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Governo M5S-Pd, gli iscritti a Rousseau dicono Sì all’accordo con i Dem: ecco cosa succede ora

Immagine di copertina
Foto: Zingaretti, Conte e Di Maio

Governo M5S-Pd, cosa succede dopo il voto su Rousseau

Il popolo dei 5 Stelle si è espresso: sulla piattaforma Rousseau ha vinto il Sì all’accordo per un governo M5S-Pd, con il 79,3 per cento dei consensi.

S&D

Alla luce dei risultati su Rousseau, cosa succederà adesso? Quali saranno le prossime mosse dei partiti, in vista di un esecutivo Conte bis? Che ne sarà del governo M5S-Pd per il quale le trattative sono andate avanti per più di una settimana? Ormai il nodo è sciolto, o quasi.

Ecco dunque cosa c’è da aspettarsi nei prossimi giorni.

Su Rousseau il via libera al nuovo mandato a Conte

Adesso che la base degli iscritti al M5S si è espressa a favore, la strada per il governo M5S-Pd è tutta in discesa. Il premier incaricato, Giuseppe Conte, che lo scorso 29 agosto aveva ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il mandato per formare il governo, può sciogliere la riserva. Molto probabilmente si recherà al Colle già domani.

Conte scioglierà la riserva, presentando la lista dei ministri del futuro governo M5S-Pd a cui ha lavorato in questi giorni, al Capo dello Stato, che può far valere la sua “moral suasionnel caso in cui vi fosse un ministro non ritenuto idoneo a ricoprire tale ruolo per motivi che possono essere di opportunità politica e non solo. Un’ipotesi simile si è verificata lo scorso anno quando fu proposto Paolo Savona al ministero dell’Economia.

Il passaggio successivo sarà poi quello dell’emanazione, da parte del capo dello Stato, il presidente della Repubblica emanerà tre decreti: quello di nomina del presidente del Consiglio, controfirmato dal presidente del Consiglio nominato, quello di nomina dei singoli ministri, controfirmato dal presidente del Consiglio, e quello di accettazione delle dimissioni del Governo uscente.

L’articolo 92 della Costituzione, infatti, disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri“.

Il presidente del Consiglio e i ministri devono successivamente prestare giuramento secondo la formula rituale indicata dall’articolo 1, comma 3, della legge n. 400/88 nelle mani del capo dello Stato.

Entro dieci giorni dal decreto di nomina, il Governo deve poi recarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, voto che deve essere motivato dai gruppi parlamentari ed avvenire per appello nominale, al fine di impegnare direttamente i parlamentari nella responsabilità di tale concessione di fronte all’elettorato.

Governo M5S-Pd, l’altro scenario

L’altro scenario possibile era quello in cui gli iscritti M5S avrebbero bocciato l’accordo di un governo M5S-Pd. In quel caso la linea dei vertici era chiaro: ascoltare la base in ogni caso, anche nell’eventualità di un voto contrario. I big grillini a quel punto, preso atto di una base che non approva l’accordo con il Pd, avrebbero ritirato l’appoggio al Conte bis, e il premier incaricato sarebbe stato “costretto”, in barba alle “regole” istituzionali, a sciogliere negativamente la riserva nelle mani di Sergio Mattarella.

In caso di remissione del mandato, il capo dello Stato avrebbe potuto avvalersi sostanzialmente di due ipotesi: convocare nuove consultazioni per verificare l’esistenza di un’altra maggioranza parlamentare, ipotesi assai improbabile, oppure sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, nominando un nuovo presidente del Consiglio che si occupi di traghettare il Paese al voto.

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