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    Il re dei mercatini dell’usato a TPI: “Lasciateci aperti, con il riuso la gente ci campa”

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi/TPI

    "Se la crisi del Covid è anche sociale, perché dovremmo chiudere? Con i soldi che guadagna vendendo oggetti usati da noi la gente paga le bollette". Sebastiano Marinaccio è il presidente di una delle catene più diffuse e particolari d’Italia: “Il Mercatino”. Oltre 200 negozi in tutto il paese, un fatturato da capogiro, un business con una esternalità ecologica e - addirittura - una funzione sociale, perché, spiega lui, “Il riciclo inquina. Il riuso no”. Oggi Marinaccio dice: “Spesso, per via di queste classificazioni improprie delle Camere di commercio, finiamo catalogati fra le attività non indispensabili. La nostra richiesta è quella di avere un codice Ateco unico. Non solo per noi, ma per tutti i 3400 negozi di compravendita che ci sono in Italia”. La storia di questa catena di negozi, come vedremo, è molto particolare, e anche interessante

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 5 Dic. 2020 alle 15:04 Aggiornato il 5 Dic. 2020 alle 15:05

    Sebastiano Marinaccio, buongiorno: lei da presidente della Catena “Mercatino”, ha comprato una intera pagina del Corriere della sera, per pubblicare una lettera aperta al governo, perché?
    Noi siamo una catena di negozi particolare. In questi mesi stiamo vivendo un paradosso normativo.

    Dal punto di vista tecnico?
    Da tutti i punti di vista: ma purtroppo anche – e soprattutto – da quello del codice Ateco.
    In che senso?
    Dal momento che non esiste una normativa unica per regolamentare il nostro settore in questo momento ci vengono attributi codici diversi.
    Cioè?
    In alcune regioni siamo inquadrati come “mediatori”, in altri come negozi di “seconda mano”, in altri come “operatori del riuso”.

    Come mai?
    Non avendo un codice di riferimento ogni camera di commercio ci “vede” come vuole.
    E questo comporta delle grandi difficoltà in questi tempi di zone rosse e di chiusure?
    Ovviamente sì: abbiamo una geografia a macchia di leopardo ed esiti diversissimi.
    Del tipo?
    In alcuni centri – con negozi identici – possiamo stare aperti. In altri no. Le pare possibile?

    E questo vi crea dei grandi problemi.
    Sì, ma non solo a noi. Li crea soprattutto al pubblico.
    Perché, per via delle regole delle Mercatino, voi avete stabilito con i vostri clienti un rapporto particolare.
    Di fatto in questa crisi – come le spiegherò meglio tra breve – abbiamo funzionato come una banca.

    In che senso?
    Incassiamo denaro che è dei clienti, e quando ce lo chiedono indietro glielo diamo.
    Quindi se siete chiusi nessuno può incassare ciò che ha guadagnato.
    Esatto. Dove siamo stati costretti ad abbassare le saracinesche le persone venivano letteralmente a bussare alle nostre vetrine.
    Per quale motivo?
    Per chiederci di poter ritirare quello che avevano maturato. Importi anche importanti. Centinaia o migliaia di euro.

    Perché molte persone, con i mercatini, mettono insieme una sorta di reddito.
    Esatto. Guardi, le cito un numero che ha colpito anche me.
    Quale?
    Dopo queste proteste ho fatto calcolare dalla contabilità quando era il totale degli importi che noi dovevamo restituire ai nostri clienti, nei luoghi in cui eravamo rimasti chiusi.

    E di che ordine di grandezza parliamo?
    Di una cifra mostruosa: 4,8 milioni di euro.
    E cosa chiede al governo?
    Una cosa molto semplice. Questi non sono soldi nostri. Avremmo tutti i vantaggi del mondo a trattenerli sui nostri conti. Però…
    Cosa?
    Non abbiamo interesse a tenerli, e non ci sembra giusto farlo. Vogliamo solo la certezza di poter restituire queste somme, che non appartengono a noi, ma ai nostri clienti.

    Sebastiano Marinaccio è il presidente di una delle catene più diffuse e particolari d’Italia: “Il Mercatino”. Oltre 200 negozi in tutto il paese, un fatturato da capogiro, un business con una esternalità ecologica e – addirittura – una funzione sociale, perché, spiega lui, “Il riciclo inquina. Il riuso no”. Adesso Marinaccio dice: “Spesso, per via di queste classificazioni improprie delle Camere di commercio, finiamo catalogati fra le attività non indispensabili. La nostra richiesta è quella di avere un codice Ateco unico. Non solo per noi, ma per tutti i 3400 negozi di compravendita che ci sono in Italia”. La storia di questa catena di negozi, come vedremo, è molto particolare, e anche interessante.

