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    Il ginecologo trovato morto a Milano si è suicidato: la svolta nelle indagini

    Di Giovanni Macchi
    Pubblicato il 23 Dic. 2020 alle 16:27 Aggiornato il 23 Dic. 2020 alle 16:28

    Il ginecologo trovato morto a Milano non è stato ucciso né rapinato: si è suicidato

    Il ginecologo che il 19 dicembre scorso è stato trovato senza vita sotto un ponteggio in via Mauro Macchi, a Milano, non è stato ucciso, ma si è suicidato. A darne notizia il Nucleo investigativo guidato dal tenente colonnello Antonio Coppola e coordinati dal pm Adriano Scudieri, che ha ricostruito le ultime ore della vita di Stefano Ansaldi, trovato con la gola recisa. L’autopsia effettuata ieri conferma che l’uomo è morto per dissanguamento, ma non vi sono tracce di omicidio nel referto, né sul luogo del delitto.,

    Non è ancora chiaro cosa abbia spinto il ginecologo al gesto estremo, è certo invece che il 65enne Ansaldi – originario di Benevento che viveva e lavorava a Napoli e che quel giorno si era recato a Milano per alcuni “appuntamenti” – non sia stato vittima di omicidio.

    Non c’erano infatti appuntamenti “con colleghi di lavoro”, o “con qualcuno in arrivo dalla Svizzera”, come aveva raccontato alla moglie e alla sorella. E il coltello che gli ha tagliato la gola non riporta impronte. E il medico indossava proprio dei guanti in lattice quando è stato trovato morto, elemento che all’inizio era stato classificato come “precauzione” contro il contagio da Covid-19.

    Ansaldi potrebbe aver prelevato l’arma prima di partire dalla sua abitazione – perlustrata lunedì e da cui manca proprio un coltellaccio da pane – o potrebbe averla acquistata mentre vagava per Milano prima di suicidarsi. Quello che l’ha ucciso però non era strumento che avrebbero potuto usare due killer.

    Anche la pista della rapina per mano di due extracomunitari è stata archiviata: al 65enne mancavano il cellulare e il portafogli, ma accanto al cadavere c’era il pezzo da 90, il suo Rolex. I carabinieri si sono chiesti come un rapinatore che sia arrivato a uccidere la sua vittima abbia potuto lasciare sul luogo del delitto il bene più prezioso.

    Non solo, nel cappotto del medico erano rimasti 20 euro, carta d’identità e tessere. E nella sua borsa c’erano ancora documenti e caricabatterie. È plausibile allora che l’uomo abbia escogitato tutto, liberandosi di alcuni beni prima di raggiungere il ponteggio, per far sembrare la sua morte un omicidio.

    Un altro elemento che va in questa direzione è il fatto che il medico, nonostante avesse raccontato in famiglia che il suo viaggio sarebbe durato solo un giorno, non aveva prenotato il biglietto di ritorno da Milano a Napoli. In un primo momento gli inquirenti avevano pensato a ricatti per prestazioni mediche, minacce dalla camorra, clienti scontenti per una fecondazione assistita andata male. Ma la pista più plausibile è quella del suicidio.

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