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    Schernisce la collega dandole della lesbica, la Cassazione conferma: “Andava licenziato in tronco”

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 10 Mar. 2023 alle 13:52

    Schernisce la collega dandole della lesbica, la Cassazione conferma: “Andava licenziato in tronco”

    Era stato licenziato in tronco perché aveva schernito una collega dandole della lesbica. Adesso la Corte di Cassazione ha dato ragione all’azienda per cui lavorava, la quale non dovrà corrispondere alcuna indennità all’ex dipendente che, secondo gli ermellini, ha compiuto una vera e propria “discriminazione”. Una decisione che ribalta la precedente sentenza della Corte d’Appello di Bologna, che aveva invece qualificato come “comportamento inurbano” quello tenuto da un autista della società emiliana di trasporto pubblico Tper Spa. Durante una sosta, l’uomo si era rivolto a una collega, che da poco aveva partorito due gemelli, dicendole: “Ma perchè sei uscita incinta pure tu? ma perchè non sei lesbica tu?’”, con fare definito “irrisorio”, aggiungendo poi: “E come sei uscita incinta?” La collega aveva presentato un esposto all’azienda che, a sua volta, aveva contestato all’autista, Michele M., di aver tenuto “un comportamento gravemente lesivo dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza” e licenziandolo senza alcuna forma di retribuzione e preavviso.

    Nel 2020 i giudici di Bologna avevano giudicato eccessiva la decisione, derubricandola a recesso unilaterale da parte del datore, che era stato condannato a versare all’autista venti mensilità.

    Di parere diverso la Cassazione, secondo cui “la valutazione del giudice di merito nel ricondurre a mero comportamento ‘inurbano’ la condotta di Michele M. non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento”.

    Questo perché è ”innegabile il portato della evoluzione della società negli ultimi decenni la acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale”. Essa “attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona” pertanto “l’intrusione in tale sfera” con “modalità di scherno” non può essere considerata solo “una condotta inurbana” ma è una vera “discriminazione”.

    I giudici della sezione lavoro della Suprema corte, hanno ricordato che il codice delle Pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. n. 198/2006) considera come “discriminazioni” anche le “molestie”, ovvero “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Soprattutto con riguardo alla posizione “di chi si trovi a subire nell’ambito del rapporto di lavoro comportamenti indesiderati per ragioni connesse al sesso”. Da qui l’ordine alla Corte di appello di rivedere la sua decisione verificando “la sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce della corretta scala valoriale di riferimento”.

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