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    Giudizio universale: portare lo Stato in tribunale è l’ultima arma dei cittadini contro la crisi climatica

    Tante promesse e pochi fatti. Sulla crisi climatica gli accordi internazionali restano al palo. E la società civile trascina i governi alla sbarra per “inazione”.

    Di Luca Mattei
    Pubblicato il 11 Dic. 2021 alle 21:14 Aggiornato il 21 Set. 2022 alle 14:30

    Il Protocollo di Kyoto, gli Accordi di Parigi del 2015, le promesse della Cop26 di Glasgow. Le “storiche” intese sul clima, tanto decantate dai governi contro il riscaldamento globale, restano spesso lettera morta o risultano insufficienti per affrontare la crisi ambientale. Tocca allora alla cittadinanza agire, persino in tribunale. E l’Italia non è da meno.

    A luglio scorso un consorzio di cittadini e associazioni ambientaliste ha depositato un atto di citazione presso il Tribunale Civile di Roma, convenendo in giudizio lo Stato italiano per tramite del Presidente del Consiglio dei Ministri. La prima udienza è fissata per il 14 dicembre.

    Figura centrale di tutta la storia è l’avvocato Luca Saltalamacchia. “Gli Stati concordano sulla necessità di contrastare il cambiamento climatico, ma non su come ripartire i tagli delle emissioni (cioè determinare quale quantità di emissioni ciascuno Stato sia tenuto a ridurre), né su quali iniziative possono e devono essere realizzate per ridurre i livelli emissivi”, spiega il legale a TPI. Così, di fronte alla reticenza dei governi, secondo l’avvocato il contenzioso climatico “avrà un ruolo sempre più determinante per colmare queste lacune”.

    Il motivo è semplice: “Se siamo in emergenza climatica e se questa è riconosciuta o addirittura conclamata, il non riuscire a trovare una soluzione concordata non è una buona ragione per non fare nulla, visto che le conseguenze costituiscono una grave minaccia al godimento dei diritti fondamentali”.

    La causa si innesta su una campagna di sensibilizzazione dal nome altisonante: “Giudizio Universale”. È la prima del suo genere in Italia, ma si inserisce in un solco già ben definito in via giurisprudenziale in altri Stati. Dal famoso caso Urgenda promosso nel 2015 nei Paesi Bassi, con cui il governo olandese fu condannato a ridurre le emissioni del 25 per cento, ad oggi sono oltre 1.700 le azioni legali promosse in circa 40 nazioni con l’obiettivo di imporre a Stati o imprese misure efficaci contro il riscaldamento globale.

    Le prospettive non sembrano negative. L’azione legale infatti si ispira a un principio ribadito di recente anche dalla Cassazione, nella sentenza n. 36373 del 2021. “Ogni cittadino ha il diritto di richiedere tutela e risarcimento dei danni derivati dall’omessa, tardiva o inesatta attuazione degli obblighi comunitari e/o internazionali assunti dallo Stato Italiano, che impatti sui diritti fondamentali impedendone il pieno esercizio”. Un principio, spiega l’avvocata cassazionista Marta Buffoni, che può trasformarsi in un formidabile strumento contro l’ignavia parlamentare.

    Leggi l’articolo completo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui
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