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    Tozzi a TPI: “L’inceneritore di Roma? Ci sono metodi più efficaci. Ma sul clima Draghi non dice il vero”

    “Malgrado i danni all’ambiente le società degli idrocarburi continuano a ricevere cospicui finanziamenti dal Governo. E alimentano le balle dei negazionisti del clima. Draghi? Neanche lui dice il vero”. Intervista al geologo star della tv Mario Tozzi

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 14 Lug. 2022 alle 19:36 Aggiornato il 21 Lug. 2022 alle 17:24

    Attacchi tutti quelli che criticano gli studi sul nesso clima-CO2 definendoli «negazionisti».
    «È il minimo. Li reputo davvero “negazionisti”: hanno vittime e calamità sulla coscienza».

    Così dicendo li paragoni a dei criminali di guerra.
    «Li considero responsabili e in malafede».

    Cioè?
    «Non sono supportati da nessuno studio scientifico. E spesso, invece, sono sostenuti dalle lobby di petrolio e idrocarburi. In tutto il mondo, non solo qui».

    Non le mandi a dire.
    «Fai una ricerca su Google. Troverai centinaia di risultati sul clima: i primi, spesso, sono articoli che negano il riscaldamento globale».

    Certo, magari perché sono molto letti.
    «È più grave. Malgrado il 100% degli studi dello scorso anno e il 97% di quelli di quest’anno descrivano in modo unanime il nesso riscaldamento-inquinamento, sulla stampa si scrive: “La scienza è divisa”. Bene, è un’altra clamorosa bugia».

    Che posta c’è in gioco?
    «Ti do un dato: 9mila miliardi di dollari di finanziamenti dei governi, nel mondo, alle compagnie carbopetrolifere».

    Ci sono anche politiche di sostegno alle rinnovabili.
    «Ma sono “solo” 400 miliardi. E ci sono poteri economici interessati al fatto che il rapporto resti questo».

    Tu in Italia denunci il tentativo di minimizzare il cambiamento climatico.
    «Pochi giorni fa un collega mi ha definito “incipriato” e antimoderno».

    Ti ha ferito?
    «Per nulla. Ma chiedetevi perché tanti giornalisti ignorino la letteratura scientifica e provino a sostenere che il clima non cambia. Ci vuole un bel fegato! Tuttavia lo fanno».

    Sei un professore, membro del Cnr.
    «Qui parlo da divulgatore scientifico e chiedo conto delle fonti».

    A chi?
    «Ai tanti giornalisti negazionisti, a Libero, a La Verità…».

    E poi?
    «Sono davvero stupito da Claudio Cerasa. Ha combattuto una battaglia coraggiosa, sui vaccini. Ma sul clima mi pare impazzito. Nega anche lui».

    Libertà di opinione?
    «Non sulla scienza: lì contano i dati e sono tutti omogenei. E ho una proposta sovversiva. Che tutti i giornali dichiarino le loro sponsorizzazioni, pubblicitarie ed economiche industriali, se parlano di clima».

    Ahia. Sospetti un conflitto di interessi?
    «Sai quante volte mi hanno proposto generosissimi compensi, gettoni impensabili per partecipare a convegni».

    E tu?
    «Io discuto con tutti, se si dibatte. Ma se si offrono di pagarmi mi chiedo sempre: chi e perché?».

    Che bussola segui?
    (Ride). «Con le compagnie petrocarbonifere non prendo nemmeno un caffè».

    È il più famoso ambientalista italiano. E nelle ultime tre settimane, dopo la Marmolada, è andato a combattere ovunque la sua battaglia di opinione: «Come ogni estate i media si accorgono della siccità solo dopo le catastrofi».

    Raccontami prima da che famiglia vieni.
    «Mio nonno paterno medico condotto: girava il Sud lungo la direttrice delle Ferrovie e degli impieghi disponibili, e così ha seminato figli tra Campania e Puglia. Si è fermato solo a Margherita di Savoia, dopo Napoli, Taranto, Foggia».

