno”, è la denuncia del biologo.

    In realtà una norma che garantiva la parità di trattamento per gli specializzandi di area sanitaria c’era: l’art. 8 della legge 401 del 2000, infatti, regolava le scuole di specializzazione per laureati appartenenti a queste categorie sanitarie come quelle dei medici. Ma nel 2016 con il riordino delle specializzazioni non mediche, il governo ha introdotto una deroga per l’articolo 8. “Di fatto il governo ha sancito uno sfruttamento per legge di queste categorie. A quel punto sono ripresi i concorsi che le università avevano bloccato per i 7 anni precedenti”, spiega La Bella.

    “Riteniamo assurdo che un ragazzo di 24 o 25 anni debba chiedere alla famiglia di sostenerlo per altri 4 anni, spesso lontano da casa, e pagando anche le tasse”, sostiene. “Così si crea una disparità sociale: a seguire questo percorso di formazione altamente specialistica è solo chi può permetterselo. Personalmente – aggiunge lo specializzando –  faccio i salti mortali tra lavoro e studio”.

    Una piccola vittoria per gli specializzandi non medici, è arrivata con l’emendamento del Decreto rilancio che ha aperto all’accesso ai concorsi per la dirigenza sanitaria anche agli specializzandi biologi e biotecnologi a partire dal penultimo anno di specializzazione. Ma questo, spiega La Bella, è solo un “piccolo tassello” nella lotta per il riconoscimento di pari trattamento per gli specializzandi non medici. “L’obiettivo finale per noi rimane il riconoscimento del percorso di formazione specialistica. Chiediamo la stipula di contratti di formazione e lavoro retribuiti durante tutto il percorso di specializzazione”.

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