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    Il coraggio di realizzare i sogni: così Domenico ha detto addio al macello e ha aperto una libreria

    Durante il Covid, Domenico Cosentino e sua moglie prendono la decisione della vita: aprire una libreria. Un piccolo sogno che finalmente prende forma: "se non ora, quando?"

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 15 Set. 2023 alle 12:18 Aggiornato il 15 Set. 2023 alle 12:55

    Se esiste un lascito positivo della pandemia potremmo rintracciarlo in storie come quella di Domenico Cosentino. Un personaggio che sembra vivere a metà tra un racconto di Italo Calvino e un film di Jim Jarmusch. La sua storia ci parla di normalità e di rivoluzione. Di amare riflessioni e di scelte audaci. La sua storia è una storia come tante e allo stesso tempo unica.

    Domenico ha 41 anni, è originario di Pomigliano D’Arco in provincia di Napoli, e durante il Covid ha fatto i conti con la sua vita. La potenza della devastazione, la minaccia della fine, la paura di trovarsi nel luogo sbagliato vivendo un tempo che non si era scelto di vivere, hanno condotto Domenico a una decisione radicale.

    Ma facciamo un passo indietro. Domenico, laureato in Scienze Biologiche, ha sempre lavorato nella grande distribuzione. Nel mentre però è rimasta viva dentro di lui la voglia di scrivere, di buttare giù pensieri e dar spazio alle parole. Inizia così con un’autopubblicazione, un piccolo manoscritto che viene notato da un libraio in quel di Campobasso e che lo invita a leggere ciò che aveva scritto. Ne nasce un’amicizia che si trasforma in una collaborazione. I soci della libreria – Gino e Giovanna – sono proprietari di una tipografia. Tutti insieme decido di aprire una piccola casa editrice: la RoundMidnight che pubblica romanzi, racconti, storie illustrate.

    La casa editrice cresce ma non è sufficiente a sostentare Domenico che mantiene la sua attività nella GDO. Nel 2018 si trasferisce con sua moglie Flavia a Montemiletto, un piccolo borgo irpino e accetta una proposta di lavoro in un grande macello alle porte di Napoli.

    «Avevo una doppia scelta: o lavorare nel macello, o fare il controllo qualità per la Esso, i depositi di carburante. Avevo deciso di seguire la strada del naturale», ci racconta. E così Domenico inizia a lavorare nel macello dove fa un po’ di tutto, dal controllo qualità dal vivo fino alla vaschetta finale. E le autopsie post mortem. Tutte le fasi della macellazione. E così Domenico trascorre le sue giornate tra un racconto e un’autopsia a un pollo, navigando tra la realtà a volte fetida e dura del macello e quella sognata delle parole e delle immagini salvifiche della propria immaginazione.

    Ma qualcosa cambia quando anche in Italia arriva il Covid. «Il macello era l’unico posto dove si lavorava sempre. Si lavorava 6 giorni a settimana per 12 ore per cicli continui, non ti fermavi mai» dice Domenico.

    Da quel momento si instaura per lui un iper lavoro.«Da Montemiletto prendevo l’autostrada, deserta, per arrivare lì, dove si fingeva che fosse tutto normale. Era come vivere due vite. In questa cittadella circondata e super controllata sembrava tutto normale. Questa situazione mi ha stravolto totalmente. Non ce la facevo più a stare lì dentro. Con mia moglie parlavamo spesso di cosa fare, di cambiare vita».

    Domenico inizia a porsi delle domande. Come tanti giovani italiani e cittadini del mondo, ha iniziato a mettere in discussione la routine della vita che ogni giorno lo conduceva lì dove non si sentiva pienamente soddisfatto.

    «La situazione andava sempre peggiorando. Il macello è una fabbrica, è sempre una catena di montaggio. Anche finito il Covid la situazione non si è calmata, e hanno lasciato quel ritmo di lavoro. In questa situazione io come tanti altri non ce l’ho fatta», confessa. «Ci sono persone che lavoravano lì da 20 anni e altre che sono durate una settimana. E’ un lavoro tosto. A un certo punto ho mollato. Ognuno ha reagito a modo suo durante il Covid. Vedere la fragilità, lo Stato che non aiutava. Ho capito che la libertà veniva sacrificata. E così mi sono chiesto: posso mai fare questa vita? Se non lo faccio ora quando posso farlo?».

    Domenico e sua moglie prendono la decisione della vita. Ci pensano per un anno, riflettono su dove, come con quali mezzi e con quale futuro ma la piccola grande avventura avrà inizio: aprire una libreria.

    Già, perché è questa la scelta audace di Domenico e Flavia. Chi a 40 anni lascerebbe un lavoro sicuro per intraprendere quello che – nel nostro Paese – sembra ormai un suicidio imprenditoriale? Ma se c’è una cosa che ha fatto la pandemia – oltre a lasciare molte vite spezzate o indebolite – di certo è stata quella di farci tremare le gambe, farci capire che le certezze possono vacillare in ogni istante e che bisogna essere più consapevoli dei propri desideri vivendo il presente senza paura.

    «Quella fase storica sembrava la fine del mondo, ho pensato quindi: il mondo sta finendo, la vita è strana, e così non ha molto senso perché ho orari sfalsati, non vedo gli amici, non vedo mia moglie, ho detto devo cambiare vita. È stata una decisione di pancia: o questo o impazzisco. Abbiamo passato un anno a vedere tutte le spese, ma era l’unico modo per dare un senso alla vita», racconta Domenico.

    «Ci abbiamo messo un anno per decidere dove e come aprire la libreria. Abbiamo optato per san Giorgio del Sannio, un comune vicino Montemiletto dove c’è gente allegra e partecipativa. Quindi, finalmente, a maggio 2022 abbiamo aperto. Volevamo darci una possibilità di vita. Mia moglie è agente di viaggio, l’agenzia ha chiuso per tutto il periodo del Covid e poi per la guerra in Ucraina, solo ora stanno riprendendo. Io lavoravo senza fermarmi mai, non riuscivamo mai a incontrarci. Se avessi continuato a lavorare al macello non ne sarei più uscito. Quel luogo era come le sabbie mobili».

    Aprire la libreria “Casa Naima” è stato meno semplice di quanto sperato: con lo scoppio della guerra in Ucraina tutto si è rallentato: i materiali non arrivavano, i prezzi aumentavano e sembrava davvero un momento difficile. Ma Domenico e Flavia non si sono persi d’animo. «A distanza di un anno posso dire che le cose stanno andando bene. La vendita di libri è andata bene soprattutto nel periodo del Covid, era un modo per uscire di casa. Lì c’è stato un boom. Adesso si è avuta la reazione inversa. Le persone stanno meno a casa, ma funzionano molto gli eventi perché la gente ha voglia di uscire. C’è molta partecipazione durante gli incontri che organizziamo».

    Pian piano la libreria si è fatta conoscere e ha dato vita a laboratori ed eventi soprattutto con i bambini trasformandosi e modificando gli spazi dedicati ai più piccoli. «Il cliente del domani è il bambino. È dura, in certi momenti anche io sono scoraggiato. Ma adesso so che sto lavorando per me stesso, mentre prima ero scoraggiato per qualcosa che non vedevo. In quel momento mi sentivo talmente fragile e realizzavo di non aver fatto nulla. Oggi non è così».

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