Nelle ultime settimane l’esame di maturità è finito al centro delle polemiche dopo che alcuni studenti si sono rifiutati di sostenere la prova orale dell’esame di Stato. «Signori, grazie di tutto, ma io questo colloquio di maturità non lo voglio sostenere. Arrivederci», avrebbe detto il 19enne Gianmaria Favaretto alla commissione esaminante del suo liceo, lo scientifico Fermi di Padova.
Favaretto è stato il primo maturando in Italia a decidere di boicottare l’orale come forma di protesta, avendo già in tasca i crediti formativi necessari per ottenere il diploma. Nessun comportamento impulsivo. Come ha spiegato lo stesso ragazzo in un’intervista rilasciata a Il Mattino di Padova, la sua è stata una scelta consapevole, dettata da una riflessione profonda sul significato dell’istruzione e sul sistema di valutazione scolastica. «L’esame di maturità per me è una sciocchezza. Trovo che l’attuale meccanismo di valutazione degli studenti non rispecchi la reale capacità dei ragazzi, figuriamoci la maturità», ha affermato il giovane.
Motivazioni analoghe sono state avanzate, pochi giorni dopo, a un centinaio di chilometri di distanza, da Maddalena Bianchi, pure lei sottrattasi all’orale nelle aule del liceo scientifico Galilei di Belluno. La 19enne ha spiegato di aver voluto prendere posizione contro «i meccanismi di valutazione scolastici, l’eccessiva competitività, la mancanza di empatia del corpo docente».
Nei giorni seguenti altri casi simili si sono registrati in Lazio, Toscana e ancora in Veneto.
Le reazioni
I gesti di protesta non sono affatto piaciuti al ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Il titolare del Mim si è affrettato a far sapere che dall’anno prossimo non sarà più ammissibile fare scena muta alla maturità come forma di protesta e ha assicurato che la riforma dell’esame – che non si chiamerà più «di Stato» ma semplicemente «maturità» – contemplerà il fatto che, se un ragazzo non si presenta all’orale o decide di non rispondere alle domande dei docenti, non perché non è preparato, ma perché vuole «non collaborare» o «boicottare» l’esame, dovrà ripetere l’anno.
Secondo Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi per la provincia di Roma, «questi ragazzi hanno fatto un gesto folcloristico a livello mediatico». «Il loro – osserva – è stato un modo per mettersi in evidenza. Molti usano Instagram o altri social, loro hanno scelto una forma più originale».
I presidi di DirigentiScuola, con il vicepresidente Alberto Mugnai, avvertono come la questione non vada sottovalutata: il gesto di questi ragazzi, a loro avviso, «solleva non pochi interrogativi», dal momento che evidenzia «un disagio vissuto quotidianamente da molti studenti pressati da eccessive aspettative». «Se da un lato riteniamo che a un esame pubblico sia necessario mantenere un comportamento rispettoso e responsabile, e che sia legittimo attendersi serietà da tutti i candidati, d’altra parte sarebbe superficiale ridurre questi gesti di “dissenso civile” a semplici mancanze di rispetto. È una richiesta di attenzione», sottolinea l’associazione sindacale.
Ornella Cuzzupi, segretaria dell’Ugl Scuola, taglia corto: «Nel momento in cui sono previste prove orali e scritte, non è auspicabile che possano esistere diversi modi di valutazione». La propria contrarietà a sostenere le prove – puntualizza Cuzzupi – può essere messa agli atti.
I motivi
Ma quali sono i motivi che stanno dietro questo disagio nei confronti della scuola e dell’esame di maturità?
I ragazzi protagonisti dei boicottaggi parlano di «meccanismi di valutazione» ed «eccessiva competitività». Probabilmente un peso l’ha avuto il fatto che in Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei, l’esame conclusivo del ciclo di studi superiore non ha un ben preciso valore e riconoscimento per il prosieguo della carriera scolastica o l’inizio di quella lavorativa. Il voto della maturità ha, sì, una indubbia importanza, ma il suo peso varia a seconda del contesto. Può influenzare le prime fasi della ricerca di lavoro, e all’università, specialmente per corsi a numero chiuso, può essere un fattore di selezione. Tuttavia, la legge n. 124/2015 ha abolito la possibilità di usare la valutazione ricevuta alla maturità come sbarramento nei concorsi pubblici. E tra le aziende private c’è chi ne tiene conto e chi no. In sintesi: il voto all’esame di Stato può avere un impatto nella ricerca di lavoro e in alcuni casi nell’accesso all’università, ma non è più un fattore discriminante. Questo aspetto potrebbe aver avuto un peso nei clamorosi rifiuti degli studenti.
