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    Chi salvare durante una pandemia se non si possono curare tutti, secondo l’etica medica

    Credits: ANSA/FILIPPO VENEZIA
    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 27 Mar. 2020 alle 10:43 Aggiornato il 27 Mar. 2020 alle 11:27

    Sta facendo scalpore la notizia di alcuni stati USA che avrebbero deciso di dare minor priorità ai disabili in condizioni di scarsa disponibilità di spazi nella terapia intensiva. In realtà il documento menzionato si riferisce plausibilmente ad uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, dove vengono evidenziati i valori etici che dovrebbero guidare azioni di razionamento in condizioni di assoluta scarsità delle risorse. Nel contesto di un articolo del New York Times, probabile prima fonte della notizia, il termine “disable” si riferisce a pazienti con patologie gravi, come la fibrosi cistica, mentre risulta difficile trovare riscontro di una presunta “gerarchia” quanto alla “utilità sociale”, anche se l’applicazione di questo principio, in determinati contesti e culture, potrebbe non essere da escludere.

    Un documento simile era però apparso anche sui media italiani: si tratta delle raccomandazioni di etica medica della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva. Il principio, nella sua complessità, può essere così riassunto: nell’impossibilità di valutare trasferimenti o altre soluzioni, è necessario che il personale sanitario dia priorità di allocazione delle risorse a chi ha maggiori speranze di sopravvivenza e maggiori aspettative di vita. Parole scritte su carta, che si trasformano in azioni che determinano vita e morte. Termini che possono sembrare cinici, ma che rispondono ad una precisa esigenza: dare risposte a chi, in momenti così complessi, si troverà nella necessità di dover scegliere che priorità dare ai diversi pazienti.

    Non si tratta di scelte di merito, la vita delle persone non è mai giudicata, nemmeno in questi documenti, secondo principi di valore, ma di necessità, efficienza e miglior opzione, nell’interesse generale. Il principio espresso dal paper americano, prende in considerazione alcuni principi etici guida, che valgono anche in condizioni di non-pandemia, e che vengono interpretati secondo le nuove necessità. Il primo punto è quello di massimizzare i risultati. Questo si traduce nel salvare quante più vite possibili e quanti più anni di vita possibili, con le prognosi che si hanno a disposizione. Nel contesto pandemico, questo principio viene declinato in una scelta di prioritizzazione dei trattamenti da effettuare.

    Il secondo punto è quello di trattare i pazienti in modo equo. Se questo principio in un contesto non-pandemico si traduce nel “first come first served”, ovvero di priorità a chi si presenta prima, in questa dinamica viene stralciato. E si suggerisce piuttosto un approccio randomico e di scelta casuale rispetto a pazienti che presentano prognosi simili. E’ però il terzo elemento a risultare particolarmente significativo, poiché prende in considerazione gli operatori sanitari: il documento americano infatti, indica di dare priorità ai lavoratori ospedalieri, quando gli altri fattori risultano equivalenti.

    Ad oggi, in Italia, con le terapie intensive sature, il blocco degli interventi, la sospensione dei trapianti, il nostro Sistema Sanitario Nazionale appare sull’orlo del collasso, e queste condizioni obbligano medici ed infermieri a rispondere a quesiti etici ogni giorno. Dalla testimonianza dell’anestesista Christan Salaroli di Bergamo, fino a quelle anonime, ma preziose, dei medici rianimatori dell’Ospedale Villa Scassi di Genova, costretti a scegliere tra un paziente e l’altro, le voci di queste complesse scelte iniziano ad entrare nell’immaginario collettivo del Paese. Su questi temi, però, difficilmente potrà esserci dibattito: i principi guida di etica e bioetica vengono resi pubblici dopo attente analisi e valutazioni, attraverso strumenti del metodo scientifico e della scienza sociale.

    E’ auspicabile augurarsi che i cittadini italiani non debbano mai assistere ad un dibattito che veda scontrarsi diverse posizioni sui principi di priorità. L’emergenza non deve far perdere la giusta, anche se spietata, lucidità dei principi etici, in attesa che la classe politica arrivi ad interrogarsi sul come evitare, in futuro, di ritrovarsi a dover scegliere tra la vita e la morte di una cittadino.

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