L’Italia, se continuerà a viaggiare al ritmo attuale, rischia seriamente di non riuscire a rispettare gli impegni della transizione energetica assunti a livello nazionale ed europeo. A meno di cinque anni dal traguardo fissato dal Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) e a soli otto mesi dalle scadenze del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), il nostro Paese sconta ritardi superiori a dieci anni in ambiti chiave come la generazione di elettricità da fonti rinnovabili e lo sviluppo dei sistemi di accumulo. È la stima che emerge dall’Energy Transition Indicator sviluppato da Teha (The European House Ambrosetti), un’analisi che valuta i progressi nel percorso verso gli obiettivi climatici attraverso 14 indicatori-chiave.
Secondo l’indagine, in particolare, l’Italia è in linea soltanto con il 30% degli indicatori, mentre è indietro o gravemente indietro nel restante 70%, con molto terreno da recuperare specie per quanto riguarda gli impianti rinnovabili installati e i sistemi di accumulo di grandi dimensioni. Ad esempio, si stima un ritardo di 42 anni nella capacità energetica di accumuli “utility scale” (ossia impianti di stoccaggio di energia elettrica di grandi dimensioni, collegati direttamente alla rete e progettati per bilanciare in modo stabile domanda e offerta).
Quattro pilastri
Come fare per colmare questo gap? È la domanda a cui prova a dare una risposta lo studio “Lo stato della transizione energetica in Italia: principi e policy per garantire sicurezza e competitività”, realizzato da Edison e Teha Group e presentato poche settimane fa al Forum organizzato annualmente da Teha a Cernobbio, intitolato quest’anno “Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”.
L’analisi suggerisce di adottare una visione sistemica imperniata su quattro pilastri volta a promuovere un approccio più coordinato e bilanciato alla transizione e a rendere più efficiente il raggiungimento dei target.
Il primo pilastro di questa visione prevede di sviluppare in modo sinergico e bilanciato tecnologie mature e immediatamente scalabili – come fotovoltaico, eolico onshore, batterie e pompaggi idroelettrici – e soluzioni strategiche che garantiscano la sicurezza e l’indipendenza del sistema – quali nucleare, Ccs (cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica) ed eolico offshore – le quali, inserite nel giusto mix, consentono di ridurre il costo complessivo dell’energia.
Secondo pilastro: valutare il mix ottimale tra queste tecnologie sulla base di criteri quali rapidità di dispiegamento, il costo complessivo per il cliente finale e la capacità di contribuire, da un lato, alla resilienza e alla sicurezza sistemica e, dall’altro, di generare impatti economici e industriali per il Paese.
Terzo pilastro: istituire un meccanismo di monitoraggio annuale – con aggiornamento triennale – della roadmap, così da garantire flessibilità e reattività rispetto all’evoluzione tecnologica, ai contesti di mercato e agli scenari geopolitici.
Quarto pilastro: bilanciare fra loro gli incentivi dal lato dell’offerta e della domanda, affinché gli stimoli alla produzione di energia decarbonizzata si accompagnino a strumenti in grado favorire l’adozione delle nuove tecnologie da parte di cittadini e imprese e l’attivazione di nuove filiere produttive collegate.
Lo studio realizzato da Edison e Teha Group stima che questa visione basata su un mix bilanciato di tecnologie mature e scalabili e soluzioni strategiche per la sicurezza energetica potrebbe abilitare entro il 2050 circa 190 miliardi di euro di ricadute facilitando l’accesso a energia decarbonizzata e con un costo competitivo per l’industria.
Fotovoltaico e accumuli
Il Pniec fissa l’obiettivo di raddoppiare in Italia le installazioni di solare ed eolico dai 50,1 GW del 2024 a quota 107,4 GW entro il 2030. Ma, al ritmo attuale, sarà difficile riuscirci: il Piano richiede infatti di aggiungere ogni anno in media 10,7 GW, ma nel 2024 ne sono stati installati 7,5 GW e nel 2023 ci si era fermati a 5,7.
