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    Social-Camorra: le faide criminali combattute anche su TikTok tra emoticon e pistole

    Sui social network una narrazione e una semantica che puntano a fare proseliti

    Di Claudio Mazzone
    Pubblicato il 24 Ago. 2021 alle 18:47 Aggiornato il 24 Ago. 2021 alle 18:48

    “L’importante nella vita e rimanere il segno…”. È questa frase sgrammaticata, accompagnata da un primo piano di una lunga barba ben lisciata, l’ultimo post sui social di Giulio Fiorentino, 29enne ucciso in un agguato di camorra nel marzo scorso a Ponticelli. Una faida, quella del quartiere orientale di Napoli, combattuta anche attraverso post su Facebook, video su TikTok e stories su Instagram. D’altronde la camorra ha sempre prestato la massima attenzione alla fascinazione, al mostrarsi come potere vincente, a farsi vedere non tanto per attrarre ma per creare mondi condivisi, modelli da imitare, narrando storie di criminali come se fossero epiche avventure di eroi popolari.

    Le piattaforme digitali con 4 miliardi e mezzo di utenti in tutto il mondo, il 53 per cento della popolazione della terra, sono oggi una valida rappresentazione della società globale, e riescono a far emergere fenomeni sociali che restano di solito nascosti. Se si pensa che ogni secondo 15 persone si iscrivono ad un social, 1,3 milioni di utenti in più ogni giorno, quasi mezzo miliardo ogni anno, si riesce a percepire l’enorme potere che questi spazi comunicativi racchiudono. In questa realtà digitale fatta di dati, di contenuti e di engagement, ogni gruppo sociale si auto-rappresenta senza censura, identificando i suoi modelli e i suoi confini. La camorra sui social ha creato una sua narrazione e una sua semantica. Ha infatti i suoi influencer criminali e i suoi follower che attira e coinvolge con un linguaggio nuovo. Per questo possiamo parlare di “social-camorra”.

    In questo nuovo spazio comunicativo le emoticon acquisiscono significati particolari. Il simbolo della siringa, ad esempio, viene utilizzato per sancire i patti di sangue. Le catene vengono, invece, utilizzate per esaltare la detenzione degli affiliati. Le frasi dei post della social-camorra, se non copiate o condivise da pagine che esaltano il crimine, sono brevi, dirette, immediate. La lingua utilizzata è un napoletano reinventato che ha le connotazioni dello slang più disarticolato ed è contaminato da parole dei ghetti americani. Anche l’utilizzo degli hashtag non è casuale. Per contrastare i collaboratori di giustizia si usa l’hashtag #Infame unito a foto e disegni di lingue tagliate, un metodo per catalizzare il flusso di offese e di minacce nei confronti dei “pentiti”.

    C’è poi #ES17, l’hashtag dedicato al boss ragazzino Emanuele Sibillo di Forcella. Basta digitarlo per trovare un flusso di frasi e di foto che esaltano Sibillo e una serie infinita di TikTok con ragazzine che imitano la compagna del boss della Paranza dei Bambini che ne esalta le doti. È proprio TikTok il mezzo più interessante per osservare i cambiamenti della social-camorra. È su questa piattaforma che le nuove leve si fanno sentire e si costruiscono identità digitali che poi diventano trampolini di lancio per le attività criminali. Le emoticon sono sempre le stesse a cambiare è l’utilizzo dell’audio. La moda dei TikTok fatti con le immagini dei colloqui in carcere degli affiliati e con in sottofondo la voce di Riina al maxiprocesso è diventata virale.

    I profili di mogli, madri, figlie e figli che sognano di diventare influencer, tra foto di vestiti e canzoni neomelodiche, postano i video del parente detenuto accompagnato da frasi contro lo Stato, per eliminare ogni dubbio su un possibile “pentimento”. Un esempio chiaro sono i profili TikTok dei figli di Costanzo Apice, killer degli scissionisti di Scampia, “gli spagnoli”. Le loro bacheche sono piene di video con le foto del padre in carcere insieme con gli altri membri del clan e una frase che si ripete: “Stanno solo riposando…” con le emoticon delle bombe, dei leoni, e le bandiere spagnole.

