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    Morte Lorenzo Parelli, direttore dell’ispettorato Lavoro a TPI: “L’alternanza scuola-lavoro non può essere un’attività lavorativa dissimulata”

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 24 Gen. 2022 alle 14:22 Aggiornato il 24 Gen. 2022 alle 17:33

    La Procura di Udine ha aperto un procedimento per l’ipotesi di omicidio colposo a carico del legale rappresentante della Burimec, l’azienda, nello stabilimento di Lauzacco, dove ha perso la vita il diciottenne Lorenzo Parelli durante il suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro.

    Una morte che ha lasciato sgomenti e ha gettato nella disperazione i familiari e gli amici del 18enne. Oltre alle indagini si fanno avanti i dubbi sul meccanismo dell’alternanza scuola-lavoro che la legge di Bilancio per il 2019, la Legge 30 dicembre 2018, n. 145 ha rinominato PCTO (Percorsi per il conseguimento di competenze trasversali e per lo sviluppo della capacità di orientarsi) e ne ha rimodulato il monte ore: 210 ore la durata minima triennale dei PCTO negli istituti professionali, 150 nei tecnici e 90 nei licei.

    Lorenzo Parelli era uno studente al quarto anno nel settore della meccanica industriale al Centro di formazione professionale dell’Istituto salesiano Bearzi di Udine, un indirizzo di studi che prevede meccanismi di alternanza scuola-lavoro sin dalla loro fondazione nel 1962 (legge 1859 del 31 dicembre 1962, che sanciva la nascita della scuola media unica e la fine delle scuole di avviamento al lavoro instaurate dalla Riforma Gentile del 1923).

    “Non è purtroppo la prima morte sul lavoro, qualche settimana fa a Torino è morto un ragazzo di 20 anni che lavorava a 40 metri di altezza. Il tema delle morti giovanili sul lavoro è in aumento, aumenta la precarietà e il bisogno di accettare qualsiasi mansione lavorativa, anche se questo non era il caso, del giovane Lorenzo”. Lo dice a TPI Bruno Giordano, direttore dell’ispettorato nazionale del lavoro, con il quale abbiamo approfondito il tema.

    “Quanto accaduto è drammatico non solo per l’età del ragazzo ma anche perché fotografa una realtà di disattenzione, di imprudenza, questi ragazzi non possono essere inseriti in un’attività lavorativa senza tutte le norme in materia di sicurezza, anzi, a maggior ragione devono essere tutelati perché non conoscono quell’ambiente, sono nuovi, sono ospiti per poche settimane. L’affidamento di queste persone a un tutor è ancora più fondamentale e necessario. La provvisorietà della presenza in un luogo di lavoro non rende quelle persone meno tutelate, anzi, dovrebbe accadere il contrario”.

    Quali sono i problemi allora?

    La formazione: quando un lavoratore è ben formato, non per apparenza, è il primo a tutelare la propria incolumità. Il secondo è l’etica di impresa. Ora parliamo dell’alternanza scuola-lavoro: sono persone che devono essere formate ma soprattutto sono persone che le imprese devono ricevere non per usarle o abusarne, o per sfruttarle al posto di altre maestranze, ma per insegnare loro qualcosa. Questo è un percorso didattico, non è un’attività lavorativa dissimulata.

    Questi stage servono a qualcosa?

    Hanno una loro utilità ma va coniugata nella sicurezza di un’impresa.

    Dove intervenire?

    Dobbiamo chiederci dove si muore: oltre l’85% degli incidenti mortali avvengono nelle piccole-medie imprese, dove i rapporti sono poco sindacalizzati, dove parlare di sicurezza significa esigere chissà cosa, e la sicurezza è un lusso su cui risparmiare. Come dimostra il caso di Udine, la sicurezza si vede anche quando è sicura la procedura, cioè come si lavora. Come ci si muove.

    Una lesione al lavoro è una lesione alla democrazia, questo è fondamentale quando ci accorgiamo che stiamo parlando di giovani e quindi del nostro futuro. In un luogo di lavoro devono essere sicure tutte le persone che ci stanno dentro.

    Ci sono in Italia le condizioni per fare attività come l’alternanza scuola-lavoro?

    Le condizioni dipendono dall’azienda che li ospita e dalla logica per cui li ospita, ossia la logica con cui queste persone vengono inserite nell’ambito lavorativo, non per lavorare, ma per imparare un’utilità. La presenza non ha una funzione lavorativa di manodopera ma una funzione didattica, quindi vuol dire che ci deve essere qualcuno che insegna qualcosa. Un tutor, un maestro a cui è affidata anche la sicurezza di quella persona.

    Negli ultimi giorni molti ragazzi sono scesi in strada per protestare contro questo meccanismo.

    Queste persone sono oggetto di insegnamento, non di uso lavorativo. Non sono dei sostituti di operai, di segretari o sbriga faccende.

    Vanno aumentati i controlli?

    I controlli quando avvengono sono su tutto, su tutte le persone presenti. La presenza provvisoria non può indebolire in alcun modo la sicurezza.

     

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