Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Cronaca
  • Home » Cronaca

    Caccia al ladro di opere d’arte: ecco i capolavori rubati di cui si sono perse le tracce

    Particolare dell'"Ecce homo" di Antonello da Messina

    In cima alla black list ci sono "La Natività" di Caravaggio e l’"Ecce homo" di Antonello da Messina

    Di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni
    Pubblicato il 16 Apr. 2023 alle 07:00

    Ci sono opere che passano la loro esistenza alle pareti di un museo o di una chiesa, e altre che intrecciano la loro storia a quella di ladri, rapine, controversie e indagini. Alcune sopravvivono per decenni all’ombra di collezioni private, altre riemergono inaspettatamente.

    Proprio come il dipinto di Peter Paul Rubens Cristo risorto appare alla Madre, recuperato dal Comando Tutela Patrimonio Culturale (Tpc) dei Carabinieri dopo peripezie inenarrabili: il prezioso bene culturale proveniva dalla collezione di una nobile famiglia locale, che lo custodiva in uno storico palazzo di Genova; dunque era stato ceduto a due collezionisti italiani (oggi indagati) che avevano fatto passare il dipinto per un’opera di un anonimo pittore fiammingo del valore di 25mila euro.

    Sotto mentite spoglie, quindi, era uscita dai confini nazionali nel 2014, per poi rientrarvi pochi mesi fa dopo una lunga inchiesta tramite la quale è stata riconosciuta la mano di Rubens. E accertato un valore di ben 4 milioni di euro.

    Anche perché l’opera in questione si caratterizza per un’eccezionale particolarità: una terza figura è visibile tra la Madonna e Cristo e si tratta di una probabile “terza Madonna”, una creazione precedente, un “ripensamento” che Rubens aveva deciso di non mantenere nell’opera.

    Molto spesso, addirittura, le opere trafugate finiscono finanche dentro gallerie e musei internazionali, pubblici o privati. Come nel caso dei 60 reperti archeologici del VII e del I secolo d. C. dal valore di circa 19 milioni di dollari, rientrati dagli Stati Uniti all’inizio di quest’anno. Tra le opere, anche un affresco pompeiano raffigurante Ercole fanciullo con serpente del I sec. d.C.

    Altre volte, ancora, il mercato parallelo e criminale prende corpo anche su internet. Un esempio? La lettera autografa di Gabriele D’Annunzio, trafugata oltre 10 anni fa e restituita pochi giorni fa alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, dopo che un collezionista privato di Viterbo l’aveva messa in vendita proprio su internet.

    L’ombra della mafia
    Mille storie, mille direzioni, mille avventure, dunque. Né c’è da sorprendersi. Il volume d’affari del traffico internazionale di opere, secondo gli ultimi dati dell’Interpol, vale 6 miliardi di euro. E la maggior parte dei flussi tocca il nostro Paese.

    Nel 2021, secondo i dati forniti a TPI dall’Arma dei Carabinieri, sono stati sottratti 3.904. Non pochi, certo. Ma comunque in forte diminuzione rispetto al periodo pre-Covid quando – per esempio nel 2019 – si toccava quota 13.291. Altri 33.869 beni però sono stati recuperati, per un valore stimato di circa 86,5 milioni di euro.

    Non solo: la “Banca dati dei beni illecitamente trafugati” – «unico esempio al mondo di catalogazione digitale a scopi preventivi e repressivi di opere d’arte», come spiega a TPI il generale Vincenzo Molinese, a capo del Comando Tpc – ne censisce oltre 8 milioni. D’altronde il nostro Paese, nel 1969, è stato il primo al mondo a dotarsi di una struttura per la tutela.

    «Abbiamo preceduto – spiega ancora Molinese – di un anno la Convenzione Unesco di Parigi del 1970, con la quale venivano invitati gli Stati Membri sia ad adottare le opportune misure per impedire l’acquisizione di beni illecitamente esportati e favorire il recupero di quelli trafugati, sia a istituire uno specifico servizio a ciò finalizzato».

    Il lavoro degli investigatori, d’altronde, è piuttosto complesso e articolato: il Reparto operativo si snoda in tre sezioni – Antiquariato, Archeologia, Falsificazione e Arte Contemporanea – mentre sul piano territoriale si contano 16 nuclei dislocati in tutta Italia.

    Non è un caso che, secondo quanto risulta a TPI, esiste una lista delle dieci opere most wanted. Al primo posto c’è La Natività di Caravaggio che, sparita dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo nell’ottobre del 1969, viene ritenuta un “furto mafioso”: il dipinto – secondo le parole del pentito Giuseppe Grado – sarebbe stato rubato da un’autonoma «batteria di ladri» che, in cambio di «4-5 milioni», avrebbe ceduto il quadro a Stefano Bontade; dunque sarebbe stato inviato a Cinisi da Gaetano Badalamenti, per poi prendere il volo verso la Svizzera dove «per essere venduta con maggiore facilità, sarebbe stata tagliata in più parti».

    Al centro di tutto un trafficante, che Grado stesso avrebbe riconosciuto in commissione Antimafia (che nella scorsa legislatura ha redatto una relazione ad hoc), la cui identità resta secretata. A far luce potrebbe essere un’inchiesta ancora in corso. 