    Marinaccio, ci racconti la sua e la vostra storia.
    Vivo a Torino, ma sono di origini meridionali. Il mio è stato uno dei nostri primi negozi.
    Il primo mercatino dove è nato?
    Lo ha aperto 26 anni fa a Verona, il fondatore della catena, Ettore Sole. Io sono arrivato quasi in contemporanea.

    La grande novità dei Mercatino è che non erano dei “normali” negozi di seconda mano in cui un imprenditore comprava e si rivendeva.
    Esatto. Noi siamo custodi ed espositori, ma la merce resta di proprietà dei clienti, che se vogliono possono anche recuperare gli oggetti, quando vogliono.

    E poi, quando si vende, i clienti prendono il ricavato e lasciano una commissione.
    Che è del 50%. Quindi il venditore che ci dà le sue cose non rischia nulla: espone, vende, incassa.

    Questo ha anche un risvolto particolare.
    (Ride). Ogni oggetto è inventariato, catalogato e prezzato, informaticamente, con una etichetta che ha il codice del cliente.
    Così loro possono anche controllare.
    Spesso il cliente arriva e dice: “È stato venduto! È stato venduto!”.
    Un tempo, per comodità, tutti i pagamenti venivano fatti un unico giorno del mese, il primo. Giusto?
    Proprio così. Ma un giorno, proprio con il primo grande salto di dimensione del fenomeno Mercatino, per noi non è stato più possibile fare così.

    Perché?
    Il primo del mese, quando pagavamo, si formavano delle file infinite che talvolta uscivano addirittura fuori dai negozi. Oggi sarebbe impensabile per il Covid, ma anche all’epoca – tre anni fa- era un problema.
    E come avete risolto?
    Con un enorme sforzo di riprogettazione contabile. Adesso se vendi l’oggetto puoi incassare subito il tuo guadagno, puoi chiederlo quando vuoi.
    Peró, quando si è creato il caos delle file, avete capito che eravate diventati un fenomeno sociale.
    Abbiamo tanti clienti, moltissimi anziani, magari a basso reddito, che con il mercatino integrano i loro redditi. Qualcuno sbarca letteralmente il lunario.

    Mi faccia un esempio.
    Un signore di Torino, molto distinto, che corre ad incassare anche solo tre euro di un guadagno giornaliero, e ci dice che ci va a comprare il latte.
    Ma ci sono anche clienti di estrazione più diversa.
    Con i reparti dell’usato firmato, abbiamo messo insieme un pubblico Interclassista.
    Facciamo un altro esempio.
    La signora chic milanese che svuota il suo armadio portandoci il suo usato di marca. Talvolta di alta moda.
    E che succede?
    Lei porta il suo guardaroba griffato usato e altre persone, magari di una piccola borghesia che non potrebbe permettersi i costi dei marchi nuovi, si concede il gusto della “seconda possibilità” a buon mercato.

    Sento che questo le piace molto.
    (Ride). È uno dei tanti congegni che si creano nei nostri negozi: io quando lo spiego ai nostri dipendenti lo chiamo “Osmosi”.
    Però si deve fondare sulla capacità dei valutatori di certificare la qualità degli oggetti.
    E quella è un’altra funzione importante. Lo sa che facciamo dei corsi di aggiornamento e formazione per chi sceglie le merci da esporre?

    Lo so, perché poi ogni Mercatino “assomiglia” nell’assortimento ai suoi valutatori. Nel negozio di Porta Maggiore si specializzano in certe griffe, a Trionfale nei grandi mobili d’epoca, in quello di via Appia c’è un ottimo reparto bibliografico, e così via…
    …Ed è così in tutta Italia perché ogni oggetto è unico, ogni negozio è una esposizione di merci potenzialmente uniche.

    Un giorno ho visto in vendita un plastico di San Pietro largo sei metri a 1.400 euro.
    (Ride). Fossi in lei l’avrei comprato.
    Mi sono lasciato sfuggire anche due bellissime poltrone da barbiere a Marconi. Spieghi “il meccanismo dell’attesa”.
    Ogni oggetto è marcato in modo visibile con la data del suo ingresso. Il cliente la vede, e sa che dopo sessanta giorni il prezzo cala. Poi calerà di nuovo, ogni trenta giorni.

