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    La proposta sulle trivellazioni petrolifere di Trump che mette a rischio la barriera corallina americana

    Credit: Alex Ellis / Oceana Belize

    Lo stato del Belize è riuscito ad opporsi e a dare il buon esempio. Tutto quello che c'è da sapere

    Di Marta Perroni
    Pubblicato il 12 Gen. 2018 alle 09:49 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:58

    Lo scorso 4 gennaio è stata rilasciata la proposta, da parte dell’amministrazione Trump, di aprire quasi tutte le acque costiere statunitensi alle trivellazioni petrolifere.

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    Se dovesse essere approvata, questa decisione permetterà alle compagnie energetiche di accedere a più di miliardo di chilometri quadrati (circa 390 milioni di miglia quadrate) di aree precedentemente protette per motivi ambientali, i cittadini del Belize sono stati i primi ad opporsi e a ottenere una moratoria governativa ufficiale.

    Il Progetto di Proposta di Programma (DPP) comprende 47 potenziali vendite in 25 delle 26 aree di pianificazione: 19 vendite al largo delle coste dell’Alaska, 7 nella regione del Pacifico, 12 nel Golfo del Messico e 9 nella regione atlantica.

    Si tratta dell’ Outer Continental Shelf Oil & Gas Leasing il progetto che durerà dal 2019 al 2024 e sarà quello con il più grande numero di concessioni per le perforazioni petrolifere mai proposto dal governo degli Stati Uniti.

    La comunicazione, festeggiata dalle industrie petrolifere che l’hanno definita “un annuncio a lungo atteso”, abolisce il divieto di perforazione imposto dal presidente Barack Obama proprio alla fine del suo mandato e infligge un duro colpo alla sua eredità ambientale.

    “Sotto il presidente Trump, diventeremo la più potente superpotenza energetica che questo mondo abbia mai conosciuto” ha commentato il ​​segretario dell’interno Ryan Zinke.

    E nonostante il direttore del Bureau of Ocean Energy Managment (BOEM) Walter Cruickshank abbia dichiarato che “la produzione di energia americana può essere competitiva rimanendo al sicuro e rispettosa dell’ambiente”, a causa della proposta del governo Trump quello che si prospetta per le coste americane è un tragico panorama.

    A distinguersi tra le nazioni colpite dalla dichiarazione è stato per primo il governo del Belize che aveva già votato, il 29 dicembre scorso, l’attuazione di una moratoria su tutte le nuove esplorazioni petrolifere nelle sue acque.

    Il piccolo paese incuneato tra Messico, Guatemala e il Mar Caraibi produce circa 2mila barili di petrolio al giorno, un’inezia se rapportata alla produzione giornaliera degli Stati Uniti solo nel Golfo del Messico di circa 1,5milioni di barili. Tuttavia è una notizia di notevole rilevanza.

    Come la maggior parte dei paesi in via di sviluppo, il Belize conta sulle sue risorse naturali e sul turismo per sviluppare la propria economia, il petrolio costituisce invece più di un quarto delle sue esportazioni.

    Grazie alle campagne degli ambientalisti, i cittadini del Belize si sono convinti che proteggere la proprie barriera corallina, la più importante attrazione turistica del paese e patrimonio Unesco, oltre che un dovere ambientale, sia un importante investimento a lungo termine anche dal punto di vista economico: in un rapporto del 2016, è stato calcolato infatti che il turismo faccia guadagnare al Belize oltre 200milioni di dollari, e che rappresenti oltre il 10 per cento del suo prodotto interno lordo. 

    E già nel 2005, quando la Belize Natural Energy, unica compagnia petrolifera del paese, aveva cominciato a scoprire nuovi giacimenti,  numerosi gruppi di ambientalisti avevano cominciato ad esercitare pressioni sul governo e sull’opinione pubblica per porre il divieto sulle trivellazione off shore.

