In Italia il dibattito sulle rinnovabili si accende spesso quando si parla di agrivoltaico. Un nuovo approccio, promettente, ma ancora avvolto da molti equivoci. C’è chi lo immagina come una sottrazione di suolo agricolo, chi come un’invasione di pannelli, altri come un compromesso difficile da governare.
Eppure, al di là delle contrapposizioni e delle semplificazioni, sta prendendo forma un’altra narrazione: quella di un settore che cresce ripensando il rapporto tra energia, agricoltura, tecnologia e progettazione avanzata. Una storia che Geostudiogroup, azienda italiana nata dall’unione di competenze sull’energia rinnovabile, telecomunicazioni ed edilizia, sta contribuendo a scrivere con un approccio unico nel panorama nazionale.
Fondata da professionisti con competenze complementari, l’azienda ha costruito la propria identità sulla visione che le infrastrutture del futuro non appartengano a un solo settore, ma nascano dove i settori si contaminano. «Geostudiogroup è nata dall’intuizione che questi mondi, apparentemente distanti, potessero costituire un sistema integrato capace di generare valore aggiunto», spiegano i fondatori dell’azienda Franco Privitera Garozzo e Salvatore Camillieri.
Ed è proprio da questa visione olistica che l’azienda ha iniziato a conquistare la sia fiducia di partner pubblici che privati, diventando oggi uno dei riferimenti più autorevoli nella progettazione di impianti sostenibili.
Per capire la portata del lavoro di Geostudiogroup, occorre partire dal cuore del dibattito. Che cos’è l’agrivoltaico? Si tratta di una forma evoluta di impianto fotovoltaico in cui la produzione di energia e quella agricola convivono sullo stesso terreno, senza che una attività penalizzi l’altra. I vantaggi di questo modello sono profondi e tangibili.
L’integrazione dei moduli fotovoltaici garantisce una nuova resilienza economica alle aziende agricole e agisce come un vero e proprio scudo per le colture, proteggendole dagli stress climatici sempre più estremi. Allo stesso tempo, incrementa la produzione di energia pulita in totale armonia con il paesaggio e la biodiversità locale.
Nonostante l’evidenza dei benefici, la strada verso una piena transizione è ancora ostacolata da barriere culturali e vecchi pregiudizi. Spesso l’innovazione spaventa e l’agrivoltaico viene percepito, erroneamente, come un nemico della tradizione rurale. «Il principale equivoco è pensare che l’agrivoltaico sottragga suolo all’agricoltura – sottolinea l’azienda – In realtà, se progettato correttamente, aumenta la resilienza agricola e protegge le colture dagli stress climatici». In particolar modo, l’effetto ombra moderato riduce l’evapotraspirazione, migliora la gestione dell’acqua, crea microclimi favorevoli e può persino incrementare la produttività di alcune specie.
Eppure, non tutte le colture reagiscono allo stesso modo, per questo la progettazione non può seguire schemi generici. «Altezza, inclinazione e disposizione dei moduli sono calibrati sulle esigenze delle colture», spiegano. È un lavoro di sartoria agronomica e ingegneristica che richiede precisione, competenze multidisciplinari e monitoraggio costante.
L’agrivoltaico, dunque, non è un impianto fotovoltaico “adattato”, ma un’infrastruttura complessa che necessita di studi molto approfonditi. Tre sono gli aspetti più delicati da governare.
Il primo è l’irraggiamento solare e l’ombreggiamento delle colture. «Significa progettare un impianto che produca energia senza compromettere la fotosintesi. Un equilibrio millimetrico che deve tener contro dell’inclinazione dei pannelli, la distanza tra le file e l’altezza delle strutture perché ogni parametro influisce sul benessere delle colture», precisano i founder. Il secondo aspetto riguarda il microclima e gestione idrica, dato che «Un impianto modifica la ventilazione, la distribuzione della pioggia e il comportamento del suolo. Servono studi idrologici e sensori ambientali per garantire alle piante condizioni ottimali». Ultimo aspetto da tenere in considerazione è la compatibilità tra l’agrivoltaico e le diverse colture presente sui suoli agricoli. «Non tutte le specie tollerano allo stesso modo l’ombreggiamento. La scelta incide non solo sulla produzione, ma anche sulla rotazione delle colture e sulla sostenibilità economica», concludono.
