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    “Mia figlia respinta dal locale di Ibiza perché napoletana”

    La denuncia di un padre su Facebook: “I buttafuori, una volta controllati i documenti, hanno detto che loro non accettavano persone della provincia di Napoli nel loro locale"

    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 21 Ago. 2019 alle 16:57

    Salvatore Ferraro, padre di Somma Vesuviana, ha denunciato sui social una vicenda che ha avuto come protagonista la figlia Alessia Ylenia che, in vacanza a Ibiza, sarebbe stata tenuta fuori da un locale perché “nata e residente a Napoli”. “I buttafuori, una volta controllati i documenti, hanno detto che loro non accettavano persone della provincia di Napoli nel loro locale”, ha scritto il padre sul suo profilo Facebook. Mia figlia e gli altri amici sono andati via addolorati e mortificati e, tra l’altro, tra i cori di scherno di alcuni ragazzi milanesi che erano lì e che li hanno dileggiati. Tale comportamento è inammissibile e razzista ed è da stigmatizzare specialmente in quanto avvenuto in una struttura così nota a livello mondiale”.

    Il giorno successivo la figlia Alessia ha corretto un po’ il tiro dicendo che il party era “dedicato esclusivamente ai residenti e alle persone che lavorano a Ibiza, vietandoci l’ingresso”, confermando comunque l’atteggiamento razzista dei buttafuori e di altri ragazzi presenti in coda. Interpellati da TPI, i gestori del locale non hanno voluto rilasciare dichiarazioni.

    Ovviamente si è alzata la buriana, la solita, tra chi si è giustamente indignato e chi invece ha sottolineato come i napoletani non siano ben accetti per validi motivi. La solita guerra tra poveri che qui da noi si è spostata nel corso degli anni prima sui terroni, poi sugli albanesi e infine sui neri. Un atteggiamento che comunque negli ultimi mesi si è acutizzato con rivoli preoccupanti e con atteggiamenti che sono sfociati in vera e propria violenza.

    La storia raccontata da Alessia e il padre però è particolarmente significativa perché racconta, come se ce ne fosse ancora bisogno, che nel dividere il mondo tra “noi” e “loro” si finisce sempre per essere i terroni di qualcuno, gli indesiderati che hanno il dovere di ingoiare il razzismo degli altri: alla fine, prima o poi, tocca anche a noi bere gli schizzi del torbido liquame che alimentiamo.

    Accade a una ragazza napoletana a Ibiza ma accade anche a molti lavoratori italiani in giro per il mondo, quelli che provano sulla propria pelle il rischio di intaccare i diritti e di ritrovarsi a farne i conti. Non accadrà per sempre che noi saremo dalla parte giusta del mondo e ci toccherà quindi fare i conti con la stessa bile che abbiamo, più o meno consapevolmente, contribuito a versare. Per questo il fascismo si cura leggendo e il razzismo si cura viaggiando: basta un episodio, anche piccolo come in questo caso, per chiarirci come il mondo sia una realtà molto più vasta e più complessa di quella che viene stritolata nei caratteri brevi di uno slogan per fare un po’ di propaganda. È che ci vorrebbe anche l’intelligenza di capirlo.

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