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La prima app che aiuta i rifugiati a sopravvivere in Europa

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Si chiama RefAid e con la geolocalizzazione assiste i profughi nell'individuare servizi di prima necessità aggiornati di volta in volta da diverse Ong

Una compagnia privata britannica, la Digital Fan Clubs (oggi Trellyz) ha ideato un’app gratuita che, tramite la geolocalizzazione, aiuta i rifugiati a trovare i servizi di cui hanno bisogno. La Refugee Aid App o RefAid è stata lanciata martedì 16 febbraio 2016.

L’idea si deve alla fondatrice e amministratrice della compagnia, Shelley Taylor, un’imprenditrice del digitale nata e cresciuta nella Silicon Valley ma familiare con l’Europa. Infatti, Taylor vive e lavora a Londra, nel Regno Unito.

L’11 ottobre del 2015, sul blog della Digital Fan Clubs compare un post firmato proprio da Taylor: “Un paio di settimane fa ho realizzato che la cosa che noi della Digital Fan Clubs sappiamo fare meglio è la cosa di cui i rifugiati hanno più bisogno.

Creando la Refugee Aid App – una fonte unica di informazioni e risorse e una singola interfaccia che le organizzazioni umanitarie possono usare per rendere le loro risorse disponibili – possiamo imbrigliare la nostra tecnologia per risolvere un enorme problema […].

Questa volta, i nostri clienti saranno i rifugiati e le organizzazioni umanitarie che li aiutano. Questa volta ci schieriamo con questa nuova ondata di esseri umani che sta arrivando sulle nostre spiagge, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità non perché lo vogliano, ma perché non hanno altro posto dove andare. Vogliamo aiutarli, perché tutti noi siamo stati aiutati”. 

Come molti di noi, Taylor è stata colpita dalle dimensioni e dalla drammaticità della crisi dei migranti. “Come americana, ho una percezione diversa della migrazione. Oggi, il 25 per cento della popolazione americana è composto da migranti o figli di migranti”, mi ha detto in un’intervista per TPI.

“Mi sono chiesta cosa potevo fare. Andare a Calais come volontaria? Ho una compagnia da gestire. Allora sono andata a seguire delle conferenze e quello che mi è saltato agli occhi è che c’è scarsa collaborazione e coordinazione”, mi ha detto Taylor.

La sua compagnia ha messo la propria esperienza e il proprio lavoro al servizio di una causa. Avendo la possibilità di creare rapidamente e con facilità delle app, ha realizzato una piattaforma di cui le stesse organizzazioni non governative (Ong) hanno ammesso di aver bisogno. Taylor ha ottenuto quindi l’approvazione di organizzazioni grandi e importanti come l’Unhcr e la Croce Rossa.

Comincia così la gestazione della RefAid. All’inizio di novembre la Taylor incarica i suoi sviluppatori di mettersi al lavoro sul nuovo progetto. Un progetto che non porterà alcun ricavo in termini economici ma che si deve fare perché avrà una ricompensa enorme in termini umani.

Le Ong possono inserire sulla piattaforma i servizi che offrono, indicando indirizzi, orari e altre informazioni utili. Finora, il territorio coperto è solo quello del Regno Unito e dell’Italia. In entrambi i paesi, diverse grandi Ong come la Croce Rossa e Save the Children hanno già aderito e inserito i loro servizi, ma RefAid punta a raccogliere un database il più completo possibile delle organizzazioni umanitarie grandi e piccole e dei servizi che offre ciascuna.

Taylor ha cominciato contattando le organizzazioni più grandi, quelle sulla cui affidabilità non sussistono dubbi. “L’abbiamo fatto perché operano in più paesi e pensavamo che potessero fornirci le informazioni su tutte le località in cui sono presenti”, spiega Taylor.

In realtà, Taylor ha dovuto ammettere di essere stata ottimista. Le filiali di ogni paese raramente si coordinano tra loro e ottenere un database transnazionale è risultato estremamente difficile: “A volte passano settimane prima che ci mandino un documento Excel con gli indirizzi e il tipo di servizio che forniscono”.