    Quindi si crea un meccanismo di “borsa”.
    E tutti controllano le date. Puoi scegliere un oggetto, non comprarlo, in attesa che cali, se manca poco.
    Ma se qualcuno arriva prima te lo frega.

    Esatto.
    Mi racconti un altro fenomeno “sociale” che ruota intorno ai negozi.
    Questo purtroppo è triste: le separazioni.
    In che senso?
    Quando andiamo a fare la stime a domicilio, i valutatori mi dicono: “È una separazione: case che devono essere smantellate in fretta, e che finiscono smontate, di fatto, in vendita nelle nostre filiali. I letti, i mobili, i libri…

    Me ne racconti un’altra bella, invece.
    Da noi vengono tutti gli artisti. E si crea anche qui un meccanismo circolare di commercio.
    Quale?
    Ogni filiale ha la sua piccola pinacoteca, quindi un artista di fatto espone. Se vende porta altri quadri, si fa il suo pubblico e il suo mercato. Talvolta compra le stesse tele su cui dipingere da noi.
    Scegliendo quadri di poco valore da coprire.
    È il meccanismo del riuso. Tutto quello che viene riciclato è utile.
    Come recita la radio stile “Grande Fratello” che si sente sempre nei Mercatini, alterando questi dati tra una canzone e l’altra.
    Idea meravigliosa, vero? Pensi che quella la curano dei ragazzi di Catania che hanno avuto l’idea.

    A proposito di ricircolo, ricordo una coppia di pensionati intervistati a Roma in un servizio di La7: lei sceglieva oggetto rotti, lui, il marito, li riparava. E così li riportavano in vendita ad un prezzo maggiorato.
    Questo è un fenomeno frequente, anche ad opera di singoli. Io personalmente credo sia da incentivare. Per lo spirito dei negozi, e per la sua utilità.
    Infatti c’è una fase sibillina sui cartellini. Magari c’è una bici senza ruote, però voi non scrivete “rotta”, ma solo “da rivedere”.
    Ah ah ah: è nel nostro spirito.

    Cosa intende?
    Le ho detto che il primo negozio lo ha fondato Ettore Sole a Verona. Era un tecnico informatico, la sua azienda era andata in crisi, aveva perso il lavoro, era diventato esodato.
    E queste sue competenze sono state decisive.
    Lavorava all’Italtel, iniziò con l’idea della catalogazione digitale che è il principio di tutto.
    Chi ha creato il logo?
    Un’azienda di Verona. Non dovrei dirlo, ma pensi che non mi piace più.
    Davvero?
    Sí oggi dà una idea troppo… chip. Però è riconoscibilissimo vedi solo quel colore violetto e lo individui già. Cambiarlo adesso sarebbe pericoloso.

    Come fate ad evitare la ricettazione?

    Il metodo Mercatino si è evoluto nel tempo. Portiamo il Registro degli affari in pubblica sicurezza. Ogni clienti è censito con documento e residenza.
    È un deterrente.
    Esatto. Quando spieghiamo loro che occorre dare documento e generalità i furbetti partono sempre con la solita scusa: “Ma… forse… ho cambiato idea, non lo vendo più”.
    E quanti casi accadono?
    In un anno? Cinque o sei.
    Su quanti oggetti?
    Su quindici milioni di pezzi.
    Vendete quindici milioni di pezzi?
    (Sorride). Esatto. Ma il prossimo anno saranno di più.

    E quanti utenti unici registrati avete?
    Aspetti… le dico il dato aggiornato… nove milioni.
    È pazzesco. Un paese più grande della Svizzera.
    Lo so. Un italiano su sei, compresi ottuagenari e bambini. Pensi che in uno dei pochissimi casi di ricettazione, la polizia postale ha ritrovato un quadro proprio grazie a noi. Era stato portato da un nostro cliente. Rivenduto ad un altro cliente.

    L’oggetto più grande?
    Un enorme armadio che non si poteva smontare. O la carlinga di un aeroplano, semafori, arredi di cinema, pale di altare… c’è l’imbarazzo della scelta.
    Il vostro è un franchising. Chi può entrare?
    Chiunque voglia. Dando prova di essere stimabile e onesto, che possa investire almeno 20mila euro per i sistemi, il marchio, a parte i capitali per le mura ed i dipendenti.

