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    “Non c’è più tempo”: la spedizione dell’esploratore italiano verso l’isola di plastica nell’oceano Pacifico

    L'esploratore italiano Alex Bellini racconta a TPI del suo prossimo viaggio che lo vedrà coinvolto per più anni, navigando i 10 fiumi più inquinati al mondo su una zattera costruita con materiale di recupero e raggiugnendo il Pacific Trash Vortex, l'isola di plastica nell'oceano Pacifico grande tre volte la Francia

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 11 Dic. 2018 alle 12:53 Aggiornato il 11 Dic. 2018 alle 19:56

    “Dal 2011 cerco di coniugare le mie missioni a scopi più nobili, ma questo progetto è nato a marzo 2018, per guardare i problemi da altri punti di vista”.

    Alex Bellini è un esploratore italiano diventato noto al pubblico per le sue imprese estreme, tra cui le traversate oceaniche a remi, in solitaria e in completa autonomia. In vista della sua prossima missione ha raccontato a TPI quale importante progetto è racchiuso nel viaggio che lo vedrà coinvolto per più anni, navigando i 10 fiumi più inquinati al mondo su una zattera costruita con materiale di recupero e raggiugnendo il Pacific Trash Vortex, l’isola di plastica nell’oceano Pacifico grande tre volte la Francia.

    “Per quanto è vero che gli italiani sono sensibili sull’argomento plastica, ci si concentra troppo sulla plastica negli oceani senza trovare delle soluzioni. Se vogliamo trovare dei rimedi al problema plastica negli oceani bisogna guardare altrove, ossia a dove ha origine il problema. Banalmente mi sono domandato da dove viene questa plastica?”.

    È con questa idea che Alex ha dato vita al suo nuovo progetto di esplorazione, per coinvolgere, capire e partire da domande semplice affinché nessuno più si senta sollevato dalle proprie responsabilità.

    “Perché ci sono delle isole galleggianti in mezzo all’oceano? Ci sono delle navi che scaricano? Sono portate dalle correnti? Quello che si scopre facendo delle ricerche online è che l’80 per cento della plastica che oggi inquina gli oceani ha origine dai fiumi.

    Con la mia spedizione voglio far conoscere quella parte del viaggio della plastica che viene raccontata poco”, spiega Alex.

    “Gli esseri umani sono molto sofisticati come intelletto, ma poi quando le cose sono lontane dai nostri occhi è come se non fossero mai esistite. Quando mettiamo nell’immondizia un oggetto riusciamo a dimenticarcene, pensiamo che qualcun altro se ne occuperà. È un problema che possiamo riscontrare ovunque”.

    Uno dei principali ostacoli per cui il problema dell’inquinamento nel mare derivante dalla plastica è la scarsa conoscenza del sistema: “Viviamo nell’ignoranza e così facendo possiamo anche credere che il problema non esista. L’idea è quella di riportare le persone vicino alle cose, per accorciare la distanza che separa le persone dalle conseguenze.

    Questa partita che sto giocando, ossia contribuire a cambiare le abitudine delle persone, non può essere frutto di una sola risposta. Ognuno individualmente può diventare agente di cambiamento se si impegna in qualcosa: ci sono gli scienziati che fanno ricerche, i chimici che cercano di portare soluzioni – come l’enzima che mangia la plastica – c’è bisogno di qualcuno che ci racconti il problema, che ce lo racconti e ci porti nel viaggio della conoscenza”.

    Ma senza approfondimento l’uomo resterà sempre indifferente:

    “Finché le persone sono ignoranti queste parole non fanno presa. Dobbiamo informarci. Che viaggio compie la plastica dal momento in cui la mettiamo nella differenziata? Non è che scompare dalla faccia della terra.

    Il primo invito da fare alle persone è quello di informarsi. Se invece le persone vivono nell’ignoranza finiscono per credere che mettendo la plastica nel bidone del riciclo si esaurisce il problema”.

    La soluzione, come spesso viene detto, può partire da piccoli gesti, ma affinché vengano messi in atto è necessario esseri consapevoli:

    “Si tratta della volontà di una persona di fare piccoli accorgimenti nella propria vita. Io mi rifiuto, ed è una piccola cosa, di comprare acqua in bottiglie di plastica”.

    Alex spiega poi nel dettaglio come verrà attuato il viaggio:

    “Comincerò dal primo fiume che scorre vicino Pechino a marzo 2019. Arriverò su una imbarcazione autocostruita con materiali di riciclo che troverò sulle sponde di questo fiume, e così per gli altri fiumi.

    Due/tre fiumi all’anno, per concludere questa grande missione nel 2022 con l’ultimo fiume.

    L’isola di plastica la attraverserò tra il primo e il secondo fiume, con la barca con la quale ho attraversato l’oceano Pacifico”.

    Resta il quesito su se e come qualcuno sta agendo per eliminare il Pacific Trash Vortex.

    Secondo Alex, ci sono due progetti in stato avanzato, non sono solo idee. “Hanno l’ambizione di ripulire l’oceano entro il 2050. Vero è che produciamo sempre più plastica, quella che c’è oggi si andrà a sommare a quella che ci sarà domani”.

    “L’ambizione è alta, bisogna vedere se le forze in gioco sono sufficienti per ripulire l’oceano. Il problema secondo me è ancora la microplastica, quella che poi viene ingerita dagli animali, così sottile e disciolta nell’acqua da essere scambiata per plancton. È quella più dannosa e più difficile da raccogliere”.

    Ma c’è un altro problema:

    “Dove verrà messa questa plastica?”, si domanda Alex, “molta di questa plastica è in mare da così tanti anni che non può essere più utilizzata per niente.

    Non siamo più nella possibilità di aspettare, siamo in un secolo caratterizzato ormai dall’urgenza di un’azione, e forse questo è anche un aspetto positivo perché noi siamo così pigri da resistere a ogni tipo di cambiamento fino a quando quel cambiamento non diventa così urgente da essere messo in pratica, altrimenti siamo ancora così sciocchi da dire ‘ce ne occuperemo domani’. Oggi non è più possibile fare questo tipo di ragionamento”.

    “Io come esploratore agisco navigando i 10 fiumi perché credo che si debba ricreare questa relazione tra ambiente naturale ed essere umano, così che quando torneranno in comunicazione ci sarà voglia di prendersi cura.

    È difficile prendersi cura di qualcosa che non conosciamo, prima si conosce. Per recuperare una dimensione di unione e rispetto per l’ambiente”.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
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