Prof. Delfanti, negli ultimi cinque anni, con la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, è emersa con forza, in Italia, l’esigenza di rivedere le nostre politiche energetiche evitando legami di dipendenza nelle forniture da singoli Paesi. Al contempo, le strategie di contrasto al cambiamento climatico richiedono di dismettere progressivamente i combustibili fossili per puntare sempre di più su fonti sostenibili dal punto di vista ambientale. A che punto siamo in questo processo di transizione?
«L’Unione europea si è data una pianificazione energetica che è scandita, da un lato, da un traguardo intermedio e, dall’altro, da una strategia di lungo termine. Nel medio termine, con il cosiddetto “Fit for 55”, è stato fissato l’obiettivo al 2030 di diminuire le emissioni del 55% rispetto al 1990. Nel lungo termine, la “Long Term Strategy (Lts) mira a raggiungere al 2050 la neutralità carbonica: significa che per quella scadenza dovremo essere in grado di imetterre in atmosfera tanta anidride carbonica quanta saremo in grado di catturarne. In tutta Europa gli sforzi stanno andando nella giusta direzione per riuscire a centrare gli obiettivi al 2030. In Italia, nello specifico, siamo ragionevolmente in rotta grazie all’accelerazione registrata sul fronte dell’installazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile».
Nei prossimi anni la transizione energetica e quella digitale determineranno in tutto il mondo un’impennata della domanda di energia elettrica. Si parla molto della necessità di incrementare il numero di impianti di fonti rinnovabili, ma quegli incrementi sarebbero vani se non supportati da ingenti investimenti per adeguare le infrastrutture di trasmissione e distribuzione dell’energia.
«Sì, è così. La premessa è che elettrificando si raggiunge una maggiore efficienza energetica. Le porto l’esempio della mobilità: fatta 100 l’energia di partenza, in un’auto elettrica arriva alle ruote un’energia tra 72 e 75, mentre in un’auto a combustione interna ne arriva meno di 30. È evidente, quindi, che nei prossimi anni serviranno più infrastrutture elettriche, ossia più reti elettriche di trasmissione e di distribuzione. In tutta Europa le società che gestiscono queste reti hanno già presentato i rispettivi piani di investimenti infrastrutturali da qui al 2030. In Italia lo sviluppo della rete di trasmissione è affidato a Terna, mentre sulla rete di distribuzione operano varie società, come E-Distribuzione, Unareti o Areti. Trattandosi di soggetti monopolisti, gli investimenti sull’infrastruttura sono remunerati attraverso le cosiddette “tariffe di rete” nella bolletta energetica, il cui valore è fissato da Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ndr). Ma mi faccia aggiungere che, oltre al potenziamento delle infrastrutture, occorrerà anche puntare sui sistemi di accumulo di natura elettrochimica, ossia le “Bess” (battery energy storage system), un complemento indispensabile delle fonti energetiche rinnovabili».
Tra le opere principali in corso di realizzazione in Italia, spicca il Tyrrhenian Link di Terna, che attraverso due maxi-cavi sottomarini creerà una interconnessione elettrica tra Sicilia, Sardegna e Campania. L’opera è considerata strategica dal Governo e dall’Ue: perché è così importante?
«Innanzitutto perché permetterà di incrementare la capacità di trasporto di energia da fonti rinnovabili dai luoghi dove la produciamo in maniera più efficiente, che sono le isole e in generale il Sud Italia, verso i luoghi in cui le consumiamo maggiormente, ossia il Centro e il Nord Italia. Quest’opera ha, quindi, una valenza per l’intero sistema italiano. Peraltro, va sottolineata anche una valenza più locale: grazie alle interconnessioni del Tyrrhenian Link, in Sicilia e Sardegna aumenterà la capacità di accogliere nuovi impianti di rinnovabili, soprattutto eolici. Questo è un punto cruciale in particolare per la Sardegna, l’unica regione d’Italia che non si è mai metanizzata. Attualmente le centrali termoelettriche sarde sono alimentate a carbone, una fonte in via di dismissione. Ecco, il Tyrrhenian Link consentirà di chiudere le centrali a carbone senza che sia necessario ricorrere al gas metano: l’elettricità sarà prodotta attraverso le rinnovabili».
