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    Regeni, nuovi tentativi di depistaggi dall’Egitto: “Il Kenya ci ha detto che un testimone ha mentito”. Ma non è vero

    Credit: Ansa foto

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 25 Giu. 2021 alle 14:37

    Non lo accettano e non lo accetteranno. Il processo ai quattro 007 egiziani non va giù al governo di Al Sisi che trova nuove strade per buttare fumo negli occhi e delegittimare le indagini della Procura di Roma nel caso dell’omicidio Regeni. Ma le bugie hanno le gambe corte e anche questa volta i tentativi di depistaggio sono venuti a galla senza troppi sforzi.

    L’Egitto ha infatti deciso di depositare – nel processo ai quattro ufficiali dei servizi accusati del sequestro, la morte e le torture di Giulio Regeni che sta per cominciare a Roma – una lunga memoria per contestare le dichiarazioni del testimone Gamma, che ha raccontato al Procuratore capo Michele Prestipino e al sostituto procuratore Sergio Colaiocco di aver ascoltato nell’agosto del 2017, in un ristorante di Nairobi, un egiziano poi qualificatosi come il maggiore Magdi Sharif (uno dei quattro imputati per il sequestro, la tortura e l’omicidio del ricercatore friulano) confessare a un collega keniano di avere fermato e anche picchiato Giulio la sera del 25 gennaio 2016, e stendere un memorandum che contestasse in toto le accuse mosse dai pm italiani agli imputati.

    La memoria è  stata consegnata all’Italia in via ufficiale, direttamente dalle mani del procuratore generale della repubblica araba, Hamada Al Sawi. E dall’Italia è stato ricevuto, in maniera estremamente irrituale, direttamente dall’ambasciatore italiano Gianpaolo Cantini. Il procuratore generale egiziano dice nei nuovi documenti: “L’atto riporta la smentita di quanto era stato sostenuto circa un agente di polizia egiziano, durante una riunione nella capitale del Kenya che asseriva di aver avuto un ruolo nel rapimento e nell’aggressione di Regeni”.

    Ma tali affermazioni sono completamente mendaci. Basta verificare la risposta keniana che sostiene altro: “Risulta impossibile – si legge – provvedere all’esecuzione della richiesta dell’assistenza, in quanto gli elementi riportati non sono sufficienti per identificare l’ufficiale della polizia keniano oggetto della richiesta”.

    Insieme al tentativo di delegittimare il teste Gamma, i pm egiziani hanno anche inviato un lungo memorandum nel quale, scrive il Corriere, “si contraddicono quasi punto per punto gli elementi d’accusa raccolti contro i quattro imputati” per concludere che “la Procura generale egiziana ritiene i sospetti delle autorità investigative italiane il risultato di conclusioni scorrette, esagerate e logicamente inaccettabili, contrarie alle regole penali internazionali compresa la presunzione d’innocenza e la necessità di fornire prove inconfutabili contro gli indagati per processarli”.

    Inutile domandarsi perché l’Egitto prosegua nel solco della menzogna. Sarebbe più utile, invece, chiedersi come mai il nostro ambasciatore, di gran lena, sia andato personalmente a ritirare un fascicolo che altro non rappresenta se non una summa di insulti nei riguardi dell’operato della giustizia italiana.

    La consolazione, in questo teatro delle maschere, resta una: il processo del 14 ottobre si farà. Nessuno ferma la sete di verità.

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