“Abbiamo cominciato contattando noi le organizzazioni, ma poi abbiamo cominciato a ricevere delle manifestazioni di interesse da varie organizzazioni. Per esempio, ieri sono stata contattata da un’organizzazione che lavora in Turchia. Sarebbe interessante se riuscissimo a coprire oltre l’Europa anche i paesi di prima accoglienza come la Turchia, la Giordania e il Libano”.

“Il problema restano i fondi. I miei investitori mi hanno appoggiato in questa sfida, ma le nostre risorse sono limitate e per fare un lavoro del genere ce ne vogliono molti”.

La Taylor aveva lanciato una campagna di raccolta fondi su Indiegogo, ma senza successo. Aveva quindi deciso di usare una quota dei ricavi della compagnia per finanziare questo progetto.

“Forse quando l’app sarà più conosciuta potremo riprovare a raccogliere donazioni. Abbiamo anche fatto domanda per delle sovvenzioni, ma questo tipo di finanziamenti hanno un iter burocratico piuttosto lungo e noi volevamo cominciare il prima possibile”.

“Quest’app potrebbe diventare la piattaforma dell’assistenza ai rifugiati e, potenzialmente, degli aiuti umanitari in generale”, dice ancora Taylor, “si tratta unicamente di informazioni autentiche e verificate, quindi lavoriamo solo con organizzazioni riconosciute e affidabili”.

Nella sezione loro dedicata, le Ong compilano i campi e inseriscono le informazioni relative ai servizi forniti. Hanno accesso a una mappa che gli consente di verificare la copertura su tutto il territorio.

Il fatto di vedere quali servizi sono disponibili dove (e da chi sono forniti) è una novità per i gestori degli aiuti umanitari e può migliorare la loro capacità di coordinamento. Per esempio, possono vedere quali servizi mancano su un dato territorio e provvedere a rimediare. 

Inoltre, quando l’app comincerà a essere scaricata dagli utenti, le organizzazioni saranno anche in grado di vedere in quale aree c’è una concentrazione di rifugiati che ha bisogno della loro assistenza.

Le Ong potranno anche inviare notifiche per segnalare ai migranti in viaggio situazioni particolari o di emergenza, come una tempesta.

L’interfaccia dell’app è molto semplice. L’utente può cercare i servizi per categoria (servizi legali e amministrativi; cibo; alloggio; acqua; servizi per famiglie con bambini; servizi per minori non accompagnati; servizi per le donne; strutture mediche; istruzione; bagni e docce) e individuarli su una mappa. 

L’app mostra i risultati nel raggio di 70 chilometri dal punto in cui si trova l’utente. Taylor mi spiega che l’app non mostra tutti i servizi disponibili sul territorio coperto dall’app perché legalmente né la piattaforma né le Ong possono dare informazioni che aiutino i rifugiati a muoversi da un paese all’altro.

Dal punto di vista dei migranti, il fatto di avere accesso a questo tipo di informazioni in modo indipendente, senza doversi affidare al passaparola, significa sentirsi più tranquilli, più sicuri, più indipendenti e, in fin dei conti, meglio accettati e accolti.

“Non so bene cosa provino queste persone nel corso del loro viaggio, ma immagino che una volta sbarcati si affidino a risorse come i gruppi Facebook, che non hanno la stessa immediatezza e precisione delle informazioni che possiamo fornire tramite la nostra app”.

Non tutti i paesi danno il benvenuto ai migranti, anzi, in Europa sono in molti a desiderare che le frontiere vengano chiuse. “Vista la moltitudine di rifugiati che approdano sulle sue coste, pensiamo di lanciare l’app in Grecia entro un paio di settimane, poi ci allargheremo ai Balcani, perché penso che in quella regione abbiano ricevuto un trattamento davvero duro, e speriamo che infine riusciremo a coprire tutta l’Europa”.

Il progetto di RefAid è ancora in divenire. Più organizzazioni aderiranno alla piattaforma, più informazioni saranno rese disponibile e maggiore sarà l’impatto sui migranti. La speranza è che i rifugiati che scaricheranno questa app si troveranno tra le mani uno strumento facile da usare ed efficiente per semplificare un viaggio di per sé problematico. L’app, per il momento in inglese, sarà presto disponibile anche in arabo.

ABBIAMO PROVATO QUESTA APP, ECCO I RISULTATI 

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