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    La guerra quotidiana nelle scuole di periferia

    Nei quartieri difficili l’abbandono è altissimo. Non basta lo studio nozionistico a dare speranza, serve un rapporto col territorio

    Di Redazione TPI
    Pubblicato il 3 Dic. 2021 alle 13:53 Aggiornato il 3 Dic. 2021 alle 13:53
    Di Ida Crea, Dirigente dell’IIS Enzo Ferrari di Roma

    Fare la preside in un istituto tecnico di periferia vuol dire lottare in un luogo ostile, degradato, dove i ragazzi sono deprivati economicamente e spesso anche affettivamente. Il mostro contro cui ho combattuto è l’abbandono scolastico. Un fenomeno che con il Covid si è tutt’altro che rimarginato. Le cause sono molteplici: il senso di inadeguatezza, la mancanza di mezzi e di aiuto, componenti della famiglia sulle spalle di ragazzi anche in giovanissima età.

    Il mio impegno quotidiano è stato creare per gli studenti delle occasioni di confronto e di crescita, di studio non soltanto delle materie ma anche delle relazioni umane. Perché la speranza per un futuro diverso si dà non solo attraverso le discipline, ma anche con la costruzione progressiva di un legame con gli attori del territorio (le associazioni, le palestre, i teatri, i cinema). L’aula ormai è diventata stretta per tutti, in periferia, in centro, sulla luna. Ma a maggior ragione per chi vive in condizioni claustrofobiche: a casa con spazi limitati e condivisi e culturalmente perché hanno ben poco oltre lo schermo dello smartphone e della tv. Questi alunni sentono la differenza con gli altri quartieri e con gli altri licei, soffrono il peso delle aspettative della società che li soffoca.

    Nel 2021 ci si augura qualcosa di più rispetto a una scuola di massa, ci vorrebbe una “scuola delle opportunità”. Per chi non ha alle spalle una famiglia, un contesto amicale e parentale solido o stimolante. È un tentativo di aprire delle porte, di allargare gli orizzonti, di far baluginare possibilità diverse oltre i compiti e le interrogazioni. Bisogna puntare sempre di più sulla valorizzazione della persona, al di là del profitto. Perché se il voto è il centro della scuola, le cose non miglioreranno mai.

    Le differenze nella società ci sono sempre state ed esisteranno sempre, proprio per questo nell’educazione bisogna tirare fuori in modo socratico i talenti che ciascuno studente ha, anche quelli totalmente a-scolastici rispetto ai canoni standard. Poi, non basta avere più computer per modernizzarsi: servono spazi comuni e idee. La scuola deve rompere le gabbie dell’orario fisso, dei programmi sempre uguali a loro stessi; deve trovare connessioni con i quartieri e in generale con il mondo del lavoro e della formazione professionale. Ma non occasionalmente! “Portiamo la classe a teatro, facciamo un giorno di alternanza scuola-lavoro”, non è sufficiente. Ci vuole una costanza nelle esperienze fatte dalle scuole di periferia per un legame con la realtà. Ma un legame sano, senza spinte sfrenate verso il successo a tutti i costi.
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