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    Brandizzo, il superstite Gibin: “Salvo grazie a un martello”

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 9 Set. 2023 alle 17:33 Aggiornato il 9 Set. 2023 alle 20:02

    “Sono salvo grazie a un martello”: a dirlo è Andrea Girardin Gibin, caposquadra del gruppo di cinque operai deceduti nell’incidente di Brandizzo la sera del 30 agosto, indagato insieme ad un collega per per omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale. L’uomo ammette di aver rischiato la vita e di essersi salvato grazie ad un puro caso.

    “Stavamo lavorando sui binari. Uno dei ragazzi mi ha chiesto di passargli un martello. Così mi sono sollevato e ho fatto due passi. È stato in quel momento che ho visto i fari del treno, d’istinto sono saltato sull’altro binario” ha raccontato al Corriere della Sera. Al momento i magistrati della procura di Ivrea che stanno conducendo le indagini sul caso, Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, non hanno ancora avuto modo di interrogare i due indagati perché intendono prima avere un quadro completo della situazione per poi procedere a sentire le persone coinvolte.

    Come i macchinisti che erano sul convoglio che ha travolto e ucciso i cinque operai, che hanno dichiarato che al passaggio il semaforo era “verde” e non erano segnalati “lavori sui binari” e gli smartphone di due operai morti che, seppur non in buone condizioni, sono utilizzabili e la Polfer li ha rinvenuti sui binari. L’altro indagato è invece Antonio Massa, il tecnico di Rfi che faceva da “scorta” alla sua squadra Sigifer e che quella sera diede il via libera al cantiere nonostante per tre volte la dirigente movimento in servizio a Chivasso Vincenza Repaci gli avesse chiaramente al telefono detto che la linea non era bloccata e dovesse “passare ancora un treno”.

    Intanto sono oltre 200 gli esposti giunti dal 30 agosto ad oggi. Firmate da operai, tecnici, saldatori, manutentori delle ferrovie residenti o operativi in Piemonte. Le morti dei cinque operai travolti da un treno alla stazione di Brandizzo sembrano aver squarciato un velo di omertà e di paura.

    Oltre duecento persone hanno denunciato fatti e procedure rischiose che gli inquirenti, in queste ore, stanno vagliando. Gli esposti, molto spesso, sono stati mandati ai sindacalisti, altre volte sono arrivati alla procura di Ivrea, guidata da Gabriella Viglione. Gran parte delle segnalazioni riguarda il lavoro effettuato sui binari senza che fosse arrivata l’autorizzazione a procedere. Lavoro frettoloso, approssimativo, a volte abusivo. Altre denunce invece svelerebbero l’assenza di titoli per potere operare: ragazzi senza qualifica impiegati sui binari a spalare. Giovani inesperti messi a saldare. Operai esposti ai rischi senza protezioni.

    “Ero anche io su quel binario con i ragazzi. Uno di loro mi ha chiesto un martello — ha raccontato Gibin subito dopo la tragedia — così mi sono spostato leggermente. Il martello era proprio a fianco al binario: per prenderlo ho alzato la testa. Ho visto la luce del treno e mi sono buttato di lato. Solo per questo io sono ancora vivo”. “Ma quei cinque ragazzi non dovevano morire così”, ha poi continuato a ripetere sconsolato Gibin. Ieri è stato ascoltato Francisco Martinez, il dipendente che aveva rischiato anche lui la vita sui binari. Si era salvato per un soffio, quattro mesi fa a Chivasso, perché un collega lo aveva tirato via all’ultimo per la maglia.

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