    Most wanted
    I most wanted annoverano anche altri incredibili capolavori. Come l’Ecce Homo di Antonello da Messina rubato nel 1974 dal Museo Broletto di Novara insieme ad altre opere per un valore, al tempo, di 300 milioni di lire. O come la Madonna dell’Orto di Giovanni Bellini, sparito nel 1993 a Venezia, per cui inizialmente fu sospettato Felice Maniero, il boss della mala del Brenta.

    Ovviamente le modalità di furto spesso cambiano anche a seconda dell’opera d’arte. Al Sud, patria della Magna Grecia, e nel Lazio e in Toscana, terra di etruschi e romani, ci sono i cosiddetti tombaroli e dunque scavi illegali. In questo caso la “tradizione” passa di padre in figlio, all’interno di famiglie storiche “specializzate”.

    Anche qui i numeri parlano per tutti: al di là dei beni archeologici trafugati, nel corso del 2021 sono stati accertati ben 38 scavi clandestini. Gli oggetti passano poi a intermediari che provano a piazzarli tramite case d’asta e gallerie. Diverso il discorso per sculture, dipinti e gioielli: «una volta erano furti che avvenivano per commissione, ora c’è quasi sempre un basista all’interno del museo o della galleria», spiega uno degli investigatori dell’Arma.

    Esattamente come avvenuto nella rocambolesca rapina delle 17 opere, per oltre 20 milioni di euro, al museo di Castelvecchio a Verona nel 2015: il fidanzato di una ragazza moldava della banda lavorava nella security della struttura.

    C’è poi, accanto a tutto questo, un altro mondo: quello dei falsi. E anche qui i numeri parlano per tutti: nel 2021 sono stati effettuati 1.748 sequestri per un valore commerciale pari a 429 milioni di euro. Un “mercato” in crescita soprattutto sul fronte dell’arte contemporanea.

    Non è un caso che una delle ultime operazioni, “Infinito”, ha determinato il sequestro a Bologna di 658 opere contraffatte dell’artista Francis Bacon e del laboratorio dove venivano realizzate. Solo in questo caso il controvalore delle opere sequestrate è stato di 238.462.000 euro. 

    Dal mondo illegale, però, spesso le opere riescono ad essere piazzate e rivendute, anche tramite prestanomi, a musei e gallerie. Ed è qui che subentra il lavoro istituzionale e diplomatico del ministero dei Beni culturali.

    Nel corso del 2019 e 2020, secondo le ultime relazioni depositate in Parlamento e visionate da TPI, l’Italia ha portato avanti 41 procedimenti con diversi Paesi europei, dal Regno Unito fino alla Norvegia. Alcuni sono stati chiusi positivamente, altri invece sono ancora in corso.

    Anche per via del trascorso nazifascista, inevitabilmente è alla Germania che sono state indirizzate più richieste di restituzione. Come nel caso del «corredo in argento di sei opere religiose di arte paleocristiana del VI secolo dopo Cristo». I reperti, ritrovati nel 1935 a Canoscio vicino Città di Castello, sono stati individuati presso quattro diversi musei tedeschi.

    Quanto emerso dalle ricerche giudiziarie ha però dell’incredibile: i 6 oggetti furono acquistati il 22 maggio 1941 a Roma direttamente da Adolf Hitler, tramite il suo intermediario Hans Posse, che ne curava la collezione privata, con la mediazione del principe Filippo d’Assia.

    Alla fine della guerra, tutti gli oggetti furono confiscati dalle Forze Alleate di occupazione: ciò che era stato preso con la violenza o illegalmente fu restituito ai legittimi proprietari, quanto sembrava acquistato in modo legale passò, nel 1949, in custodia al governo della Repubblica Federale tedesca. Per questo, oggi è in piedi la richiesta di restituzione italiana. 

    Capolavori in esilio
    Curioso, invece, il destino del quadro Madonna con bambino. Attribuito negli anni Novanta a Giotto, si legge nella relazione del Mibac, «si trova illecitamente nel Regno Unito in quanto l’originario atto di circolazione è stato ritenuto illegittimo dalla magistratura amministrativa italiana».

    Per tale ragione l’Art Council England – l’Autorità inglese responsabile del rilascio delle licenze di esportazione – ha rifiutato il trasferimento del quadro. Da lì è nata una diatriba senza fine: la proprietaria dell’opera, la collezionista Kathleen Simonis, ha fatto ricorso alla giustizia amministrativa inglese.

    Il procedimento si è concluso con il rigetto del ricorso, a sua volta impugnato dalla Simonis. Risultato? «Al momento non è possibile ipotizzare gli esiti del procedimento, anche tenuto conto delle conseguenze sul caso della Brexit».

    Altri reperti archeologici italiani, ancora, sono stati rinvenuti al Louvre e al momento è in corso una trattativa con la Francia; mentre un affresco raffigurante San Bartolomeo e sottratto a una chiesa rupestre di Teano è stato ritrovato al Museo bizantino di Atene.

    Ancora più intricata la sorte del Lisippo di Fano, rinvenuto casualmente nel 1964 vicino le coste marchigiane, e venduto nel 1977 per circa 4milioni di dollari al Getty Museum dove continua ad essere esposto nonostante una recente sentenza della Cassazione obblighi il museo alla restituzione.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version