In Sardegna è previsto anche il potenziamento del corridoio intra-regionale Sardinian Link. L’isola dei quattro mori è destinata a diventare uno dei più importanti bacini italiani per le rinnovabili?
«Certamente. Guardando a una visione di medio periodo – diciamo al 2030 – il fabbisogno locale potrà essere interamente soddisfatto con le rinnovabili combinate a sistemi di accumulo facendo ricorso, grazie al Tyrrhenian Link, al termoelettrico che sta sul continente. Semplificando: durante le stagioni in cui la produzione di rinnovabili sarà molto elevata, la Sardegna esporterà energia verso il continente; durante le stagioni con produzione inferiore, in caso di necessità, vedremo energia termoelettrica prodotta sul continente andare verso la Sardegna. Se poi spingiamo lo sguardo più in avanti – al 2050 – credo che l’isola possa anche diventare un hub per la produzione di combustibili sintetici, potendo contare sull’attuale raffineria della Saras, che oggi processa petrolio: la Sardegna potrebbe così raffinare e-fuel ed esportarli in tutto il Mediterraneo, come avviene oggi con i carburanti tradizionali».
In Sardegna, però, il Tyrrhenian Link e il Sardinian Link stanno incontrando l’opposizione di una parte delle comunità locali. I loro timori riguardano il presunto impatto ambientale di queste opere e il rischio che l’isola possa diventare la ciabatta d’Italia. Sono timori fondati?
«Il fatto che la Sardegna possa diventare esportatrice di energia rinnovabile mi sembra abbia una valenza positiva per il territorio. Un effetto positivo immediato sarà che, nel sistema che si sta affermando dei “prezzi zonali”, ossia correlati in base alle singole zone di mercato, il prezzo delle bollette industriali e domestiche in Sardegna sarà più basso rispetto al prezzo che si pagherà sul continente. Poi c’è un secondo effetto positivo, da valutare in prospettiva, che riguarda ciò che accennavo prima: esattamente come oggi la regione esporta combustibili di origine fossile, domani potrebbe esportare gli stessi combustibili ma prodotti in maniera sintetica a partire da energie rinnovabili, tramite idrogeno o con anidride carbonica catturata».
Che mi dice dei timori per l’impatto sul paesaggio?
«Guardi, per raggiungere i traguardi al 2030 sarà sufficiente installare impianti fotovoltaici sullo 0,4% della superficie agricola totale, una quantità praticamente invisibile. Purtroppo la discussione a cui si assiste oggi in Sardegna è polarizzata da una campagna di informazione molto intensa sul territorio basata su fake news».
Fin qui abbiamo parlato di rinnovabili. Ma quale ruolo potranno avere in futuro le infrastrutture del gas?
«Il mio personalissimo parere è che le reti del gas avranno un ruolo recessivo, perché è previsto che la domanda di gas diminuisca nel corso del tempo, come dimostrano anche le prospezioni al 2050 pubblicate congiuntamente da Terna e Snam. Il vettore elettrico vince su tutto: economicità, praticità, integrazione nel sistema. Per il futuro, l’idea degli esercenti è di rendere le reti in cui oggi passa il metano idonee a trasportare anche combustibili di origine biogenica o sintetica: queste molecole preziose serviranno per settori industriali cosiddetti “hard to abate”, e non certo per usi domestici».
L’Italia può imporsi come hub strategico per l’energia nel Mediterraneo?
«Se si parla di hub per il metano, io penso di no, perché – come dicevo – il consumo di metano è destinato a diminuire. Vedo più concreta invece l’ipotesi che il nostro Paese si affermi come hub per i combustibili di natura sintetica, facendo leva su un’elevata produzione da rinnovabili e su un facile accesso al Mediterraneo».