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    Bisognosi di psicofarmaci, insicuri e spaventati dalla normalità: così la pandemia ha sconvolto la vita dei ragazzi

    FOTO: Mirco Toniolo/Errebi / AGF

    Nei giovani tra i 12 e i 18 anni cresce la richiesta di psicoterapia online e di psicofarmaci. Molti lasciano la scuola perché non reggono la pressione. Anche la normalità, dopo il Covid, li spaventa

    Di Ludovica Amici
    Pubblicato il 11 Giu. 2022 alle 09:45

    Stanchezza, apatia, irritabilità. Ma anche ansia e depressione. La pandemia ha sconvolto la vita di bambini e adolescenti e ha interrotto la loro routine quotidiana. Se da un lato i lockdown sono stati cruciali per controllare la diffusione del coronavirus, hanno dall’altro creato delle condizioni di sviluppo anomale. Favorito la dipendenza dagli schermi, l’adozione di stili di vita più sedentari e un’alimentazione sbilanciata. Sono i danni collaterali della pandemia da Covid-19 che i giovani si trovano oggi ad affrontare. Isolati e privati del tempo di gioco, delle interazioni sociali e di una corretta istruzione. Anche la complessità della Dad e le numerose quarantene, sono state una sfida particolare per gli adolescenti e hanno generato un disagio profondo. La loro salute mentale è peggiorata, soprattutto per chi era già vulnerabile e, di conseguenza, è aumentata la richiesta di psicoterapia online e il consumo di psicofarmaci in età pediatrica, in particolare di antipsicotici e antidepressivi.

    «Abbiamo avuto un aumento delle richieste da parte degli adolescenti nella fascia dai 12 ai 18 anni per problematiche di autolesionismo, depressione e ideazione suicidaria, considerata da loro l’unica soluzione allo stato di sofferenza psicologica», spiega la dottoressa Maria Pontillo, psicoterapeuta di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, la quale aggiunge: «I ragazzi che io seguo si sono definiti “ragazzi interrotti” rispetto a quello che era il loro percorso di vita. Hanno smesso di progettare e investire sul loro futuro. Molti hanno lasciato la scuola perché non reggono la pressione scolastica e il confronto con gli altri, e ritornare alla normalità li spaventa». Anche i neonati e bambini piccoli ne hanno risentito perdendo delle grandi opportunità di stimolazione e ritardando nelle capacità comunicative. Non hanno potuto praticare la normale motricità perché non hanno giocato con altri bambini o non sono andati nei parchi giochi. Abilità fondamentali per gettare le basi per tutte le altre.

    Un problema globale

    In tutto il mondo i sintomi di ansia e depressione sono raddoppiati. La richiesta di aiuto ai Pronto Soccorso italiani per patologie di neuropsichiatria infantile è sempre più insistente, con un incremento anche del cento per cento in alcune regioni, tra cui spicca al primo posto l’Emilia Romagna, seguita da Lazio e Lombardia. Nel dettaglio, le patologie per le quali si è osservato un maggiore incremento degli accessi sono state l’ideazione suicidaria, la depressione e i disturbi del comportamento alimentare. Anche negli Stati Uniti la situazione è la medesima: le visite al Pronto Soccorso per tentativi di suicidio sono aumentate del 51 per cento per le ragazze adolescenti all’inizio del 2021, rispetto allo stesso periodo del 2019. La cifra è aumentata del 4 per cento per i ragazzi. A riportarlo è la Società italiana di pediatria.