    E l’altro nonno?
    «Ligure della val di Magra, colonnello dell’esercito. Che personaggio!».

    Cioè?
    «Ultimo ad andare in guerra nel 1915-18, aveva una larga cicatrice da scheggia di mortaio sulla fronte, girava con l’attendente al seguito anche nella vita civile».

    E le donne?
    «Una nonna casalinga, l’altra insegnante elementare. Splendide. Ho avuto la fortuna di conoscere tutti e quattro».

    E tua madre?
    «Faceva l’assistente sociale, occupandosi del reinserimento lavorativo dei malati di tubercolosi».

    Reinserimento?
    «Ai tempi non li voleva più nessuno, neanche da guariti».

    Temevano contagi?
    «Impossibili. C’era un antenato del Green pass, “il libretto di immunità”. Mamma si chiama Marilena, oggi ha 87 anni».

    Che tipo di madre?
    «Femminista, emancipata: Al mare, in Versilia, al contrario di tutte le altre madri, quando provavo a uscire dal mare, lei, che leggeva giornali o libri, mi gridava: “Torna dentro! Torna dentro!”. Ah ah ah!».

    E tuo padre?
    «Ehhh, è complicato».

    Cioè?
    «Da bambino mi veniva detto di rispondere: “Lavora al ministero degli Esteri”».

    E invece?
    «Era strano. Solo in tarda età arrivò a confessarmi: “Facevo l’agente segreto”».

    E non lo avevi intuito?
    «A direi il vero no: certo, c’erano incongruenze che colpivano anche chi gli viveva a fianco».

    Tipo?
    «Ostentava segni incongrui di appartenenza ideale, ad esempio una copia, sempre esibita, de l’Unità».

    E poi?

    «Simulava una identità di sinistra, comprava libri politici, saggi terzomondisti, ma…».

    Ma?
    «Lo vedevo conservatore, tradizionalista, molto cattolico».

    E cosa vi diceva del lavoro?
    «Nulla. Cose come: “Parto per la Romania”».

    Ed era vero?
    «Quello sì. Viaggiava su e giù per la cortina di ferro, ma mai avrei pensato che lo faceva per il controspionaggio, il Sifar».

    Avete mai litigato?
    «Una volta – ero ragazzo – ci fermammo poco prima di arrivare alle mani, dopo che gli scappò la frase rivelatrice: “Però, Almirante, come parla bene!”».

    Ah ah ah! Ed eri così politicizzato da arrabbiarti?
    «Scherzi? Avevo i capelli lunghi, la tolfa, la salopette, l’eskimo. Frequentavo il liceo Augusto e il Movimento studentesco».

    Militavi da qualche parte?
    «No. La Fgci era troppo ortodossa, per il me di allora, e vedevo l’Autonomia operaia come l’anticamera della lotta armata».

    E quindi?
    «Ero un cane sciolto di sinistra. Scrivevo, da solo, a mano, dei “tazebao” e li affiggevo. Ne ricordo uno proprio contro i “compagni che fiancheggiavano il terrorismo”».

    Addirittura?
    «Io sono del 1959, la mia è “la generazione degli anni di piombo”. Due miei compagni di classe sparirono: scoprimmo, solo dopo, che erano entrati nella lotta armata».

    Ti sei riconciliato con tuo padre?
    «L’ho capito meglio da grande. Era missino per nostalgia, il fascismo per lui erano gli anni della sua giovinezza».

    Ti lasciava libero?
    «Ero “capellone” e lui soffriva. Ma si limitò a rimproverarmi: “Non puoi tagliarli!?”».

    Fantastico. E tua madre?
    «Un’attivista appassionata: si è battuta per la legge 194».

    Eri tra due opposti.
    «Infatti si separarono».

    Cosa leggevi?
    «Il Manifesto, i Quaderni piacentini. Ricordo con orgoglio il giorno in cui riuscii a pubblicare sul quotidiano di via Tomacelli».

