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    Dentro il rave party di Modena: “Siamo stati i primi, ma Meloni non ci fermerà”

    Credit: ansa foto

    Siamo entrati nel capannone dismesso dove si sono radunati migliaia di giovani da tutta Europa. Tra sostanze illegali e voglia di libertà, parte la sfida alla nuova legge del Governo Meloni. Che colpisce anche studenti e centri sociali. “Nessuno può imporci quando e come divertirci”. Il reportage sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale - TPI, in edicola da venerdì 4 novembre

    Di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni
    Pubblicato il 3 Nov. 2022 alle 12:32 Aggiornato il 4 Nov. 2022 alle 15:34

    «È bene che il governo se ne faccia una ragione: noi non ci fermeremo mai. Nessuno può imporci quando e come divertirci. Continueremo ad autogestirci e ad organizzare questi raduni in giro per l’Italia». Parla così Marco da Lodi, 29 anni, panettiere di professione e raver per stile di vita. Ha gli occhi lucidi, l’aria distrutta, ma anche tanta rabbia: «Non facevamo male a nessuno. Ma adesso è il momento di accanirsi contro di noi» prosegue. Intanto lo sgombero pacifico alle porte di Modena del Rave Party Witchtek 2k22 – battezzato così dai suoi organizzatori – è appena terminato. La notizia del decreto anti-raduni voluto dal governo Meloni, sebbene non ancora ufficiale, è già nell’aria.

    Manuela – 23 anni, studentessa romana di scienze politiche – ci parla indicando le decine di carabinieri e poliziotti in tenuta anti-sommossa poco distanti: «Hanno scomodato un elicottero per gente che balla scalza! Ma vi rendete conto di quanti soldi sta costando questa messa in scena? Sono questi i problemi dell’Italia?». Un punto di vista condiviso dalla maggioranza dei partecipanti, ancora increduli che il rave, ovviamente non autorizzato, sia stato costretto a concludersi prima del previsto.

    Lo sgombero è avvenuto in maniera concordata tra gli uomini della Digos e gli organizzatori del raduno: «L’accordo è stato: voi andate via e noi non vi controlliamo», mormora qualcuno. Ipotesi plausibile considerando che all’interno del capannone, un’ex fabbrica abbandonata e pericolante (uno degli ingressi è stato ricavato da un’intera parete caduta giù), nei due giorni di raduno non ci siano stati soltanto giovanissimi rapiti dalla musica assordante e da decine di metri di casse, ma anche un vero e proprio bazar della droga: roulotte disposte all’interno dello stabile, ognuna delle quali – quasi si trattasse di un mercatino – deputata a vendere illegali, ambitissime “specialità”. Fra le più gettonate ovviamente cocaina (50 euro mezzo grammo, 100 euro un grammo), chetamina (20 euro mezzo grammo) e infine ecstasy. «Non vi preoccupate», ci spiega uno dei venditori, visibilmente alterato, «è tutta roba buona. Arriva dalla Campania. Mezz’ora e vi fate un bel giro». Il prezzo? Bastano dieci euro per mettersi in tasca mezza pastiglia.

    Parlando con i partecipanti, si scopre che la maggior parte è convinta che l’uso massiccio di sostanze sia soltanto un alibi e che il desiderio sia quello di colpire la manifestazione per fini politici. La droga viene infatti considerata dai raver come qualcosa di naturale, parte integrante del party. «Nelle discoteche ne gira ancora di più, eppure lì non mi pare che all’uscita ci siano camionette e poliziotti. Basta andare per le strade o in alcuni bar per trovare degli spacciatori. Ma nessuno ha mai fatto niente. Almeno fino ad adesso…», riflette Giacomo, 28enne di Ravenna, che di lavoro fa l’insegnante di judo, mentre divide con la fidanzata un popper. Tutt’intorno a noi, altri stand propongono – ovviamente con pagamenti a nero – alcol, cibo, gadget. Per chi vuole ci sono biscotti appena sfornati, ma anche pizze con formaggio e pomodoro fritte al momento. E poi ancora artisti ed acrobati che giocano con il fuoco, catturando a fatica l’attenzione dei presenti. Il focus, d’altronde, è la musica nella sua versione canonica da rave: elettronica all’ennesima potenza.

