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    La triste storia di Hasankeyf, la città curda che finirà sott’acqua a causa della diga voluta da Erdogan

    Un'immagine della città di Hasankeyf. Credit: Yasin AKGUL / AFP

    Con un passato di 12mila anni la città mesopotamica, entro il prossimo giugno, finirà sott’acqua per via della diga Ilisu dam voluta da Erdogan

    Di Francesca Salvatore
    Pubblicato il 12 Mar. 2019 alle 14:47 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:47

    C’è un posto incantevole, nel profondo Kurdistan turco, pesante di tempo, torto dall’acqua e dal sole. Siamo nella provincia di Batman, nel sud est dell’Anatolia.

    Questo posto si chiama Hasankeyf ed è una piccola cittadina sul corso del fiume Tigri, che l’avvolge e ne scandisce lentamente la vita dalla notte dei tempi. Il fiume sfama, il fiume lava, il fiume trasporta, il fiume dona e scava.

    Questo piccolo grande gioiello, che a ragion veduta dovrebbe figurare tra i patrimoni dell’umanità, ha circa 12mila anni. Singolare la sua posizione e conformazione, con il suo ponte romano crollato che per secoli ha vigilato, imponente, sul Tigri; serafica, eterna, la tomba di Zeynel Bey che da 500 anni affascina chiunque si accinga ad entrare in città; piccoli bottoni colorati incastonati nella roccia, le mille casupole dei pastori.

    Ad accogliere i viandanti un grande cartello arrugginito all’ingresso del paese che reca la scritta “Mezopotamya”: “tutto è cominciato qui”, verrebbe da aggiungerci.

    Hasankeyf, se solo fosse stata baciata dalla fortuna, oggi sarebbe una Petra, una Matera, un Taj Mahal. Invece è solo Hasankeyf, Cenerentola di pietra. E se qualcuno l’aveva conosciuta arrischiandosi per queste strade impervie e, oggi più che mai, pericolose (il confine con la Siria è a meno di 100 chilometri), presto nessuno più potrà ammirarla.

    Nessuno ne parlerà. Hasankeyf, infatti, presto non esisterà più. Migliaia e migliaia di metri cubi d’acqua la inonderanno a causa della costruzione della diga Ilisu dam, nodo nevralgico del progetto di ripensamento dell’intera Turchia da parte di Erdogan per stoccare energia elettrica e riserve idriche.

    Smanie autarchiche da un lato, il conflitto siriano a pochi chilometri da qui, gli investimenti esteri, le pressioni del PKK, l’ostinazione per impoverire d’acqua l’Iraq. Nessuno sembra conoscere la piccola Matera turca eppure tutti la tirano per la giacca.

    Il progetto della diga ha avuto inizio nel 2006 con un lavoro imponente di scavo che, chilometro dopo chilometro, è giunto fino ad Hasankeyf.

    Tuttavia, numerosi sono gli ostacoli che più volte ne hanno bloccato la realizzazione: il primo nel 2008, quando alcuni investitori internazionali austriaci, tedeschi e svizzeri si sono ritirati dal progetto per via della mancata osservanza dei criteri internazionali che riguardano la costruzione di grandi opere come questa.

    Il caso Hasankeyf è stato anche portato all’attenzione dell’UNESCO, nel tentativo di bloccare i lavori attraverso il perfetto escamotage di farla dichiarare patrimonio dell’umanità: un altro buco nell’acqua; la cittadina turca incontra “solo” 9 criteri su 10 rispetto a quelli richiesti.

    Nel frattempo i lavori sono andati avanti. Si è cominciato a costruire un funereo villaggio di lamiera a monte della città, monumenti storici come la Tomba di Zeynel sono stati letteralmente segati e portati via.

    La diversione del fiume, volta non solo a creare i presupposti della diga ma a impoverire le riserve d’acqua irachene, è già in atto dal 2012. Ma la “diga della discordia”, come la chiamano in molti, non sarà solo una cicatrice sul volto della Mesopotamia che studiamo fin da bambini.

    Oltre alla storia si porterà via, sotto circa 30 metri d’acqua, tante storie. Si porterà via un ragazzino di nome Jamal, che correndo assieme ad altri monelli, ti accoglie all’entrata della città urlando “I’am kurdish and you?”; si porterà via Alì, l’anima canterina del paese: Alì è un uomo che ha fatto tutto nella vita, il soldato, il cantante folk, la guida turistica.

    Ti accoglie sorridendo con i suoi dépliant sotto il braccio e ti guida fra le rocce torte della sua città cantando a squarciagola. Si inerpica tra i sentieri raccogliendo fichi e melograni sotto il sole cocente. Ogni tanto si ferma, Alì, e si incanta a guardare l’orizzonte, pensoso e triste.

    Tra le mille colombaie scavate nella roccia, abitano ancora tante persone. C’è una porticina bianca che fissa con insistenza: è la sua casa, colorata, fresca, profumata di tè.

    Ma ci sono anche i proprietari dell’“Hasankeyf Hasbahçe”, la locanda immersa in un frutteto che accoglie viaggiatori da ogni angolo del mondo. Un grande giardino dove convivono una famiglia curda, gatti, bambini ancora in fasce e globetrotter venuti da lontano: la vita qui dentro scorre lenta, fra tappeti e cuscini per la siesta, piatti di orzo e riso, frutta candita, al ritmo dello sciabordio del Tigri e del canto della cicale.

    Poi ci sono le donne vestite di nero che intravedi dalle tende candide che svolazzano davanti agli usci, gli uomini baffuti del bazar che ti insegnano a intrecciare alla curda il fazzoletto in testa, la piccola contadina col grembiule rosa che porta le uova dalla sua casetta verso il mercato della città. Tutto finirà sotto 30 metri d’acqua.

    Ma lo sfortunato destino per Hasankeyf continua. Un residuo di speranza, rappresentata dalla corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si è azzerato lo scorso 21 febbraio con il rigetto del ricorso: non esisterebbe, secondo la corte, un diritto individuale all’accesso ai siti identificati come “cultural heritage” decretando, inoltre, la sola responsabilità turca nella vicenda, sulla quale l’Europa non ha giurisdizione.

    La costruzione della Ilisu dam causerà, oltre alle perdite economiche e culturali, un numero variabile di sfollati logistici ed economici che va dalle 20mila alle 50mila persone nelle previsioni più ottimistiche, 75mila in quelle più fosche.

    È di pochi giorni fa, inoltre, la dichiarazione di Erdogan sulla fine dei lavori: entro giugno 2019 la diga verrà terminata ed inizierà l’allagamento delle aree coinvolte. Interrogati sul loro futuro gli abitanti di Hasankeyf si perdono con lo sguardo per qualche secondo. Poi toccano la terra e ti sorridono dicendo: “Vuol dire che impareremo a nuotare”.

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