I posti vuoti nelle foto di famiglia dei profughi siriani
Un fotografo italiano ha realizzato un progetto in cui alcune famiglie siriane di un campo profughi in Libano hanno posato rivelando l'assenza dei familiari dispersi
Il fotoreporter italiano Dario Mitidieri ha recentemente
realizzato il progetto fotografico Lost Family Portraits, promosso dall’agenzia pubblicitaria M&C Saatchi con lo
scopo di sostenere la Cafod, l’organizzazione ufficiale della Chiesa cattolica
in Inghilterra e Galles.
Recatosi in un campo profughi nella valle di Beeka, in Libano, Mitidieri
ha cercato nuclei familiari di rifugiati siriani disponibili ad essere ritratti, e ha realizzato delle foto di famiglia allo stesso tempo tradizionali e sconvolgenti.
Lo scopo del progetto è infatti mostrare la devastazione che la
guerra impone non solo alle città o agli stati, ma anche alle singole vite di
ogni persona coinvolta.
In questo caso, l’espediente utilizzato è stato far
posare le famiglie come per un ritratto di famiglia classico, ma con l’accortezza
di lasciare uno spazio vuoto nel gruppo, a significare l’assenza di un familiare morto o disperso a causa della guerra.
“Si tratta di famiglie come la vostra e la mia” – dice
Mitidieri, che è padre di quattro figli – “Ci sono una madre e un padre, e
ci sono i bambini. Solo che per queste famiglie, a causa della guerra, alcune
di queste persone sono assenti”.
I set scelti da Mitidieri per gli scatti vogliono dare non solo un
quadro della famiglia ritratta, ma anche suggerire la loro attuale condizione
di profughi, visto che l’inquadratura è volutamente estesa oltre i confini del
telo di sfondo e va a includere i dettagli del campo e delle montagne siriane
in lontananza.
Se quindi solitamente una foto di famiglia si fa in occasione di
eventi piacevoli, questa volta i membri sopravvissuti sentivano tutto il peso
dell’assenza dei loro cari.
“La gente mi diceva”, dichiara Mitidieri al Guardian, “come possiamo essere felici se
mancano coloro che amiamo? Gli sembrava che la foto sottolineasse la perdita,
ma era quello che stavamo cercando di fare: rendere gli altri consapevoli di
ciò che sta accadendo, non solo a queste famiglie, ma a centinaia di migliaia
di altre persone”.
Secondo il fotografo italiano, in un ambiente mediatico in cui la
guerra è spesso mostrata in tutta la sua ferocia, forse questo genere
particolare di fotografia di guerra può essere più utile, volto non a
impressionare lo spettatore, ma a coinvolgerlo emotivamente mostrando le tragedie nascoste nella quotidianità.
Su TPI, alcuni degli scatti di questo potente progetto.