«Protestare adesso, quando stai uscendo dal sistema scolastico, che senso ha?», si chiede il noto psichiatra ed educatore Paolo Crepet. «Non serve a niente. Non è di aiuto per nessuno», rimarca lo specialista. Crepet tuttavia dice di rispettare il punto di vista di questi studenti «perché è vero che la scuola non capisce i ragazzi»: «Il sistema scolastico – riflette – non si è mai adeguato a questa necessità. Nessuno in classe domanda a questi giovani come stanno. Non esiste lo spazio o il momento giusto per farlo: non è proprio previsto. Con chi dovrebbero parlare questi ragazzi? Non hanno nessuno con cui farlo. Né a scuola né in famiglia. Su questo abbiamo fallito. Ma la ragazza (Maddalena, la studentessa di Belluno, ndr) se l’è presa con l’unica cosa con cui non doveva prendersela». Ovvero i voti: «Questo non lo condivido: i ragazzi non accettano la valutazione ma non è possibile affrontare la vita con questo atteggiamento», rimprovera lo psichiatra. I ragazzi «devono abituarsi ai voti che ti dà la vita. Esiste ancora il non classificato? Potrebbe capitare anche quello e non sarebbe una tragedia – le sue parole a Il Messaggero –. Impariamo ad accettare la valutazione e quando perdiamo andiamo avanti. Così si impara».
La situazione all’estero
All’estero, specie in alcuni Paesi europei, la maturità o l’esame equivalente ha notevole importanza. È il caso, per esempio, della Francia, dove gli studenti devono sostenere il “Bac”, abbreviazione di “Baccalauréat”. Superare questo esame è fondamentale per l’ammissione all’università, anche se non garantisce l’accesso alle prestigiose Grandes Écoles, le accademie più prestigiose, per le quali è richiesto un ulteriore esame di ammissione e un anno di studi aggiuntivo.
L’esame di maturità francese si svolge a giugno, in due anni consecutivi: alla fine del penultimo anno, i maturandi affrontano la prova di francese, con l’aggiunta della materia specifica di indirizzo; alla fine dell’ultimo anno, viene invece sostenuto l’esame in tutte le restanti materie. La valutazione è sempre affidata a una commissione esterna. Il Bac è considerato molto selettivo e impegnativo, tanto che la percentuale di bocciature è piuttosto elevata (può arrivare al 20%).
In Inghilterra, il corrispettivo del nostro esame di Stato prende il nome di “Advanced Level”, meglio noto come “A-level”. Il funzionamento, però, è tutt’altro che sovrapponibile alla maturità italiana. Destinato solo agli studenti di 18 anni con un buon curriculum scolastico, questo esame è indispensabile per l’iscrizione all’università. A differenza di molti altri Paesi, tuttavia, non viene organizzato direttamente dalle scuole, ma prevede il coinvolgimento di enti specializzati esterni, che fanno sostenere diverse tipologie di A-level, a seconda delle certificazioni che si vogliono ottenere. Il voto finale dell’A-level è determinato in parte dall’andamento scolastico degli ultimi due anni, che incide per il 20-30%, e per il resto dal risultato ottenuto all’esame. Voto che conta molto per il futuro scolastico e lavorativo dei ragazzi.
In Germania, l’esame associabile al nostro esame di maturità è il cosiddetto “Abitur”, ovvero il titolo di studio ottenuto alla fine del Gymnasium, l’equivalente dei nostri licei. Dal latino “abire” (andare via, allontanarsi), l’Abitur sancisce dunque la fine del percorso di istruzione secondaria, fungendo anche da qualifica generale di ammissione all’università. Il voto finale è determinato dai risultati ottenuti negli ultimi due anni di scuola. La valutazione ottenuta può fare la differenza? Decisamente sì: gli alunni che ottengono un voto molto alto possono scegliere liberamente a quale università iscriversi, mentre coloro che ottengono un punteggio più basso devono iscriversi all’università assegnata loro dall’Ufficio Centrale per il Collocamento degli studenti negli istituti universitari.
E fuori dall’Europa? La Cina probabilmente è la nazione con l’esame di fine ciclo più selettivo di tutti. Si chiama “Gaokao” e viene svolto ogni anno a giugno: rappresenta un momento cruciale per la vita degli studenti cinesi, dato che determina in maniera piuttosto rigida l’accesso all’istruzione universitaria. Il punteggio ottenuto all’esame ha infatti un impatto significativo sulle opportunità future di istruzione e carriera. Inutile sottolineare quanto stress comporti per gli studenti…
Negli Stati Uniti non esiste un esame di maturità centralizzato o standardizzato a livello nazionale. Il sistema educativo Usa è infatti regolato in maniera differente da Stato a Stato e da distretto scolastico a distretto scolastico. In generale, per conseguire il diploma di scuola superiore negli States gli studenti devono raggiungere un certo numero di crediti in diverse materie, ottenibile attraverso il completamento dei corsi durante i quattro anni di high school.
Una passeggiata? Non proprio. Il sistema scolastico superiore americano è infatti noto per essere tra i più competitivi al mondo. L’assenza di un esame finale non si traduce in un’assenza di esami in generale, anzi: il rendimento scolastico degli studenti viene valutato, per ogni disciplina, passo dopo passo. Inoltre, la scuola a stelle e strisce lascia grande libertà agli studenti, che possono personalizzare parte del proprio percorso di studio. Un elemento che, se da un lato può essere considerato estremamente positivo, dall’altro carica di responsabilità l’alunno di turno, il quale dovrà costruire autonomamente un buon curriculum, con tanto di corsi facoltativi per accumulare crediti, spendibili poi a livello lavorativo. Se l’intenzione dello studente è invece quella di iscriversi alle università, il discorso si complica ulteriormente, visto che spesso gli atenei richiedono voti altissimi.