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    L’Italia arma la guerra in Yemen: nel 2019 vendute armi per 187 milioni ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi

    Di Francesco Cofano
    Pubblicato il 22 Mag. 2020 alle 16:47 Aggiornato il 22 Mag. 2020 alle 17:21

    Guerra in Yemen, nel 2019 l’Italia ha venduto armi per 187 milioni ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi

    Il 26 giugno 2019 una mozione con primo firmatario Pino Cabras, deputato del Movimento 5 Stelle, sostenuta e votata dai gruppi di maggioranza dell’allora governo Conte I, impegnava il governo italiano “ad adottare gli atti necessari a sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile (yemenita, ndr) sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”. Un anno dopo, gli aerei della coalizione saudita continuano a solcare i cieli e a sganciare bombe sulle teste dei civili, stremati da cinque anni di guerra, a cui si è aggiunta l’emergenza sanitaria da Covid -19.

    Il conflitto, che vede schierati da una parte il governo del presidente sunnita Mansur Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dalla coalizione saudita (Arabia Saudita, Emirati, Qatar in prima linea), e dall’altra i ribelli sciiti Houti, finanziati dall’Iran, non si è mai fermato. Così come non si è fermata l’esportazione italiana di armi e munizioni verso i paesi del Golfo, Arabia Saudita ed Emirati Arabi su tutti. Nel 2019, infatti, – come riferisce Rete Disarmo – sono state consegnate armi relative a commesse degli anni precedenti per un valore di 187 milioni di euro (96 milioni al regno della famiglia Salman, 91 alla federazione emiratina) e sono state rilasciate nuove autorizzazioni per l’equivalente di 195 milioni di euro (105,4 a Riyad e 89,9 ad Abu Dhabi).

    È ciò che risulta dalla Relazione governativa annuale sull’export di armamenti, che l’organizzazione ha potuto visionare e che è stata appena trasmessa al Parlamento. Che tra le numerose voci di spedizioni si nascondano proprio quelle armi di cui il Governo – dopo la citata mozione di maggioranza – ha sospeso la licenza? Non è dato sapere, e il perché lo spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente delle armi leggere di Brescia.

    “Il problema principale della Relazione è la trasparenza – spiega l’osservatore –. Sappiamo ad esempio che l’anno scorso la RWM (controllata italiana dell’azienda tedesca Rheinmetall, ndr) ha inviato in Arabia Saudita bombe MK per un controvalore di quasi 25 milioni di euro, ma non se questa spedizione sia avvenuta prima o dopo la mozione della Camera. Stesso discorso per i 187 milioni di consegne definitive. Questo è un dato aggregato, da cui è impossibile estrapolare singole voci riguardanti armi e date di invio”.

    Il fatto che gli ordigni siano bombe MK non è un dettaglio. Nel 2016 i resti di un esemplare di questo modello furono trovati tra le macerie di un palazzo della capitale yemenita Sana’a. Era la prova che l’Italia armava gli aerei della coalizione saudita. Quattro anni fa le Camere non avevano preso ufficialmente posizione contro il coinvolgimento – seppur indiretto – nel conflitto. Ma la scoperta fu comunque motivo di imbarazzo per l’allora governo Renzi, perché la legge 185 del 1990, che disciplina il “controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, vieta queste attività se i destinatari sono paesi i cui governi “sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo”. Proprio il caso dell’Arabia Saudita.

    Anche Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo, crede che avere a disposizione questi dati di dettaglio non sia un semplice “sfizio” da analisti. Se mancano queste informazioni il Parlamento non può svolgere la sua funzione di controllo e non può svilupparsi un dibattito adeguato nell’opinione pubblica. Non mi aspetto che la commessa sia stata inviata dopo la mozione, sarebbe una cosa gravissima. Ma non ho nemmeno la conferma definitiva. Così non ha senso pubblicare la Relazione”.

    “Da anni l’Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, autorità nazionale che risponde al ministero degli Esteri) fornisce i dati in questo modo – prosegue Vignarca -. Quando abbiamo chiesto chiarimenti ci hanno risposto che lo fanno per tutelare il segreto commerciale nei confronti di aziende estere concorrenti. Da parte nostra ci impegneremo affinché la Relazione venga discussa in Parlamento e ne venga chiesto conto al governo”.

    1. Yemen: le bombe made in Italy che uccidono i civili. L’inchiesta di TPI svela il business di armi tra Arabia Saudita e Italia / 2. Ecco tutti i paesi in guerra a cui l’Italia vende le armi: un bilancio per il 29esimo della legge sull’export

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