    Un pezzullo anonimo?
    «Magari! 8mila battute, nelle pagine culturali: “L’Evoluzione biologica ha bisogno della catastrofe?”. Sulla teoria dei dinosauri estinti dal meteorite».

    Eri già una firma.
    «Sehhh, ma riuscii a pubblicare su Linea d’Ombra un articolo sul fatto che le carte geografiche sono il riflesso del nostro ordine mentale, e non di quello che vediamo».

    Avrebbe fatto impazzire il Lucio Caracciolo di oggi.
    «E piacque al Goffredo Fofi di allora, che, per un ragazzo come me, era una fortuna poter ascoltare e frequentare».

    Altre collaborazioni?
    «L’Indice, di cui sono ancora nel comitato editoriale».

    Come ci eri arrivato?
    «Devo tutto ad Enrico Alleva, un collega molto più grande di me, scienziato etologo, che mi stimava. Il nostro sodalizio asimmetrico è durato per tutta la vita. Fino ad oggi».

    Fu Alleva a segnalarti in Rai: il grande salto.
    «Lo chiamarono a commentare dei documentari sugli animali, e un giorno gli dissero: “Ne abbiamo altri 200 sulla geologia, ci serve uno come te, geologo”. E lui disse: “Chiamate Tozzi!”».

    Lo avevi mai fatto?
    «Mai. Mi sono buttato. Come sempre nella vita. Ma se ho continuato per otto anni, significa che non è andata tanto male».

    Già a “L’Indice” parlavi di ambiente.
    «Recensendo un libro sui vulcani di Napoli. Ci fecero la copertina. Alleva mi diede i consigli di scrittura giornalistica che ancora oggi seguo: frasi brevi, due punti e trattini. E l’ultimo, perfetto: “Ricorda: la battaglia per l’attenzione del lettore si combatte nelle prime cinque righe”».

    Però dopo la maturità ti eri iscritto a Filosofia.
    «Vero. Ma pensa il destino. Subito dopo, passando davanti alla facoltà di Geologia, trovai dei ragazzi e un pulmino».

    Che c’entra?
    «Da piccolo collezionavo pietre, avevo un’enorme passione per l’ambiente, mi fermai a parlarci».

    E che accadde?
    «Arrivò il professore, poco più giovane di loro. Discutevano, pieni di passione, clima allievo-discepolo».

    E tu?
    «Sono tornato in segreteria e ho pregato in ginocchio: “Ridatemi il modulo, ho sbagliato”. Cambiai facoltà».

    Pazzesco.
    «Erano i primi anni Ottanta. Non esistevano ancora i Verdi. A tutti i filoni ecologici si arrivava dalla geopolitica».

    Cioè?
    «Si parlava di influenza dell’uomo sulla idrosfera, per via delle guerre di Israele sul Giordano per il controllo delle acque».

    E poi?
    «Di litosfera e inquinamento minerario dopo le cronache sul rame cileno. Di inquinamento chimico per l’Acna di Cengio e Seveso. Di Agente Orange, e defoliazione per il Vietnam».

    Stupefacente.
    «Ricordo che rimasi ipnotizzato da un dibattito su quanto tempo serviva per ripopolare Bikini dopo gli esperimenti atomici francesi».

    Quegli allarmi erano giusti?
    «Senti, dicevano che bastavano 50 anni per decontaminare. Mezzo secolo dopo, lì, è ancora… zona rossa».

    Quando passi dai documentari sui vulcani al video?
    «Con Geo & Geo, grazie a Lucia Colò: “Mi fai da inviato?”».

    E tu?
    «Rispondo: “Proviamo!”. Sono passati altri otto anni».

    Sei diventato «l’inviato con la piccozza».
    «Risolveva il problema di dove tenere le mani mentre parli: poi la usavo come un puntatore».

    Sei diventato celebre.
    «Un fantastico pubblico Rai: ragazzi, studenti e casalinghe. Mi spedivano lettere, pietre, fossili, di tutto».

