La storia degli ultimi mongoli che usano le aquile per cacciare
Si chiamano burkitshi. Sono mongoli d'etnia kazaka. La loro tradizione ha origine millenarie, ma ora ne rimangono solo 60
La caccia con l’aquila è un’antica tradizione della Mongolia risalente al 940 d.C che sta scomparendo. Viene praticata dai Kazaki, un gruppo etnico di cui in Mongolia fanno parte 100mila persone e che rappresenta la minoranza più consistente del Paese.
Vivono principalmente nella desolata parte occidentale, attorno ai Monti Altai, che si estendono dalla Cina alla Siberia passando per Mongolia e Kazakistan e in cui le temperature invernali possono raggiungere anche i 40 gradi sotto zero. È in questo territorio che si possono trovare gli ultimi burkitshi, il termine kazako per indicare i cacciatori con le aquile.
Il fotografo australiano Palani Mohan ha trascorso anni con i cacciatori per documentare la loro storia, raccontata per immagini nel libro Hunting with Eagles. In un’intervista all’Abc news Mohan ha raccontato la sua esperienza e la storia di questo mondo fuori dal tempo.
“La stagione della caccia è l’inverno, quando la distesa di neve impedisce a volpi e lupi di nascondersi. Così, quando i primi fiocchi iniziano a cadere, i burkitshi lasciano le loro case e si dirigono a cavallo verso le montagne, tenendo sul braccio le loro aquile, che possono raggiungere fino agli otto chili. I cacciatori rimasti sono circa 60 e sono sempre più anziani, anche perché o giovani non sembrano così attratti da quel solitario e freddo modo di vivere. Ogni inverno qualcuno muore per il gelo. Orazhkan Shuinshi è il cacciatore più anziano. Ha 92 anni, è cieco e sordo, e non ha problemi ad ammettere che nell’arco di una generazione la millenaria tradizione di cui fa parte scomparirà”.
(Ha collaborato Mattia Deidoné)