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    Catania, due migranti a bordo della Geo Barents si gettano in mare: “Non voglio risalire sulla nave”

    Di Massimiliano Cassano
    Pubblicato il 8 Nov. 2022 alle 08:14

    Restano attraccate al porto di Catania con il “carico residuale” a bordo le due navi delle ong Geo Barents e Humanity 1, rifiutandosi di uscire dalle acque territoriali italiane – come vorrebbe il decreto firmato dal ministero dell’Interno – se prima tutti i migranti non saranno portati a terra. “Questi sono viaggi organizzati, bisogna stroncare questo traffico di esseri umani”, risponde il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini a chi attacca il governo di comportarsi in maniera “inumana”. “Ci stiamo comportando con umanità ma anche con fermezza sui nostri principi e in tal senso impronteremo le prossime azioni. Stiamo lavorando sia sui tavoli europei che nazionali”, spiega il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, ribadendo che l’Italia non farà “mancare a nessuno l’assistenza umanitaria”, con i migranti rimasti a bordo delle navi che sono “costantemente monitorati”.

    Si tratta di quelli che non hanno passato la “selezione” degli ispettori mandati sulla nave, considerati quindi “non fragili” e quindi meritevoli di sbarcare. La tensione al porto di Catania sale: sulla Humanity i 34 rimasti stanno attraversando una “fase depressiva”, la ong ha comunicato che molti stanno cominciando a mangiare poco o a saltare i pasti. Dalla Geo Barents, invece, in due – un egiziano e un siriano – si sono buttati a mare, seguiti da un giovane che ha tentato di soccorrerli: i tre sono stati riporti sul molo 10 dove è ormeggiata la nave di Medici senza frontiere. Juan Matias Gil, capo missione della Geo Barents, spiega che “a bordo la situazione è molto tesa, le persone non capiscono perché gli altri sono sbarcati e loro no. Non possiamo dare loro risposte e allora l’ansia cresce, i conflitti crescono. Si buttano in acqua, una situazione che purtroppo vedremo molto spesso”. “Non voglio risalire a bordo – ha raccontato uno dei due ai volontari delle Ong – se mi rispediscono in Libia voi mi salverete di nuovo”.

    “Chi è a bordo di quelle navi – insiste il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini – paga circa 3mila dollari, che diventano armi e droga per i trafficanti”. La Commissione Europea ribadisce che c’è il “dovere morale e legale di salvare le persone in mare, in base alle leggi internazionali” e che “bisogna minimizzare il tempo che passano in mare”.

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