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    Farina indigesta: con gli insetti in cucina resta l’incognita sicurezza

    Credit: AP Foto

    Possibili reazioni allergiche. Pochi controlli. E un monopolio di fatto. L’ente alimentare europeo ha raccomandato ulteriori studi sulla farina di insetti. Ma la Commissione ne ha già autorizzato la commercializzazione. Nessuno, oltre al produttore, ha potuto verificare se questi cibi
 siano davvero sicuri
 su scala industriale.
 L'Efsa può solo
 vagliare la bontà
 dei dati forniti
 da Cricket One

    Di Massimiliano Andreetta
    Pubblicato il 10 Feb. 2023 alle 07:00 Aggiornato il 13 Feb. 2023 alle 16:39

    La pizza con la farina di grillo è finalmente realtà. Potremo farci il pane, i biscotti, le minestre e pure la birra. La lista dei prodotti che per la Commissione europea potrà annoverare la polvere di grillo domestico è ben nutrita. L’importante è che nell’etichetta sia riportata la presenza di «polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus».

    Per ora ci dovremo accontentare di questa specie ma, tra non molto, altre varietà potrebbero espandere i menù delle migliori pizzerie d’Italia e non solo. Un lavaggio adeguato ed uno specifico trattamento termico permetteranno di polverizzare i grilli e trasformarli in manipolabile farina, pronta per inondare di novità il panorama gastronomico. A mettere nero su bianco che non ci saranno controindicazioni è l’Efsa, la massima autorità europea in materia di sicurezza alimentare, approvandone l’immissione nel mercato assieme alle tarme della farina e alle locuste.

    Alimenti definiti “Novel food” ovvero nuovi per le tradizioni europee ma già ampiamente testati dai palati di miliardi di persone in Nord Africa, Asia, Australia e Nord America. Con un sapore – dicono – che ricorda la nocciola tostata, le proteine dei grilli contengono tutti gli amminoacidi essenziali (ovvero quelli che l’essere umano deve per forza introdurre con l’alimentazione) e un appropriato contenuto di grassi e fibre alimentari. In Asia va forte anche come finger food, mangiato intero, e la presa di posizione europea sancisce l’intenzione di seguirne la scia.

    Un regolamento contorto
    La firma di Ursula Von der Leyen sul nuovo regolamento, per com’è redatto, lascia a bocca aperta. Si tratta di un vaglio politico che archivia le limitate concessioni scientifiche degli esperti. Al punto 8 viene candidamente riportato che tale farina potrebbe creare allergie e non solo: »Sulla base delle limitate prove pubblicate sulle allergie alimentari connesse agli insetti in generale, che collegavano in modo ambiguo il consumo di Acheta domesticus a una serie di episodi di anafilassi, e sulla base di prove che dimostrano che Acheta domesticus contiene una serie di proteine potenzialmente allergeniche, nel suo parere l’Autorità ha concluso che il consumo di questo nuovo alimento può provocare una sensibilizzazione alle proteine di Acheta domesticus».

    Al punto 10 rincara la dose: «Può provocare reazioni allergiche nelle persone allergiche ai crostacei, ai molluschi e agli acari della polvere. L’Autorità ha inoltre osservato che, se il substrato con cui vengono alimentati gli insetti contiene ulteriori allergeni, questi ultimi possono risultare presenti nel nuovo alimento». Sembrerebbe che per la farina di grillo non ci sia ampio margine di manovra per l’immissione nel mercato in sicurezza. «L’Autorità ha raccomandato di svolgere ulteriori ricerche sull’allergenicità di Acheta domesticus». Eppure, qualche riga più tardi, la Commissione conclude: «È opportuno che gli alimenti contenenti polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus (grillo domestico) siano adeguatamente etichettati conformemente all’articolo 9 del regolamento (UE) 2015/2283». 

    L’autorizzazione concerne dosi molto contenute dunque, visto che le prove sono poche e che – quelle che ci sono – danno dubbi di anafilassi e certezza di reazioni allergiche. La Commissione però autorizza subito la commercializzazione della farina di grillo e a vagliare, solo in futuro, nuovi test e forme d’analisi. Della serie: intanto partiamo e poi controlliamo se l’automobile ha i freni oppure no.

    Il lato oscuro dell’iter
    L’analisi svolta dall’Efsa mira a individuare i potenziali pericoli biologici e chimici, ma anche l’allergenicità e i pericoli ambientali connessi all’uso di insetti allevati come cibi e mangimi. Sulla scorta dei dati messi a disposizione dal richiedente, ovvero il produttore, l’autorità ha concluso che la polvere parzialmente sgrassata di “Acheta domesticus” è sicura a certe condizioni, ovvero: cracker e grissini o i prodotti al cioccolato, per esempio, non dovranno contenere più del 2 per cento di farina di grillo, la pizza più della centesima parte e la birra potrà averne massimo lo 0,1 per cento. Se ne contempla un 3 per cento nel siero del latte in polvere e il 2 per cento negli hamburger di carne. Si tratta di percentuali apparentemente trascurabili ma che, proprio per questo, concedono un margine di accuratezza minore.

    Ad ogni modo, in tutti questi casi ci fideremo della premura del produttore affinché mantenga le stesse condizioni di allevamento e di trattamento dei grilli da quando nascono a quando vengono polverizzati. Non di meno, della loro conservazione. Sempre l’Efsa specifica a più riprese che il consumo della polvere può provocare reazioni nelle persone allergiche ai crostacei, ai molluschi e agli acari della polvere.  Inoltre se il substrato con cui vengono alimentati gli insetti contiene ulteriori allergeni, questi ultimi possono ripresentarsi nel nuovo alimento. Non solo, ha evidenziato che il consumo della farina di grillo può provocare una sensibilizzazione alle proteine di “Acheta domesticus”, rendendo necessarie ulteriori ricerche.

    Facciamo un esempio: per la realizzazione di alcuni prodotti, questa farina deve essere utilizzata entro i primi sei mesi e conservata a decine di gradi sotto lo zero ma nessuno ha avuto modo di sperimentare, né di dedurre dai dati proposti dal produttore, se le pietanze composte con la farina di grillo siano effettivamente sicure nel lungo termine, su scala industriale. L’autorità europea competente infatti, a causa dei limiti di budget, può solo vagliare la bontà dei dati forniti dalla società produttrice e confidare che questa si comporti secondo gli standard necessari.

    Monopolio vietnamita
    L’azienda che ne gioverà sarà solo ed esclusivamente la Cricket One Co., ovvero la società vietnamita che ha richiesto all’Unione europea di poter commercializzare l’alimento. È l’unica depositaria dei dati sperimentali – che sono secretati per lo stesso regolamento europeo – e avrà l’esclusiva nel mercato comunitario per i prossimi cinque anni. Nella pratica, un qualsiasi consumatore dei 27 Stati membri non potrà far altro che fidarsi della buonafede dell’oste, così come ha fatto l’Efsa mentre analizzava i dati forniti dal produttore. Qualora un nuovo produttore volesse fare concorrenza alla Cricket One, tra l’altro, dovrà ricominciare l’iter da capo oppure chiederle il consenso. Il monopolio della “nuova farina” è servito.

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