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    “Con il Covid tornati indietro di 20 anni nell’assistenza sanitaria: avremo più morti anche nel lungo termine”

    Il presidente della Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi italiani (Foce), Francesco Cognetti, spiega a TPI perché l'emergenza sanitaria causata dalla pandemia riguarda anche i malati di altre patologie gravi, con un impatto sulla mortalità che si vedrà nei prossimi anni. "Se i ricoveri di pazienti cardiologici acuti o gli interventi oncologici sono rimandati per mancanza di posti in terapia intensiva, si può assistere a un aumento di 100mila morti in più all'anno, un numero superiore ai decessi per Coronavirus". E illustra gli otto punti presentati al governo per garantire continuità nelle cure

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 24 Nov. 2020 alle 20:57 Aggiornato il 24 Nov. 2020 alle 23:37

    I morti per malattie cardiovascolari, oncologiche ed ematologiche potrebbero aumentare anche nel lungo termine a causa della mancata assistenza nei mesi di Covid. Questo l’allarme lanciato dalla Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi italiani (Foce), che lunedì 23 novembre ha presentato al governo un documento contenente gli “otto punti irrinunciabili per assicurare la continuità di cure ai pazienti oncologici, cardiologici ed ematologici”, vittime indirette della pandemia in un momento in cui gli ospedali sono completamente assorbiti dall’emergenza Coronavirus. “Quando la pandemia si esaurirà, diminuiranno anche i morti, mentre i decessi per le altre patologie a cui non si è data assistenza tempestivamente in questi mesi continueranno ad esserci. L’impatto delle prestazioni mancate sul numero dei morti si vedrà anche nei prossimi anni”, spiega a TPI il Professor Francesco Cognetti, presidente di Foce. “L’aumento di mortalità si realizza dopo mesi o anni, perché i tumori peggiorano senza interventi precoci e dunque i pazienti muoiono dopo qualche anno: ma presi sul tempo si sarebbero potuti salvare”.

    Quali sono le principali conseguenze del sovraffollamento degli ospedali e delle terapie intensive sui malati di altre patologie gravi?
    Uno dei danni principali è quello sui pazienti cardiologici acuti, quelli che hanno un infarto in atto, perché in questi casi bisogna intervenire presto: l’esito dell’intervento è tempo dipendente, ogni minuto che passa aumenta il rischio di mortalità immediata. Succede però che le terapie intensive cardiologiche in certe regioni sono state depauperate di letti o addirittura requisite per fare terapie intensive generali per pazienti Covid. Così gli altri sono a rischio altissimo di morte, come già avvenuto nella prima ondata, quando c’è stata una diminuzione dell’afflusso alle terapie intensive di malati con infarto del miocardio. Ne arrivavano la metà e la mortalità si è più che raddoppiata, questo è il danno causato ai pazienti cardiologici dal sovraffollamento delle terapie intensive.
    Per quanto riguarda invece i malati oncologici ed ematologici?
    La situazione è simile: vengono requisiti nello stesso ospedale anche reparti di medicina generale e di pneumologia. In Italia partiamo già da una situazione di grave carenza anche per quel che riguarda i letti di degenza ordinaria. Su 100mila abitanti abbiamo un numero nettamente inferiore ad altri Paesi europei come Francia, Germania, Inghilterra. Sulle terapie intensive si è intervenuto (almeno stando ai dati riportati), sui posti ordinari invece la differenza non è stata colmata: i pazienti Covid non si ricoverano su posti letti aggiuntivi ma sugli stessi in cui dovrebbero stare i malati cronici, a cui si sottraggono posti.

    Si muore perché non ci si reca in ospedale sapendo che è intasato, o perché quando si deve essere ricoverati non si trova posto?
    Alcuni non si presentano perché sanno che gli ospedali sono intasati, altri si presentano e magari stazionano e non riescono a trovare l’Unità di terapia intensiva perché è stata requisita. E questo è un problema anche per i pazienti oncologici, perché molti interventi chirurgici complessi richiedono il ricovero in terapia intensiva dopo: se i posti sono bloccati si rimandano gli interventi.
    Quali sono le misure più importanti contenute nel documento presentato nell’ambito del tavolo tecnico con il governo?
    Separare nettamente gli ospedali Covid dai non Covid, separare anche nei Pronto Soccorso i percorsi a seconda delle due tipologie di pazienti, perché nel Pronto Soccorso c’è lo stesso personale che assiste malati Covid e non Covid e un alto livello di contagio. Con conseguenze sul servizio, perché i sanitari positivi al Covid non possono lavorare, in una situazione in cui il personale è già carente. Siamo arrivati a 21mila contagi tra personale medico, perché anche nei reparti non Covid c’è chi la mattina prima ha svolto la sua funzione in un reparto Covid.