    A quanto vendete?
    Il valore medio degli oggetti è il 40% del nuovo.
    Quanti ne avete venduti quest’anno?
    Nel 2019, 45 milioni di oggetti.
    Milioni?
    Sì, uno per ogni italiano adulto.
    Incredibile.
    Siamo stati i primi al mondo a calcolare scientificamente – grazie all’Università di Roma – l’impatto ambientale degli oggetti che ricicliamo.
    Cioè?
    Abbiamo stimato l’energia che si sarebbe persa per distruggere questi oggetti.
    Per questo vi vantate di essere ecologici.
    Certo: molte cose altrimenti finirebbero tra i rifiuti. Pensi che con tutti gli oggetti venduti l’anno scorso si avrebbero coperto una distanza di Tir da sedici metri, uno in coda all’altro, dalla Sicilia al Belgio.

    Siete anche all’estero?
    Abbiamo un punto vendita a Ibiza. Ma adesso ci espandiamo in Europa.
    Cose curiose?
    A Cesena la ludoteca è gestita da un dj. La gente va lì anche per lui.
    Oppure?
    Il prezzo lo fa il mercato: a Roma lo stesso libro, dello stesso autore che si vende anche a Torino lo trovi a 1,5 euro in più.
    E come mai?
    C’è una mano invisibile che decide i prezzi e che noi riusciamo a individuare e a stimare con i nostri algoritmi.
    Cita Adam Smith?
    Sì, perché questa mano è impalpabile quanto implacabile.
    E cos’è?
    La legge del mercato. I prezzi li fa il mercato. Ed incredibilmente li fa diversi in ogni città.
    Non è il divario nord sud?
    No, l’Italia che vediamo noi non è divisa in modo tradizionale, per aree geografiche. Le nostre capitali sono Roma, Torino. Palermo. A Milano e Napoli, per dire, vendiamo meno.
    E perché?
    Non ne ho la più pallida idea. È un fatto di cultura. Di abitudini, di gusti.

    Oggetti scabrosi se ne vedono?
    Uhhhh…Qualche dipendente mi chiedeva se si potevano accettare Bastoni di legno sagomati a forma di pene.
    E lei?
    Ho spiegato che nei mercatini, rispettando la legge, si trova tutto. Esposto contro discrezione, a seconda dei casi.
    Anche il “Mein Kampf” di Hitler ho visto.
    Su questo abbiamo ragionato: è un libro, che ora si trova anche in libreria. Ma quello che è offensivo, o razzista, di norma non lo prendiamo. Abbiamo un codice deontologico.
    Addirittura?
    Siamo stati valutati come affidabili dall’Unione consumatori.
    Quanti dipendenti avete?
    Tra operatori diretti e indiretti duemila persone.

    Torniamo al nostro discorso di partenza.
    Noi sappiamo che con questi soldi che guadagna vendendo gli oggetti da noi la gente paga le bollette, le famiglie vanno a prendere la pizza…
    Lei vuole dire che siete utili.
    Non solo ai cittadini, anche allo Stato. Lo stesso oggetto può tornare sui nostri scaffali anche dieci volte: pensi a un libro o a un film… Ogni volta che gira ripaga le tasse!
    Vuole dire che…
    …Sono più redditizi sia per gli autori che per il fisco.
    Ma cosa volete esattamente?
    Che si risolva la questione dei nostri codici Ateco. Che il Mercatino – e i negozi come i nostri – siano trattati allo stesso modo in tutta Italia.

    Vorreste ovviamente essere tra quelli che restano aperti.
    Se questa crisi sanitaria è diventata anche sociale, perché dovrebbe chiudere chi consente di risparmiare a chi è in difficoltà?
    Cos’altro?
    Ci sono quattro progetti fermi in Parlamento. Sono tutti d’accordo, ma poi non poi non incardinano mai il dibattito in Aula.
    Perché?
    Secondo me perché sottovalutano questo fenomeno e tutti gli aspetti che le ho detto.
    Il vostro referente è il sottosegretario Misiani.
    Sì, la competenza è del Mise.
    Chiedete un trattamento di favore?
    No, affatto. Ma vogliamo essere riconosciuti per quello che siamo. Una impresa commerciale che svolge un servizio socialmente utile.

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