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    Un italiano su mille è morto di Covid dall’inizio della pandemia

    Credit: ANSA
    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 7 Dic. 2020 alle 20:11

    Sono molte le cose che ancora non sappiamo della pandemia di COVID-19, ma dopo i dati di oggi siamo a conoscenza di un macabro dato: dall’inizio della pandemia in Italia è morta una persona ogni mille. Ha poco senso, dopo numeri simili, mettersi a guardare l’età e lo stato di salute pregresso di ciascuna delle oltre 60mila persone morte a causa di questo virus (come se ce ne fossero di serie A e di serie B…), tanto sono alti questi numeri, sia in termini assoluti che in rapporto con la popolazione. Un morto ogni mille, lo 0,1 per cento della popolazione italiana: si tratta di uno dei peggiori dati del genere su scala globale.

    Secondo il sito Worldometer, che puntualmente ogni giorno aggiorna questa macabra classifica, l’Italia è al quinto posto per morti di COVID-19 rispetto alla popolazione, alle spalle di Belgio, San Marino, Perù e Andorra. Non siamo attualmente in grado di conoscere pienamente le ragioni per cui siamo così colpiti, e la cosa che ha meno senso è fare emotivi processi sommari: probabilmente solo quando tutto questo sarà finito sapremo chi ha fatto le scelte giuste e chi quelle sbagliate, chi ha sbagliato in buonafede e chi no.

    Siamo di fronte a qualcosa di nuovo e di imprevedibile che anche chi ha maggiori responsabilità non è in grado di conoscere. Lo stesso Time magazine, nella sua ultima copertina in ha definito il 2020 “il peggior anno di sempre”, ha notato come ci siano stati anni più catastrofici su scala globale: la Seconda Guerra Mondiale, la concomitanza tra la Grande Guerra e l’epidemia di spagnola, e molti altri. Al di là di una retorica ormai fin troppo inflazionata su questo anno, il settimanale statunitense ha notato come la maggior parte della popolazione globale oggi non abbia vissuto tali periodi, e non abbia avuto una preparazione né si fosse fatto le ossa per qualcosa del genere.

    Sicuramente l’Italia è stato uno dei Paesi maggiormente presi alla sprovvista da questa pandemia. Lo scorso febbraio l’Italia è diventata il primo Paese occidentale a scoprire un focolaio nel suo territorio: dopo tutti gli interrogativi del caso si scoprì che a Codogno era stato aperto il vaso di Pandora, mostrando che il coronavirus ormai era uscito da tempo da Wuhan e da tempo (quanto è ancora oggetto di studio) si stava diffondendo entro i confini di molti Paesi del mondo.

    Da quel giorno, in Italia, oltre 60mila persone sono rimaste uccise dalla pandemia, ma oltre a loro non dobbiamo dimenticarci di un numero ancora non calcolato di vittime collaterali, che magari neanche sono mai entrate in contatto col virus.

    Si tratta di chi ha trovato gli ospedali sovraffollati e non ha potuto ricevere le cure a regola d’arte, chi è rimasto senza lavoro, ha perso i propri cari, è stato costretto a una solitudine prolungata e ne ha avuto ripercussioni psico-fisiche. Anche di loro non dobbiamo dimenticarci quando leggiamo il bollettino dei morti, per quanto non siano contemplati. E anche per questo dobbiamo ricordarci che parallelamente alle giuste chiusure e limitazioni dobbiamo trovare realmente, finché la pandemia non sarà finita, quella tanto ripetuta “nuova normalità” per poter continuare a portare avanti molti aspetti della nostra vita, seppur in modo diverso.

    Le notizie riguardo i vaccini ci danno una prospettiva sulla fine della pandemia, ma non dobbiamo pensare che ciò succeda in tempi fulminei. Ci vorrà ancora del tempo e non sappiamo quanto: non dobbiamo illuderci su questo. Fino a quel momento sarà necessario che si faccia tutto il possibile, istituzioni in primis ma anche noi cittadini, per fermare la diffusione del virus.

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