    Arrivi alla prima serata.
    «Con King Kong. Per me un  successo».

    E al primo libro. Sempre grazie al tuo mentore.
    «Alleva aveva scritto un saggio delizioso: Il tacchino termostatico. E io pubblicai Manuale geologico di sopravvivenza planetaria. Con Theoria, dove ci scoprì un giovanissimo Paolo Repetti, oggi guru all’Einaudi».

    Il successo da divulgatore, con il “Maurizio Costanzo Show”.
    «Pensa. Non volevano un geologo».

    E poi?
    «Costanzo mi invitò lo stesso. Una sera mi ritrovo a litigare con gli ufologi».

    Addirittura.
    «Erano i terrapiattisti di ieri: dopo quel giorno mi ritrovo a combattere al Parioli per cento puntate».

    Ah ah ah  Per vincere ti serviva un applauso.
    «Mi incazzai con uno che sragionava, e gli gridai: “Lei è preda di un delirio onanistico”. Venne giù il teatro».

    Hai portato la tettonica al Costanzo Show!
    «E ti pare poco?».

    Primo voto a chi?
    «Al Pci, nel 1979».

    E i Verdi?
    «Pensa: mi hanno proposto di fare il candidato, e poi addirittura il portavoce, ma io non ho mai votato verde».

    Perché?
    «Ho sempre avuto un imprinting, ecologico ma sociale, che mi viene dagli anni Settanta e da mia madre».

    Pentito di aver rifiutato il Parlamento?
    «Mi interessa molto avere e fare opinione, ma occupare poltrone no».

    Nel 2001 ti cuciono addosso “Gaia”.
    «Due maghi della tv come Gregorio Paolini e Cristoforo Corno: ho condotto sempre con il martello da geologo».

    Poi a La7, tre anni.
    «Ho condotto Atlantide e La Gaia scienza, con il trio Medusa, che risate!».

    Dal 2019 sei “Sapiens”, su Rai3.
    «Grazie a questo lavoro mi mancano forse 30 Paesi per aver girato tutto il mondo completo. Questo ti sprovincializza molto…».

    Cosa intendi?
    «Le castronerie che si sentono in Italia sul clima non le dicono nemmeno nelle discussione dei circoli dei trumpiani».

    La destra italiana cita uno scienziato di sinistra, Franco Prodi fratello di Romano.
    «Lo so, lo so!».

    Prodi dice: la storia delle temperature dimostra che il ciclo del riscaldamento si è già verificato, nella vita della terra, senza idrocarburi.
    «Una balla».

    Non è vero?
    «Prodi non ha scritto nemmeno un articolo scientifico sul tema. Come mai?».

    Sostieni che le lobby del petrolio e del carbone lavorano per amplificare queste tesi.
    «Va letto il saggio folgorante di Steve Coll, Private empire, sulla manipolazione dell’informazione».

    Contesti degli scienziati?
    «Facci caso: i giornali e i colleghi negazionisti citano sempre Zichichi, un fisico delle particelle. Rubbia, un fisico dell’interazione debole. E Prodi, un meteorologo che si occupa anche di clima. Ti faresti operare al cuore da un ortopedico?».

    Però non si può postulare un dogma.
    «Sai che ci sono più articoli contro la relatività che contro il clima? Ecco perché chi mi attacca si limita alle battute sul fatto che voglio imitare – figurarsi – Piero Angela!».

    Dicono che sogni un ritorno al Medioevo. È vero?
    «Ah ah ah. Lo sai che la Tesla, elettrica, ha più accelerazione della Ferrari? Il Medioevo sono la combustione e gli olii che non si smaltiscono, i veleni nelle falde, le frane e le carestie».

    Hanno mai provato a influenzarti con offerte economiche?

    «Mille volte. Ho accettato solo un invito dall’agenzia dell’Emilia-Romagna, che possedeva un inceneritore, perché era un ente pubblico. E spiegando perché ero contro!».