    “Il Belize è un piccolo paese che si impegna enormemente a mettere l’ambiente al primo posto”, afferma Nadia Bood, una scienziata del il World Wide Fund for Nature (WWF) che lavora sulla barriera corallina proprio in Belize. L’organizzazione ambientale, che ha indetto una raccolta firme, ha ricevuto oltre 450.000 mail da persone di tutto il mondo.

    E proprio il 5 gennaio scorso è passata all’unanimità la legge sulle operazioni petrolifere (Offshore Zone Moratorium), che metterà una moratoria indefinita sulle perforazioni di petrolio offshore nel territorio marino del Belize.

    “Siamo lieti che il Belize abbia riconosciuto l’importanza di preservare la barriera corallina rimuovendo alcuni dei principali rischi che minacciano il suo futuro. Il sito è il gioiello della corona del Belize ed è vitale per la futura prosperità del paese. Gestito correttamente, è un patrimonio mondiale e andrà a beneficio delle persone per le generazioni future” ha dichiarato Chris Gee, uno degli ideatori della campagna, che aggiunge anche di essere sicuro che “la fine delle attività petrolifere in Belize incoraggerà altri paesi a seguire l’esempio e ad adottare l’azione urgente necessaria per proteggere gli oceani del nostro pianeta”.

    E infatti la nuova proposta ha acceso lo scontro tra ambientalisti e gli abitanti delle coste, anche sul suolo statunitense.

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    “Questo radicale trivellamento offshore è per tutti un chiaro esempio di politica personale, che ignora completamente la diffusa opposizione locale e statale”, ha affermato Diane Hoskins, direttrice della campagna per il gruppo di conservazione marina Oceana.

    “Il piano dell’amministrazione Trump non solo non tiene minimamente conto della natura rischiosa delle perforazioni sporche e pericolose, ma non considera nemmeno gli abitanti e le imprese costiere che verranno maggiormente colpite”.

    Tutti e tre i governatori sulla costa occidentale degli Stati Uniti infatti si sono opposti all’estensione delle perforazioni offshore e, sulla costa orientale, più di 140 comuni hanno presentato il loro rifiuto. I governatori della Carolina del Nord e della Virginia hanno anche chiesto espressamente all’amministrazione Trump di lasciare i loro Stati fuori da ogni nuovo piano.

    Ma l’opposizione non ricade solo all’interno delle linee del partito del presidente Trump. Rick Scott, il governatore repubblicano della Florida, si è da subito dimostrato contrario alla proposta affermando che la sua massima priorità è “garantire che le risorse naturali della Florida siano protette”,  riuscendo poi a convincere il segretario dell’interno a far rimuovere il suo stato dalla considerazione per la costruzione di qualsiasi nuova piattaforma petrolifera e di gas.

    E anche i senatori Marco Rubio, noto repubblicano e Bill Nelson, un democratico, si sono uniti a Scott nel promettere di sconfiggere il piano. Così hanno fatto anche i membri del Congresso repubblicano Carlos Curbelo e Matt Gaetz (che una volta aveva persino proposto di chiudere l’agenzia per la protezione ambientale).

    Anche i repubblicani al di fuori della Florida si sono opposti al piano. “Non è il momento di riaprire la costa californiana per nuove trivellazioni”, dice Darrell Issa, un membro del Congresso della Contea di San Diego e aggiunge ”i californiani sono stati chiari: non vogliono nuove perforazioni dalle nostre coste”.

    “Proprio come nel settore minerario, non tutte le aree sono appropriate per la perforazione in mare aperto, e ne terremo conto nelle prossime settimane. L’importante è che raggiungiamo il giusto equilibrio per proteggere le nostre coste e le nostre popolazioni, mentre ancora alimentiamo l’America e raggiungiamo il dominio americano dell’energia ” ha affermato.

    Ma quali sarebbero allora le aree appropriate per la trivellazione petrolifera? Per le compagnie petrolifere, i gruppi di conservazione, le imprese locali, i turisti e, soprattutto, per le persone che vivono lungo la costa, questa è la domanda più importante di tutte. Lo sforzo di scienziati e politici per definire la risposta e dare un’alternativa alla distruzione ambientale prospettata è appena iniziato.

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