    Veniamo ai dati: quante sono le persone che ogni anno muoiono per malattie cardiovascolari, oncologiche ed ematologiche?
    411mila morti per malattie cardiovascolari, oncologiche ed ematologiche e 160mila per malattie neurologiche, gastrointestinali, psichiatriche o infettive: complessivamente sono 600mila morti di altre patologie che si registrano in un anno in Italia. Un dato che si è raggiunto dopo anni e anni di progressi incredibili. È chiaro che se torniamo a 20 anni fa nella disponibilità delle terapie intensive e nell’assistenza ci sarà aumento di mortalità ben superiore a questo valore, punto di arrivo di ricerche e anni di studio. 411mila è frutto del massimo dell’appropriatezza degli interventi, se sono cancellati o rallentati si può assistere a un aumento di 100mila morti in più all’anno, un numero superiore ai morti per Covid. Quando il Covid e la pandemia si esauriscono, inoltre, i morti per le altre patologie continueranno ad esserci, emergeranno dopo.
    Eppure durante la prima ondata la mortalità per altre patologie è già raddoppiata.
    Per gli infarti sì: in quel caso l’aumento di mortalità lo vedi subito perché il paziente muore subito. Per le altre patologie l’aumento di mortalità si realizza dopo mesi o anni, perché i tumori peggiorano senza interventi precoci e dunque i pazienti muoiono dopo qualche anno, anche se si sarebbero potuti salvare.

    Dunque se già oggi i morti per infarto sono superiori ai morti per Covid, aumenteranno i morti di infarto come conseguenza della mancata assistenza?
    La differenza di più morti per infarto che per Covid sarà maggiore della mortalità da Covid.
    Questa situazione dipende dal fatto che non si comprende fino in fondo o non si da necessaria attenzione alle altre patologie? Un malato Covid pesa di più?
    Non è un discorso di priorità tra i morti. I morti sono tutti uguali ma ci sono strumenti che bisogna utilizzare per abbassare la mortalità delle altre patologie. Per esempio, perché s’intasano i Pronto Soccorso? Perché manca un filtro territoriale da parte della medicina. È il più grande fallimento della sanità italiana. Manca un filtro: pazienti Covid positivi che potrebbero stare a casa loro e essere assistiti da medici di medicina generale in assenza di questi si ricoverano in ospedale, dove il numero di posti è bassissimo.
    Quale pensa debba essere il primo passo per cercare di sbloccare questa situazione?
    Chiediamo al governo di promuovere un atto di indirizzo e coordinamento nei confronti delle Regioni per adottare e fare propri i punti che abbiamo enunciato, sui quali sia il presidente del Consiglio che il ministro della Salute si sono detti concordi, ma ci vuole un atto formale che metta le Regioni di fronte alle loro responsabilità.

    Pieno funzionamento dei reparti oncologici, ematologici e cardiologici, rafforzamento della medicina territoriale, potenziamento delle risorse umane, alberghi Covid. Riesce difficile pensare alla fattibilità degli “otto punti” del vostro documento in un momento in cui in alcune Regioni mancano gli ospedali. Quali sono i più fattibili e urgenti?
    Sono tutti interventi fattibili e urgenti, si tratta di razionalizzare. Certo alcuni di questi interventi necessitano di risorse che devono essere immediatamente trasferite alle Regioni. È un problema di emergenza sanitaria. Ormai l’emergenza non è più la pandemia, anche perché ormai il tracciamento e gli altri strumenti sono saltati, tranne l’isolamento. L’emergenza riguarda tutto il sistema: la sanità è in grandissima difficoltà e bisogna affrontare questo problema attraverso professionisti di esperienza, non epidemiologi e virologi. Cosa ne sanno loro: noi vediamo i malati, ne conosciamo le esigenze e i bisogni e possiamo dare delle indicazioni.
    È necessaria una visione complessiva del sistema sanitario. 
    C’è l’emergenza della pandemia, ma quella sanitaria è negli ospedali. I sistemi usati in passato non servono, dal tracciamento all’app, serve individuare e assistere tra i contatti le persone fragili, quelle che muoiono, che hanno una certa età e hanno già patologie, tra cui anche pazienti ematologici e cardiologici, che hanno doppio danno: se si contagiano hanno maggiore possibilità di morire, se esplode la patologia di cui sono affetti e non trovano assistenza, muoiono per l’assenza di cure. Il nostro sistema sanitario è fragile: la mortalità tra i contagiati in Italia è la più elevata in Europa dopo l’Inghilterra e la quarta al mondo.

    Leggi anche: “Negli ospedali si pensa solo al Covid, ma così infarti e tumori rischiano di fare più morti”: l’allarme della Federazione Medici
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