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    Cloe Bianco, la prof transgender si dà fuoco in un camper: “Ora sono libera”

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 15 Giu. 2022 alle 17:29 Aggiornato il 15 Giu. 2022 alle 17:40

    Non ha resistito, dopo anni di soprusi e bullismo. Per questo ha deciso di farla finita, dando fuoco al vecchio camper dove viveva. È morta così Cloe Bianco, ex docente transgender di Fisica di Marcon (Venezia). Una fine drammatica ma scritta e progettata da tempo. La prof, all’anagrafe Luca Bianco, aveva pubblicato in un blog il suo testamento, descrivendo i momenti che l’avrebbero portata al suicidio. Il suo cadavere carbonizzato è stato ritrovato sabato scorso in un furgone incendiato a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina (Belluno). Ora manca solo formalmente il risultato dell’esame sul Dna per confermare la tragica morte di Cloe.

    Da qualche anno, lontano dall’ex moglie e dalla figlia, la prof viveva da sola in un vecchio camper. Proprio appiccando un incendio all’interno del mezzo, si è suicidata. Come detto, sul suo blog aveva lasciato le proprie volontà testamentarie, anticipando la decisione di porre fine alla propria vita. Un’esistenza fatta di sofferenza, di pregiudizi, che l’avevano allontanata mano a mano dalle relazioni sociali, dal lavoro, da tutto. “Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato – si legge nel sito web – porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto”.

    Nel sito aveva riprodotto le immagini del testamento e delle proprie disposizioni anticipate di trattamento. La donna sfogava da tempo sulla rete le sue inquietudini, denunciando i “tentativi di annientamento” della sua persona, la sofferenza che le causava chi le stava intorno. Nel 2015, all’anagrafe ancora con il nome di Luca Bianco, aveva fatto scalpore quando mentre insegnava Fisica all’istituto di Agraria “Scarpa-Mattei” di San Donà di Piave, era entrata in classe vestita in abiti femminili, mostrandosi ai suoi allievi per come veramente si sentiva. “Cari ragazzi da oggi mi chiamerete Cloe”, aveva esordito. Si era presentata in minigonna, unghie laccate, caschetto biondo-cenere, ombretto alle palpebre, facendo sobbalzare gli studenti.

    Una ragazza, scioccata per quella rivelazione, uscì piangendo dall’aula e una volta a casa riferì tutto al padre, che scrisse direttamente all’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan – la quale in seguito fu solidale col genitore – raccontando di quella “carnevalata”. “Ma davvero – aggiunse – la scuola si è ridotta così?”. Il presidente del tribunale del lavoro di Venezia, pur “senza voler criticare una legittima scelta identitaria”, sognata da Bianco “dall’età di 5 anni”, stabilì che la sospensione di tre giorni inflitta dalla scuola alla prof “era stata giusta”, perché l’outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, non era stato “responsabile e corretto”.

    Ora la decisione di suicidarsi. Nel rogo del camper sono andati distrutti tutti i documenti della vittima e la vecchia targa del mezzo è leggibile solo parzialmente. Cloe aveva una ex moglie e una figlia che da tempo ne avevano perso i contatti e il furgone era diventato il rifugio di fortuna della vittima. “Una storia terribile che impegna ognuno di noi a non voltarsi dall’altra parte e a lavorare per costruire un Paese realmente inclusivo e senza pregiudizi”, commenta così il ministro Federico D’Incà la fine di un’ex docente veneziana, Cloe Bianco. “Una storia di sofferenza, emarginazione, diritti negati e solitudine – aggiunge il ministro – che nessuno è stato in grado né di capire, né di risolvere attraverso il sostegno e la comprensione di cui Cloe aveva chiaramente bisogno”. L’auspicio è che “ognuno si senta libero di esprimere la propria sessualità e la propria affettività pienamente e senza alcuno stigma. Le mie condoglianze a tutte le persone – conclude D’Incà – che le volevano bene”.

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