Non dimeno, è da considerare il fatto che questi aspetti si intrecciano con normative complesse, vincoli paesaggistici e piani agricoli territoriali. È qui che il know-how di aziende come Geostudiogroup fa la differenza. «Bilanciare questi elementi non è solo una questione tecnica, ma un “arte” di progettazione integrata», raccontano. Solo dalla collaborazione tra ingegneri, agronomi ed esperti ambientali nasce un progetto realmente efficace.
C’è da aggiungere che in questo settore, l’efficienza non è più soltanto una questione di tecnologia. Oggi la vera differenza la fa la capacità di integrare l’impianto nel territorio, prevedendo l’impatto sociale, ambientale ed economico del progetto. È questo il principio alla base del modello operativo di Geostudiogroup. «Un impianto può essere perfetto sulla carta, ma non sostenibile nella realtà se non dialoga con ciò che lo circonda, dunque la collaborazione progettuale all’interno del territorio agricolo è essenziale», spiegano i Privitera Garozzo e Camillieri.
È per questo che il gruppo ha scelto un approccio che va oltre la semplice progettazione tecnica, gestendo l’intero ciclo di vita dell’opera, dalla scelta delle aree idonee fino alla manutenzione dopo l’entrata in funzione. Una strategia che punta a prevenire criticità e a garantire ritorni economici misurabili nel tempo.
Tra gli esempi più significativi c’è il progetto in corso di realizzazione in Sicilia – denominato Big Fish e Sardella – dove l’azienda lavora alla creazione di un impianto agrivoltaico che integra la produzione energetica con pratiche agricole locali.
L’intervento non si limita alla posa dei pannelli ma prevede protocolli interni per misurare la resa elettrica, l’impatto ambientale e sociale del progetto. Tra i punti chiave il monitoraggio delle colture, l’analisi dei suoli, la qualità dell’acqua, il traffico agricolo e la produttività. Ogni elemento è stato è misurato con indicatori di sostenibilità al fine di tenere traccia di tutti i fattori quali-quantitativi. Il risultato è un impianto che produrrà energia pulita rispettando la vocazione agricola del territorio.
Se il presente si costruisce con rigore tecnico, il futuro si costruisce con visione. Per Geostudiogroup il futuro ha due nomi: intelligenza artificiale e digital twin. Tecnologie che permettono di simulare il comportamento degli impianti prima della loro realizzazione strutturale, prevedere rese agricole ed energetiche, ridurre l’incertezza progettuale. «Non è un futuro ipotetico, è un percorso che abbiamo già intrapreso», affermano. Attraverso l’uso di modellazione digitale, algoritmi predittivi e analisi climatiche avanzate, il Gruppo trasforma i dati in strategia e gli impianti di domani in sistemi più resilienti, adattivi e intelligenti.
La transizione energetica è spesso frenata da diffidenze comprensibili, che solitamente riguardano l’investimento iniziale, l’impatto paesaggistico e le modifiche alle pratiche agricole. Geostudiogroup invita a guardare all’agrivoltaico come a un’opportunità e non come a una minaccia.
«Comprendiamo i timori, ma crediamo che l’agrivoltaico si configuri come una soluzione integrata e scalabile alla crescente crisi dei settori agricolo e zootecnico in Italia», spiegano. «Trasformiamo i timori in progetti concreti – concludono – Investire oggi significa costruire un futuro in cui energia e agricoltura convivono e si rafforzano a vicenda e Geostudiogroup è orgogliosa di trasformare questo disegno in realtà».