    Allargando l’obiettivo su ricerche condotte anche all’estero, il quadro che emerge è lo stesso. Uno studio pubblicato sul Journal of Adolescent Health esamina le conseguenze sulla salute mentale sia prima sia durante la pandemia sugli adolescenti nel Regno Unito e le variazioni sociali, demografiche ed economiche dell’impatto. I risultati della ricerca effettuata su 886 giovani di età compresa tra 10 e 16 anni  mostrano «un aumento dei problemi emotivi degli adolescenti, dei problemi di relazione con i coetanei e un calo della loro tendenza pro-sociale». Lo raccontano a TPI il professor Yang Hu del Dipartimento di Sociologia della Lancaster University del Regno Unito e la professoressa Yue Qian, del Dipartimento di Sociologia dell’Università della British Columbia in Canada, autori dello studio. «Nella nostra ricerca abbiamo scoperto che l’aspetto socio-demografico delle famiglie in questo periodo di pandemia ha influito enormemente, perché la salute mentale degli adolescenti provenienti da famiglie con un solo figlio, un genitore e un reddito basso è stata particolarmente colpita. Esortiamo quindi i responsabili politici a mitigare le disparità nell’impatto della pandemia sulla salute mentale degli adolescenti, a interrogarsi su come le disparità siano radicate nelle disuguaglianze socioeconomiche pre-pandemiche e a intervenire su quelle future che potrebbero sorgere».

    Covibesity

    Per sottolineare l’aggravamento dei tassi di obesità verificatosi durante il lockdown nei bambini e negli adolescenti si parla oggi di “covibesity”. Come riporta l’analisi della Società italiana di pediatria, in America è stato riscontrato un aumento di peso tra gli adolescenti di circa 0,7 kg in più al mese, un ritmo di crescita che trasposto in sei mesi significherebbe 4 kg in più, oltre il doppio di quello che viene abitualmente considerato il corretto incremento ponderale di un bambino sano. Al pari, circa il 40 per cento dei bambini italiani ha modificato le proprie abitudini alimentari nel corso della pandemia: il 27 per cento ha dichiarato di aver mangiato di più e di aver aumentato in particolare il consumo di snack, succhi di frutta e bibite zuccherate. Questo perché il confinamento ha portato gli adolescenti a considerare il cibo come elemento di sostegno e conforto in condizioni di stress. Molte famiglie sono state costrette a razionare il cibo e fare scelte alimentari più economiche e malsane. E anche le chiusure delle scuole hanno impedito ai bambini appartenenti a famiglie povere di ricevere pranzi scolastici gratuiti e spuntini salutari esponendoli all’insicurezza alimentare.

    «La covibesity si è innestata su un precedente problema. In Italia nelle regioni centro meridionali abbiamo una prevalenza di obesità che, dopo Malta, è la più alta d’Europa: parliamo del 40 per cento di bambini obesi già prima della pandemia. Ma in questo periodo il problema è peggiorato, c’è stato un aumento del consumo di snack ipercalorici anche per noia», spiega a TPI  il professor Francesco Chiarelli, ordinario di Pediatria all’Università di Chieti e componente del Consiglio direttivo della Società italiana di pediatria, che ha condotto lo studio internazionale The impact of the Covid-19 pandemic on lifestyle behaviors in children and adolescents, pubblicato a febbraio sull’Italian Journal of Pediatrics. «I bambini hanno avuto anche una riduzione drastica dell’attività fisica che ha favorito l’incremento dell’obesità. Va ricordato che è una malattia, perché un bambino obeso ha il rischio maggiore di sviluppare il diabete e l’insufficienza epatica. Ma sono aumentati anche i casi di anoressia e bulimia», conclude Chiarelli.

    Incollati ai device

    L’ambiente scolastico è fondamentale anche per lo svolgimento dell’attività fisica, che viene praticata durante la ricreazione e per l’ora di educazione fisica, entrambe mancate durante il periodo di lockdown. Ciò ha aumentato di circa cinque ore al giorno il tempo trascorso davanti agli schermi, complice anche l’introduzione della didattica a distanza. Si è riscontrato un uso eccessivo dei social network, perché i giovani sono stati costretti in un mondo di incontri solo virtuali. Ma nonostante trascorrano innumerevoli ore connesse ai media, ciò che più colpisce è che gli adolescenti di questa generazione esprimono livelli elevati di solitudine, più di qualsiasi altro gruppo di età. Il professor Chiarelli lancia l’allarme: «La dipendenza dagli schermi dei giovani è un altro dei problemi drammatici e credo che questo determinerà una conseguenza a lungo termine sulle personalità dei futuri cittadini. Un esempio già palpabile è che le tesi di laurea dei miei studenti di medicina di oggi, rispetto a quelle di dieci anni fa, sono peggiorate macroscopicamente nelle capacità espressive e di scrittura, un problema serissimo da affrontare».