    Centinaia e centinaia di ragazzi ballano ammucchiati vicino le casse, con qualcuno che sfida l’integrità futura dei propri timpani muovendosi appiccicato ai mega subwoofer che sparano musica tecno e raggiungono distanze di chilometri. A terra non è raro trovare qualcuno che, torcia alla mano per farsi luce, dispone piccole file di polvere bianca pronta per essere tirata. Altri, invece, restano distesi in un dormiveglia allarmante: non si sa mai se la scelta sia volontaria, o frutto di malessere. Anche per questo, a riprova della meticolosa auto-organizzazione interna, è stata prevista una zona chill out – con tanto di coperte isotermiche – dove vengono soccorsi tutti quei ragazzi che, o per l’uso eccessivo di alcol o di stupefacenti, si sentono poco bene.

    Il vero colpo d’occhio però è quello dall’esterno, che rivela una sterminata partecipazione: in un’infinita distesa di tende, camper e auto dormono e vivono le migliaia di giovani accorsi a Modena da tutta Italia e da mezza Europa. Accanto all’uso smodato di alcol e droga, prende forma un clima disteso che rivela il paradosso intrinseco ai free party: da una parte l’illegalità assoluta, dall’altra un clima da Sessantotto all’insegna del “vogliamoci bene”. Tanto che lo stesso sgombero, a poche ore dall’avanzata delle forze dell’ordine, non sembra neanche una preoccupazione: «Ma va», sorride uno dei partecipanti, «figurati se interviene qualcuno. Hai visto quanti siamo?». Poco dopo – sono le tre di notte di domenica, e mancano solo sette ore alla fine anticipata del party – partono vicino al capannone fuochi d’artificio e fumogeni rossi, accolti da grida di giubilo e festa.

    Arrivano le camionette

    Le ore passano e le camionette, accompagnate da forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa, si moltiplicano. «Vi prego di allontanarvi», ci spiega un uomo della Digos. «Se capiscono che siete giornalisti chiudono le porte d’ingresso per nascondere i tanti minorenni venuti all’insaputa dei genitori».

    Ormai è l’alba. Qualcuno, subodorando la crescente tensione, comincia a organizzarsi: «Se siete venuti in auto», ci confida Emilio, bolognese d’adozione con un impiego da commesso, «fate come noi: andate via dalla parte di dietro, per le campagne. Si tratta dell’unica via che, almeno per adesso, gli sbirri ancora non hanno bloccato».

    Intorno alle dieci del mattino inizia lo sgombero. Nonostante qualche iniziale attimo di tensione, tutto procede regolarmente. La rabbia dei partecipanti è però palpabile, soprattutto nei confronti di polizia e giornalisti. «A causa di una cattiva informazione quella che era una festa è stata presentata come un’infernale oasi di perdizione. Noi siamo qui solo per divertirci, mica per fare male a qualcuno», commenta la toscana Daniela, segretaria 32enne. «Quello che dà fastidio», ci spiega Andrea, uno degli organizzatori, «è la libertà. Noi ci auto-gestiamo, ci auto-tassiamo, ci auto-organizziamo in tutto. E il fatto che ci diamo una struttura fuori dalle regole dello Stato è allarmante. Paghiamo perché siamo stati i primi. E questa è, per il governo Meloni, una chiara prova di forza», conclude. Per molti partecipanti, invece, l’errore è stata la scelta del luogo.

    «Solitamente ci ritroviamo in mezzo ai boschi proprio per non dare nell’occhio e per non disturbare i cittadini. Per me è stata una stronzata farlo qui», spiega Luca, esperto raver arrivato da Milano. Lo interrompe Riccardo: «Per me non è stato un caso: si sapeva che con questo esecutivo se avessimo organizzato un raduno così esplicito qualcosa sarebbe accaduto. E così è stato. Quello che non si capisce è proprio questo: il rave non è solo musica, ma è un atto di ribellione al sistema costituito. A maggior ragione ora con un governo di destra». Un vero e proprio scontro, dunque, che pare destinato a durare nonostante le pesanti regole volute dal governo Meloni. «Se credono di spaventarci minacciando sei anni di carcere, sbagliano. Già nei prossimi mesi arriveranno altri rave, perché la musica e il divertimento non si possono fermare».

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