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La coltivazione abusiva di olio di palma in Indonesia

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La campagna di Greenpeace contro il governo indonesiano per impedire la distruzione delle foreste tipiche, al posto delle quali nascerebbero coltivazioni d'olio di palma

In alcune delle aree dell’Indonesia appena colpite dagli incendi nella regione del Kalimantan, vicino al confine con la Malesia, sono partite nuove coltivazioni di olio di palma. Greenpeace ha lanciato l’allarme a livello globale, sottolineando che sui terreni dove qualche mese fa si trovavano le torbiere tipiche del Paese oggi ci sono campi a coltivazione intensiva.

Il governo indonesiano si rifiuta di pubblicare le mappe che dovrebbero mostrare quali sono gli ettari di terreno venduti – e utilizzabili quindi per le coltivazioni – e quali invece dovrebbero essere le aree ambientali protette. Questo rende impossibile determinare se le nuove piantagioni siano illegali o meno.

L’organizzazione per la salvaguardia dell’ambiente ha intrapreso una campagna per chiedere al governo locale di impedire che venga tratto profitto dalla distruzione di foreste e torbiere, che ha provocato un’emergenza sanitaria e ambientale nel Paese e che potrebbe aver ripercussioni sul cambiamento climatico globale.

A ottobre 2015 la Commissione anti-corruzione ha riferito che la deforestazione illegale in dieci anni è costata all’Indonesia nove miliardi di dollari in royalties del legno perdute.

Dall’inizio dell’estate, con l’arrivo della stagione secca, in Indonesia sono scoppiati numerosi focolai di incendio, che a novembre non si sono ancora estinti. La situazione è stata aggravata dal fenomeno climatico periodico di El Niño, che si verifica ogni cinque anni nell’area dell’Oceano Pacifico e porta siccità. 

Il ritardo dell’avvento delle piogge ha determinato un ulteriore accumularsi dei fumi degli incendi, che stanno avvolgendo la zona del Kalimantan, causando migliaia di vittime.

Secondo Greenpeace ogni anno, nella stagione secca, circa 110mila persone perderebbero la vita in Indonesia in seguito a complicazioni alle vie respiratorie. Insieme a loro, anche la fauna del Paese sarebbe fortemente colpita dai disastri provocati dagli incendi.

Un terzo della popolazione di orango esistenti al mondo sarebbe stato decimato proprio a causa delle fiamme, che hanno progressivamente distrutto gran parte del loro habitat, che ora è a rischio d’estinzione.

Il rischio ambientale causato da deforestazione e incendi, secondo Greenpeace, è altissimo in tutto il mondo perché, come spiega la responsabile della Campagna foreste Martina Borghi, “le torbiere sono un enorme magazzino di carbonio e quando vengono drenate per essere coltivate rilasciano nell’atmosfera una grande quantità di CO2 che va ad influire sui cambiamenti climatici”.

L’Indonesia starebbe per sostituire gli Stati Uniti nella classifica dei Paesi con le più alte emissioni di carbonio proprio a causa della deforestazione. 

Per queste ragioni Greenpeace insieme a WWF e ad altre organizzazioni internazionali e locali hanno istituito il Palm Oil Innovation Group, che ad aprile 2014 ha rilasciato la proposta di nuovi standard da mantenere per coltivare l’olio di palma, che abbatterebbero l’impatto sull’ambiente.

Una monocoltura intensiva come quella della palma, se non ben regolamentata, comporta infatti rischi molto alti. L’operazione di drenaggio delle torbiere lascia il terreno acido e molti agricoltori lo rendono più fertile dando fuoco alle sterpaglie. Questa operazione, a lungo andare, lascia però la zona più sterile che in precedenza, oltre a ingigantire il rischio di incendi incontrollati.

L’Associazione indonesiana di produttori di olio di palma ha reagito alle accuse affermando che l’industria dell’olio di palma sarebbe vittima di una campagna diffamatoria. Secondo il portavoce, gli incendi sarebbero stati orchestrati per danneggiare l’immagine dell’industria dell’olio di palma in Indonesia. 

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