    Le feste di famiglia vengono accuratamente condivise sui social come segno di potenza e ricchezza del clan. Poche settimane fa i TikTok dei festeggiamenti della comunione del figlio di Pasquale Cristiano, considerato ai vertici del clan della 167 di Arzano, hanno fatto il giro del web. Una sfilata di auto di lusso con il presunto boss in Ferrari mentre era ai domiciliari e le immagini della festa con la carrellata infinita di neomeldici hanno destato scandalo e Cristiano è tornato in carcere.

    Un altro esempio è la festa del 18esimo compleanno di Massimiliano Junior Esposito, figlio di Massimiliano detto “o’Scagnat”, boss del clan Esposito, egemone nel quartiere di Bagnoli e ora in carcere al 41bis. I video dei festeggiamenti sono rimbalzati sui profili TikTok di chi ha partecipato alla festa e dei performer che sono stati ingaggiati, diventando virali. Una chiara dimostrazione di potere, un tentativo di fascinazione che racchiude tutte le caratteristiche della social-camorra. Il giovane festeggiato nei video è cosciente dell’importanza del momento e, fasciato in un abito bianco, infilato in una camicia dorata e accompagnato da ballerine in abiti succinti, fende folle di ammiratori tra bottiglie di champagne, neomelodici e trapper napoletani per tutti i gusti.

    La festa, svolta a maggio in piena violazione delle norme anti-Covid, può essere letta come un messaggio chiaro di un clan che vuole mostrarsi ancora vivo e potente, dopo le vicissitudini che in questi anni lo hanno indebolito. Il simbolo del clan aleggia in ogni video. La catena in oro che il neodiciottenne porta al collo con un ciondolo enorme “6.5” è infatti la sigla del clan Esposito. Il 6 sta ad indicare la sesta lettera dell’alfabeto, la F di Famiglia, il 5 la quinta, la E di Esposito.“6.5 regna” scrivono nei commenti e nei post gli invitati e il festeggiato, una sigla che torna, che viene rilanciata che sembra essere al centro della festa più di Massimiliano Junior.

    La faida di Ponticelli tra il clan XX e i De Luca Bossa però segna un salto di qualità della social-camorra. Il clan degli XX nasce infatti nel 2017 proprio sui social network attorno alla figura di Antonio De Martino. De Martino eredita, dopo l’arresto del padre e del fratello maggiore, ciò che rimane del disarticolato clan dei Di Micco e, per rimettere in sesto il suo gruppo, inizia una vera e propria campagna social allo scopo di attrarre nuove leve. Ogni suo post si conclude con la sigla XX. Foto di vacanze di lusso, di bottiglie di champagne e di locali alla moda. De Martino si trasforma da semplice boss di piccolo taglio ad influencer della camorra, capace di stimolare le fantasie di giovanissimi ragazzi pronti a diventare XX. I muri di Ponticelli si riempiono della sigla del clan e quando il boss viene arrestato per omicidio e condannato all’ergastolo, gli XX sono ormai un esercito di giovani in barba lunga, capaci di usare i social ma anche di essere spietati. Dopo l’arresto del boss, la gestione social viene ereditata proprio da Giulio Fiorentino. I suoi video di violenza su alcuni disabili e le dirette dalla “XX house”, l’appartamento nel quale il clan organizza i suoi traffici, diventano virali e ancora oggi, nonostante il suo omicidio, continuano a essere visti.

    Ma c’è un video che segna il salto di qualità della social-camorra. A condividerlo è un profilo TikTok registrato come “fraulella”, soprannome storico del clan De Luca Bossa, dalla coppia Maria Giovanna De Luca Bossa e Antonio D’Amico, figlio di Nunzia D’Amico uccisa in un agguato proprio da Antonio De Martino. È una carrellata di fotografie di boss e camorristi morti o al 41bis appartenenti ai clan Minichini e De Luca Bossa. I due sodalizi con questo TikTok, sul quale sta indagando la polizia postale, avrebbero sancito un’alleanza militare e l’avrebbero mostrata sui social per comunicare al quartiere e agli XX che le forze in campo sono cambiate, un messaggio chiaro che supera la mera propaganda.

    La social-camorra è un fenomeno che fa emergere come la criminalità organizzata sia parte della nostra società, quanto sia visibile e come si muova a stretto contatto con mondi legali. Un fenomeno che ha sempre vissuto nella claustrofobia del margine, con i social, invece, esce dai
    quartieri disagiati, dagli agglomerati di caseggiati popolari fatiscenti e si rilancia nel mondo arrivando sulle bacheche di tutti con un linguaggio che si adatta agli algoritmi e alle forme della nuova società globale.

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