Lo sviluppo delle rinnovabili nel nostro Paese è ostacolato da extra-costi sistemici legati a congestioni di rete, iter autorizzativi e disponibilità dei terreni: un insieme di fattori che rende i progetti “Ready to Build” fotovoltaici italiani oltre il 20% più costosi rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna. Per questo – si legge nello studio di Edison e Teha – sarebbe utile snellire gli iter autorizzativi e riformare le norme sulle Aree Idonee, prevedere un nuovo modello di sviluppo della rete che pianifichi la capacità per area e riduca la congestione delle richieste e promuovere un modello di mercato adeguato a dare segnali di prezzo stabili e coerenti.
In parallelo con le rinnovabili, come detto, si auspica un’accelerazione nello sviluppo dei sistemi di accumulo. Essi si distinguono in sistemi a breve termine e sistemi a medio-lungo termine. Al primo gruppo fanno riferimento le batterie, ideali per accumuli “power intensive” con vita utile di 12-14 anni, mentre rientrano nel secondo gruppo, tra gli altri, i pompaggi idroelettrici, che sono oggi l’unica tecnologia matura e scalabile per l’accumulo “energy intensive”, con una vita utile fino a 50 anni, in grado di garantire un’elevata flessibilità strutturale al sistema elettrico.
L’indagine presentata a Cernobbio calcola che nel nostro Paese si potrebbero installare nuovi pompaggi idroelettrici per una potenza pari a 13,6 GW attraverso 56 nuovi impianti in aree già infrastrutturate o prossime a bacini esistenti. Ciò potrebbe generare un impatto economico complessivo di circa 110 miliardi di euro, garantendo al contempo indipendenza tecnologica da Paesi terzi e una migliore gestione della risorsa idrica in regioni a rischio idrogeologico come quelle del Sud.
Nuovo nucleare e Ccs
Accanto alle rinnovabili e ai pompaggi – tecnologie mature e immediatamente scalabili – lo studio condotto da Edison e Teha sottolinea l’importanza delle tecnologie a basse emissioni di carbonio strutturali, decisive per rafforzare l’indipendenza energetica e garantire la sicurezza del sistema: il nuovo nucleare e la già citata Ccs (impianti per la cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica).
Il nuovo nucleare – fondato sui reattori di piccola taglia Smr e Amr in fase di sviluppo – viene individuato come una potenziale leva strategica per integrare le rinnovabili (fonte intermittente) con una produzione continua, programmabile e decarbonizzata. In questo settore l’Italia può contare su un tessuto industriale competitivo, che conta una settantina di aziende con 2.900 occupati totali e un fatturato complessivo pari a 556 milioni di euro. Si stima che puntare sui nuovi reattori di piccola taglia – promuovendo partnership su scala europea – possa generare per l’Italia fino a 50 miliardi di euro (il 2,5% del Pil attuale) entro il 2050.
Quanto alla Ccs, questa tecnologia è uno strumento essenziale per decarbonizzare i settori hard-to-abate e per mantenere l’operatività del parco termoelettrico. Negli ultimi quattro anni il numero degli impianti nel mondo è decuplicato: dai 65 del 2020 ai 628 del 2024. L’indagine stima che lo sviluppo di una filiera della Ccs in Italia potrebbe avere un impatto quantificabile in 30 miliardi di euro entro il 2030.
Politica industriale
La transizione energetica, osserva nella prefazione dello studio Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, costituisce «una sfida complessa che richiede un approccio di politica industriale sistemico e programmatico, aperto a una pluralità di tecnologie, ma focalizzato sulla costruzione nel tempo di un mix energetico che massimizzi la competitività nazionale, la sicurezza energetica e la sostenibilità ambientale». «L’Italia – sottolinea Monti – ha l’opportunità e le competenze per trasformare il difficile percorso della transizione energetica in un percorso di sviluppo economico per l’intero sistema nazionale, adottando un approccio di politica industriale sistemico e programmatico che acceleri l’implementazione delle tecnologie esistenti, ponga le basi per lo sviluppo di tecnologie emergenti e sfrutti le opportunità di partnership tecnologiche a livello europeo».