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Home » Opinioni

Viviamo nella società dell’odio. Ma Liliana Segre ci insegna ancora ad amare

Immagine di copertina
La senatrice a vita Liliana Segre

Il potente insegnamento di Liliana Segre: l'odio si sconfigge solo con l'amore

Liliana Segre ci insegna ancora ad amare

In questi giorni lo Stato italiano ha deciso di assegnare una scorta a Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz nel 1945. È stupefacente che una donna emersa da quella realtà debba oggi essere difesa in democrazia. Questo evento meriterebbe una riflessione ideale e politica, con gli strumenti che l’opinione pubblica ha a disposizione, ma è evidente che in questo momento ciò appare praticamente impossibile. Perché c’è ancora molta rabbia da sbollire. Una rabbia aizzata e fomentata contro persone innocenti.

I cosiddetti odiatori dovrebbero confrontarsi meglio con i propri pensieri e scegliersi con più accuratezza i propri obiettivi, se proprio desiderano uno sfogo per i propri impulsi. Ad esempio, iscriversi a corsi di pugilato, andare a correre, oppure occuparsi dell’ammansimento di cani feroci al fine di sviluppare una maggiore empatia.

Di questo odio non se ne può più. Anche perché sparge veleno, non solo nelle proprie esistenze ma anche in quelle degli altri. Piuttosto che star lì con le dita in movimento su uno schermo o in libertà sulla tastiera, bisognerebbe pensare a un modo migliore per emergere e vincere. Come Liliana Segre è riuscita a fare all’età di quindici anni. Marciando nella neve, passo dopo passo, anche se sembrava un’impresa impossibile. Di certo la sua vita non era allora più semplice di quella di chi oggi soffre per la propria.

Signori e signore, qui bisogna riflettere. Imparare a sopravvivere senza sarcasmo e scorciatoie. Bella forza odiare una persona così, una donna che si è salvata da quelle insidie. Liliana Segre dice che all’odio ha imparato a rispondere in un modo solo: con l’amore. Che non significa cedere la guancia al proprio nemico o rimettersi nelle sue mani, ma spingerlo lontano e sfidarlo. Sul piano umano. Della schiettezza e della sincerità. Della maturità che sconfigge la volgarità.

Tutto questo odio non serve a niente. E si è diffuso su scala planetaria. Una situazione come quella presente non conviene a nessuno, eppure si continua a perpetuarla. Che ce ne facciamo di tutta questa perversione, pusillanimità, di questa manipolazione? Il problema è che non si capisce più come si deve entrare in relazione, come si deva amare. A furia di disputare su Internet, di starsene lì soli senza limiti e barriere, tutti insieme appassionatamente, si è perso il senso del ridicolo, dell’evidenza, della visione di chi si trova dall’altra parte.

Figurine rattrappite, sottili che lasciano presagire il vuoto più che l’idea di un’umanità consistente. È troppo comodo odiare così. Senza provare a immaginare le storie, le memorie, le opinioni, le visioni di chi diventa l’obiettivo di questo stillicidio. È vero anche che negli ultimi anni lo stesso “popolino”, da cui molti odiatori provengono, è diventato oggetto di irrisione e scherno da parte di chi – e qui una immensa responsabilità è a carico di molti uomini e donne di cultura – lo ha sprezzantemente lasciato scivolare giù da un piano inclinato anziché portarselo dalla propria parte.

È mancata la condivisione, la capacità di gestione della cultura e dell’istruzione secondo spirito di carità e giustizia. Su questo bisogna oggi lavorare per evitare che il malanimo, la malapianta allunghi ancora le sue radici. Salvini non è la soluzione, ma il rovescio di tutti i problemi. Che non perdono di sostanza ma si tramutano in violenza.

Lo spirito di Mussolini, il perverso Mussolini, è ancora presente perché di fatto non sa guardare al proprio futuro. Che sarebbe molto più riposante e brillante se solo lo si sapesse vedere, coltivare. Di virtù, passione, unità di intenti con il prossimo. Tra cui le donne, dato che siamo in un’epoca in cui queste ultime meritano molta più considerazione e rispetto.

Che ce ne facciamo di Mussolini? Non è molto meglio appassionarsi di qualcosa o qualcuno? Sarebbe molto più gradevole per gli occhi e per la mente. Soprattutto in un periodo come questo, in cui la gente ha dimenticato come godere senza soffrire. Senza svendere cioè quello che è in condizioni e contesti in cui la negazione della vita e della vitalità sono spinte all’inverosimile.

L’aveva detto Freud nel 1929: più si reprimono le espressioni di piacere e amore, più gli impulsi si scateneranno per sovvertire la realtà. In questo momento siamo esattamente in quella fase. Prevalgono l’odio e l’aggressività.

Liliana Segre, così serena e magnifica nella sua statuaria presenza, deve adesso sorbirsi il rilascio di una degradazione che non dipende da lei. Una flessione di stati d’animo che potrebbero andare molto più in alto. Se si afferrassero bene gli strumenti, le risorse, le eccezioni alla regola che sono lì, tutte intorno a noi, e che bisogna cercare di scoprire. Di vedere.

Segre parla sempre con voce calma ed equilibrata, con il calore di chi da tempo ha colto ed elaborato i suoi vissuti. Solo una domanda è rimasta in sospeso: “Perché?”. E questo senso lo si può capire solo se si impara che all’opposto dell’annullamento vige la cura di sé. Liliana Segre ha raccontato più volte come per sopravvivere, oltre alla forza e alla determinazione del passo, si affidava al potere della mente. Mentre era lì, immaginava di essere una farfalla che volava al di sopra del reticolato. Se il suo corpo subiva, la sua mente vagava altrove, permettendole di sopravvivere spiritualmente. Portandola con sé, fino a salvarla definitivamente.

Su questo aspetto c’è molto da imparare. Sulla capacità di immaginazione che si espande, che ci espande, anche in una realtà satura di mancanze e incertezze. Da riempire o abbattere naturalmente, con mezzi savi, felici, non con le chiacchiere e le parole malsane, da malcapitati, che continuano a inquinare i pozzi e le coscienze. Tutto è da scoprire o recuperare. C’è molto di più e molto di meglio in questa vita e in quella direzione bisogna guardare, tra le connessioni e le scoperte che alla realtà rendono omaggio e visione.

In un passo riportato nel Filo infinito di Paolo Rumiz c’è una frase molto importante: “Un tempo i vizi capitali erano otto, e l’ottavo era la tristezza, lo sapevi? […] Poi hanno abolito quel vizio, perché si pensava che non avesse diretta rilevanza sociale. Ci si illudeva, stupidamente, che la tristezza non influisse sul mondo… Il risultato è che viviamo in un mondo incapace di relazione. […] Se c’è una cosa che Dio ha in uggia, sono i musoni. Ma come, ci dice: io vi ho apparecchiato tutte queste meraviglie da gustare e voi vi annoiate? […] La letizia è un dovere, prima che un diritto”. Ecco, su questo bisognerebbe concentrarsi oggi, sulla scoperta di questi mezzi, più godibili, più deliziosi, anziché star lì a rimpiangere un pallone gonfiato e a prendersela con una donna che questa lezione l’ha imparata ormai tanti anni fa.

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