    Sei anche contro gli inceneritori?
    «Ci sono metodi più efficaci».

    Lo sostengono tutti i nemici degli inceneritori. Ma in Europa sono ovunque.
    «Ma sono impianti industriali, con emissioni, e non è che lo dica Che Guevara. Basta Zaia, quando spiega che il Veneto ha un solo inceneritore perché fa riciclo spinto all’80%. Copiamo questo modello».

    Ci sono anche industrie che sostengono le energie rinnovabili.
    «Certo. Pensa ad Enel. Ma non fa beneficienza: è solo una delle grandi società che ha capito le prospettive di quel mercato pulito».

    Perché il riscaldamento non cala?
    «Perché non diciamo la verità. Pensa al Draghi del G20: “Conterremo la crescita in 1,5 gradi”».

    E non è vero?
    «Tutte le tabelle ufficiali sul Production gap dicono che arriveremo a 2,5 gradi per gli investimenti carbopetroliferi».

    Che colpa ha il Governo?
    «Semplice: li finanziamo noi!».

    Non solo in Italia.
    «In quasi tutto il mondo, purtroppo. Però queste sovvenzioni alle compagnie carbopetrolifere vanno tagliate tutte».

    Le consideri tutte sbagliate?
    «Crederesti a un padre che dice: “Devi uscire dalla tossicodipendenze, così pago lo spacciatore perché ti rifornisca”?».

    Hai venduto 25mila copie di un libro che si intitolava “Catastrofi”.
    (Ride). «Toccati. E pensa quanto sono bravo».

    Hai un figlio, Mattia.
    «Bellissimo, capelli lunghi biondi, 18 anni, vuole fare l’attore».

    Hai scritto uno spettacolo sul riscaldamento.
    «Clima, non ci credo con Lorenzo Baglioni. Sono un divulgatore, uso ogni arma».

    Non sei troppo duro con i colleghi che hanno altre idee sul clima?
    «Ma scusa, secondo te Cerasa scriverebbe un fondo intitolandolo: “Newton aveva torto”?».

    Segui il metodo scientifico sperimentale?
    «Sempre: ma ti faccio un esempio illuminante, sulle apparenze che ingannano».

    Quale?
    «Ogni anno 10-15 persone al mondo sono uccise da uno squalo: sono il 10% di quelli che muoiono colpiti da una noce di cocco. Ma noi teniamo lo squalo, e nessuno gira il film “La noce assassina”».

    Vuoi dire che minimizzare sul riscaldamento è facile?
    «Sì! Sai cosa unisce la sconfitta di Napoleone a Waterloo, il Frankenstein di Mary Shelley, gli splendidi tramonti di Turner, il prototipo della bicicletta e l’emigrazione irlandese in America?».

    So che la risposta è il clima, perché conosco il tuo libro ma rimango incantato dalla spiegazione.
    «Nell’aprile del 1815 a Tambora, in Indonesia, una eruzione produsse una enorme nube».

    Spiega la sequenza.
    «L’atmosfera, inquinata dalla nube eruttiva, viene oscurata. Si abbassa la temperatura. Piogge. La cavalleria leggera di Napoleone a Waterloo rimane impantanata nel fango».

    E poi?
    «Turner passa dai tramonti gialli a quelli rossastri, per via del riverbero cinereo».

    E la Shelley?
    «Si chiude in una villa a Ginevra, durante le piogge continue, con altri grandi narratori, in un clima naturalmente gotico. E ha l’idea geniale del fulmine che regala la vita di Frankenstein».

    Ma la bicicletta?
    «Marcirono tutte le patate, ci fu il boom della carne di cavallo. E un genio pensò alla sostituzione, anche se non ancora aveva i pedali!».

    Non ci credo.
    «Per lo stesso motivo – la fame! – iniziarono a partire per Ellis Island».

    Morale?
    «Mai sottovalutare il clima».

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