Le tradizionali case-torri dello Yemen che resistono alla guerra
Il conflitto in corso da un anno ma non sembra aver intaccato il fascino dell'antica arte di costruire mattoni di fango, ancora radicata nella cultura yemenita
“In tutto lo Yemen non c’è una palma, ma si sente una fantasticità più profonda, che viene da quella sua miserabile architettura tutta in verticale, di case alte e povere, l’una a fianco dell’altra nelle anguste stradine. Lo Yemen è il paese più bello del mondo. Sana’a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere, senza San Marco e senza la Giudecca: una città-forma, una città la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incomparabile disegno. Una delle poche città-forma che un urbanista dovrebbe conservare intatta nell’esterno, rifacendone solo gli interni.”
Così descriveva lo Yemen lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, che nella capitale yemenita girò un documentario dal titolo “Le mura di Sana’a” e lo utilizzò per lanciare un appello all’Unesco per salvare il paese dalla capillare modernizzazione. Questo nel 1971.
Oggi lo Yemen sta vivendo una situazione di squilibrio sociale, politico ed economico a causa della guerra scoppiata all’inizio del 2015 tra forze governative e ribelli sciiti Houthi, che ha provocato una frammentazione del paese e ha alimentato una grave crisi umanitaria. In questo contesto, i militanti del sedicente Stato islamico hanno approfittato del caos per condurre una serie di attacchi mortali in tutto il paese.
Lo Yemen è uno dei paesi più poveri al mondo, ma un tempo era la terra favolosa del regno di Saba, ricco per il commercio dell’incenso e della mirra che si producevano solo in un ristretto territorio nel sud della penisola arabica. A fare da cornice, la vecchia città di Sana’a, con il suo intrico di case-torri cresciute in funzione delle necessità delle famiglie che le hanno abitate e innalzatesi man mano che le generazioni si sono moltiplicate.
Racchiusa in gran parte dalle mura risalenti al X secolo, Sana’a è tagliata a metà dallo Wadi Sayla che a seconda delle stagioni è una via di scorrimento per il traffico cittadino, ma con le piogge si trasforma in un fiume d’acqua impetuoso.
Sana’a è una delle città più antiche al mondo, fondata secondo la leggenda da Sem, il figlio di Noè. Caratterizzata dalle case-torri e da una grande varietà di forme e motivi che decorano le finestre e le porte e dominano le architetture di tutto il paese.
Per le sue bellezze architettoniche, oltre alla capitale Sana’a occorre annoverare anche la città di Shibam, nel sud del paese. All’interno della cinta muraria che circonda la città vecchia, si affollano in appena mezzo chilometro quadrato oltre cinquecento case-torri, gran parte delle quali risalgono al XVI secolo: costruite in mattoni di fango su basamenti di pietra, contano fino a nove piani, superando i 30 metri di altezza.
Proprio queste tradizionali case-torri in mattoni e fango sono sempre state una fonte d’orgoglio per il popolo yemenita. Lo sono ancora di più oggi, per un paese devastato da una guerra civile che dura da oltre un anno. Un lavoro che sta ritornando necessario nell’antica capitale yemenita, come ha raccontato Alì al-Sabahi all’agenzia di stampa Reuters, che supervisiona il lavoro degli operai impegnati nel processo di costruzione di questi edifici.
Mentre i lavoratori sono impegnati nel mescolare l’argilla con la paglia, insieme allo sterco di animale e all’acqua, Alì racconta nei dettagli come avviene la realizzazione dei mattoni di fango. Una volta amalgamate le materie di base, il composto viene fatto asciugare al sole per diversi giorni prima di utilizzare degli stampi quadrati, necessari per imprimere la forma.
Dopo il processo di essiccamento, i mattoni ottenuti vengono infornati e fatti cuocere ad alte temperature per un lungo periodo di tempo. Una volta pronti, vengono impiegati per realizzare le tradizionali case-torri divenute patrimonio mondiale dell’Unesco.
Nonostante la guerra, i mattoni di fango dello Yemen continuano a essere realizzati e rappresentano ancora un’opportunità di impiego. Ibrahim al-Omari ha descritto il suo lavoro di operaio all’interno di una fabbrica di mattoni, grazie al quale riesce a supportare la sua famiglia con il suo salario mensile.
“Questo lavoro non ha bisogno di un certificato o di una qualifica, ha bisogno di muscoli perché uno riesca a essere in grado di lavorare qui. Lo abbiamo ereditato dalle generazioni passate questo lavoro. Io sono impiegato qui da quando avevo 12 anni, e ne sono trascorsi 13”.
La distruzione provocata dalla guerra non sembra aver intaccato il fascino dell’antica arte che rimane ancora profondamente radicata nella cultura yemenita. “La flessibilità del mattone e la facilità di essere personalizzato con delle forme geometriche e decorazioni richiama ancora l’interesse dei costruttori”, ha precisato un altro operaio impiegato nella realizzazione dei mattoni.
Attraverso gli sforzi di questi lavoratori e delle fabbriche di mattoni che ancora sopravvivono, le città-torri yemenite riescono a mantenere la bellezza distintiva che le caratterizza, con le loro mura color ocra ambrate e il loro bianco brillante che si riflette al tramonto, ancora per tante generazioni a venire.