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Home » Esteri

Quello che deve cambiare per risolvere il conflitto israelo-palestinese

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L'analisi di Alon Ben-Meir sul processo di riconciliazione necessario a riavviare i negoziati e sul ruolo degli Stati Uniti e dell'Unione Europea

L’invito a immaginare un nuovo approccio per risolvere il conflitto israelo-palestinese lanciato dal senatore Bernie Sanders durante le primarie era tanto brillante quanto necessario.

S&D

Tuttavia, il suo appello perché gli Stati Uniti adottino una politica più equa nei confronti di Israele e dei palestinesi non sarà sufficiente. 

In effetti, anche se la prossima amministrazione cambiasse l’approccio e costringesse Israele a cedere su alcuni punti e fermare l’espansione degli insediamenti, ciò non produrrebbe le condizioni necessarie a stringere la pace in questo particolare frangente del conflitto.

Inoltre, ogni nuovo tentativo dell’Unione Europea durante gli attuali incontri dell’Assemblea generale dell’Onu di riprendere i colloqui nel modo tradizionale, direttamente e attraverso una mediazione, non condurrà ad alcun accordo, non importa quali incentivi o pressioni vengano usate per persuadere Israele e i palestinesi a riprendere i negoziati con convinzione.

Il processo di riconciliazione

I negoziati formali devono essere preceduti da un processo di riconciliazione che duri circa due anni, perché dagli Accordi di Oslo la situazione sul terreno è drammaticamente cambiata in peggio. 

Per quanto riguarda i palestinesi, la disperazione si è fatta largo, mentre si è approfondita la diffidenza reciproca e gli estremisti su ambo i lati hanno guadagnato terreno.

Inoltre è importante notare che il panorama politico è andato verso destra in entrambi i campi, rendendo sempre meno probabile riprendere i colloqui di pace con la reale prospettiva di raggiungere un accordo.

Non c’è dubbio che gli atti di violenza da parte dei palestinesi contro gli israeliani sono il risultato diretto di cinquant’anni di occupazione che continua a frustrarli e a incitarli.

Di conseguenza, i palestinesi pensano di nonaver altra opzione che ricorrere alla violenza per mettere fine all’occupazione e aprire la strada alla creazione del loro stato in Cisgiordania e Gaza.

Dal canto loro, gli israeliani sentono di non potersi fidare dei palestinesi. La Seconda Intifada, in particolare, è stato un momento di svolta per la gran parte degli israeliani, un evento che ha aumentato la diffidenza e esagerato le loro preoccupazioni sulla sicurezza nazionale.

Sfortunatamente, i vari governi israeliani di centro-destra, e specialmente quelli guidati da Netanyahu, hanno sfruttato queste preoccupazioni per sottrare territori ai palestinesi, espandere gli insediamenti e costruirne di nuovi per creare i cosiddetti “confini sicuri”.

Misure per la riconciliazione dei due popoli sono essenziali per creare terreno fertile per i negoziati e cambiare le dinamiche del conflitto.

Queste misure dovrebbero comprendere, tra le altre, iniziative per facilitare le visite reciproche tra le due comunità, per creare un attivismo femminile comune, per promuovere eventi sportivi e mostre d’arte itineranti, per incoraggiare le interazioni tra gli studenti e il dibattito pubblico, per istituire forum di discussione sulle questioni in conflitto, e anche pregare i media di promuoverle.

Altre iniziative possono essere prese dai leader di entrambe le parti, come smettere di usare narrative che fomentano l’odio, modificare i libri scolastici, evitare azioni provocatorie (ad esempio interrompere l’espansione degli insediamenti nel periodo della riconciliazione) e mantenere una stretta collaborazione in materia di sicurezza.

Queste misure sono fondamentali per cambiare le dinamiche psicologiche del conflitto e l’ambiente sociopolitico mitigando il problema della diffidenza reciproca e della sicurezza nazionale, e combattendo l’illusione che una delle due parti possa ottenere il controllo di tutta la Palestina.