    Il sostegno

    Il bonus psicologo, recentemente approvato, punta a fronteggiare questa situazione con uno stanziamento di venti milioni che andranno alle strutture del Sistema sanitario nazionale. Dieci milioni saranno destinati al potenziamento delle strutture già esistenti e al reclutamento di professionisti sanitari e di assistenti sociali, mentre gli altri per quei cittadini che, in base all’Isee, potranno chiedere un ristoro di fronte alle spese per sedute di psicanalisi e terapie, cifra che potrà arrivare fino a 600 euro a persona.

    «Sicuramente è un valido aiuto e un passo importante verso il riconoscimento che esiste un problema di salute mentale per i più piccoli, a lungo considerato solo un problema degli adulti. La scienza, del resto, ci dice che gran parte delle patologie psichiatriche che vediamo in età adulta esordiscono da adolescenti. Quindi la loro salute mentale va protetta», dice la dottoressa Pontillo, che poi suggerisce: «Quello che ci auspichiamo è che il bonus venga utilizzato anche per avviare dei programmi di screening sul disagio psicologico nei bambini e negli adolescenti da effettuare nelle scuole e nei servizi territoriali così da intercettarlo precocemente. È fondamentale creare una rete sociale tra noi e la scuola che ha anche la funzione di costruzione di benessere piscologico».

    Il benessere psichico dei minori è diminuito di più del dieci per cento a livello globale, con il raddoppio dei bambini sotto la soglia del disagio e con un aumento di rabbia, noia, difficoltà di concentrazione, senso di solitudine e disturbi del sonno. Lo dichiara la Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia) e lo conferma il suo vicepresidente Alessandro Zuddas, che è anche professore ordinario di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Cagliari e direttore della clinica di Neuropsichiatria infanzia e adolescenza dell’Ospedale Cao, che afferma: «Con la pandemia la rete sociale è crollata e anche gli ospedali non erano attrezzati, una situazione in difficoltà già da prima. Nel nostro piccolo reparto di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Cao di Cagliari prima gestivamo tutta la Sardegna, ora non sappiamo dove accoglierli perché non abbiamo i posti letto e sono aumentate moltissimo le richieste per tentativi di suicidio e anoressia. Abbiamo scoperto che ci sono persino dei siti e delle chat segrete dove viene insegnato ai giovani a suicidarsi con successo e dei quali i genitori non sanno nulla. Come il gruppo “ex neuropsichiatria infantile” dove i ragazzi fanno a gara per essere ricoverati perché “lì tutti erano attenti a noi”. È un’epidemia: ci sono i genitori senza prospettive per la crisi economica, la scuola che ha perso il suo ruolo di supporto e il tipo di comunicazione oggi è al di fuori del controllo dei genitori, perché i giovani trovano siti dove si parla di come ci si ubriaca e di come ci si taglia, e dove si trovano le sostanze. Tutto ciò ha creato un corto circuito». Il professor Zuddas avverte: «Il virus verrà gestito nei prossimi mesi verosimilmente, questo problema invece durerà e richiede sia un intervento sociale che sanitario». La fotografia che ci viene restituita dal mondo scientifico è che i problemi di salute mentale degli adolescenti sono in aumento a livello globale, perché non hanno ricevuto sufficiente attenzione durante la pandemia. Il bonus psicologo sembra tendere una mano verso i giovani in difficoltà. Un passo in avanti per un problema di salute pubblica spesso ignorato e che dovrebbe, invece, essere prioritario nell’agenda politica

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