Solo aderendo a questo processo entrambe le parti dimostreranno il loro impegno verso la pace, cosa che è mancata eppure è fondamentale per fare le concessioni necessarie, da un lato e dall’altro, a raggiungere un accordo.

Il ruolo degli Stati Uniti e dell’Unione Europea

Mentre si instaura il processo di riconciliazione, gli Stati Uniti e l’Ue devono fare ogni sforzo per rinvigorire l’Iniziativa di pace araba (Api) e convincere sia Israele che Hamas a sottoscriverla.

L’Api resta l’unico piano praticabile per la pace, dato che comprende denominatori comuni tra Israele e i palestinesi (inclusa Hamas) che faciliteranno il successo dei negoziati.

Inoltre, l’Api è l’unico quadro di riferimento che porterà a un accordo di pace israelo-palestinese nel più ampio contesto di una pace arabo-israeliana, cosa che auspicano la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi per poter finalmente raggiungere stabilità e progresso.

Infine, la corrente situazione di subbuglio in Medio Oriente offre in realtà un’opportunità per risolvere il conflitto israelo-palestinese, dato che il mondo arabo è più interessato che mai a stringere la pace con Israele per fare fronte comune contro l’Iran e affrontare la violenta rivalità tra i sunniti e gli sciiti per l’egemonia sulla regione.

Gli Stati Uniti e l’Ue (i soli a poter mettere fine al conflitto) e gli israeliani di orientamento moderato devono approfittare di questa finestra di opportunità e mettere fine al più lungo e al più debilitante conflitto violento della storia moderna.

L’invito del presidente russo Putin perché Netanyahu e Abbas si rechino a Mosca (invito che entrambi hanno accettato) non ha rilevanza e non produrrà nulla. Per Putin, tale invito offre l’opportunità di insinuarsi del vuoto lasciato dal disimpegno americano. Per Netanyahu, servirà a dimostrare, falsamente, che è devoto alla causa della pace. E per quanto riguarda Abbas, semplicemente non vuole essere additato come quello che oppone resistenza.

Dato che gli Stati Uniti erano e sono il giocatore di primo piano, né Netanyahu né Abbas possono permettersi di ignorarli. 

La nuova amministrazione deve sostenere l’Iniziativa francese, che è rivolta a convenire una conferenza internazionale per riprendere i negoziati di pace, e cambiare il suo approccio nella ricerca di un accordo di pace basato sulla soluzione dei due stati.

Non c’è dubbio che gli Stati Uniti debbano avere un atteggiamento più assertivo nei confronti di Tel Aviv, soprattutto dato che sono sinceramente preoccupati dalla sicurezza di Israele.

L’accordo per erogare a Israele 38 miliardi di dollari in aiuti militari su un periodo di 10 anni è senza precedenti e non lascia dubbi circa l’impegno americano in questo senso.

La prossima amministrazione dovrà impedire a Israele di perseguire politiche che sono deleterie e convincerlo a impegnarsi seriamente nel processo di riconciliazione che Netanyahu e Abbas, i quali professano entrambi di essere alla ricerca di una soluzione sulla base dei due stati, non potranno respingere.

A questo proposito, l’Ue è nella posizione di incoraggiare il processo di pace concentrandosi sulla riconciliazione e dando il tempo alla nuova amministrazione di unirsi all’Iniziativa francese, che è in linea con la posizione tradizionale degli Stati Uniti.

La nuova amministrazione, insieme all’Ue, deve inoltre mettere in chiaro che la soluzione dei due stati fornisce, più di ogni altra misura, la garanzia ultima della sicurezza nazionale di Israele e al contempo della creazione di uno stato indipendente dove i palestinesi possano vivere dignitosamente.

Dopo 70 anni di conflitto violento, è arrivato il momento di cambiare le condizioni infernali che israeliani e palestinesi hanno creato per se stessi prima che ne vengano consumati. A Thomas Hobbes si attribuiscono le parole “l’inferno è la verità appresa troppo tardi”.

— L’analisi di Alon Ben-Meir, professore di relazioni internazionali alla New York University ed esperto di Medio Oriente 

— Traduzione a cura di Paola Lepori

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