A bordo di una nave di salvataggio nel Mediterraneo
Le immagini delle operazioni di soccorso dei migranti alla deriva nelle acque tra la costa libica e quella italiana
Il Mar Mediterraneo è sempre stato un bacino particolarmente trafficato, il piccolo mare chiuso che ha visto Fenici, Greci, Arabi, flotte di turisti e tanti altri solcare le sue acque.
Oggi il Mediterraneo è diventato sinonimo tanto di speranza quanto di disperazione. Bisogna essere disperati per salire a bordo di imbarcazioni fatiscenti e gommoni sovraffollati, eppure bisogna anche avere fede e aggrapparsi alla speranza che dall’altra parte del mare ci sia qualcosa di meglio.
La marina, la guardia costiera, le organizzazioni non governative pattugliano le acque del Mar Mediterraneo per intercettare le imbarcazioni provenienti dalle coste nordafricane e dirette su quelle europee.
Tra i vascelli impegnati in queste operazioni di solidarietà umana c’è la Topaz Responder della Migrant Offshore Aid Station (Moas, fondata a Malta dai coniugi Catrabona nel 2014) che ha lanciato un’operazione congiunta con l’agenzia umanitaria italiana Emergency.
La Topaz Responder è partita da Malta circa un mese fa e dopo qualche giorno le è arrivata una richiesta di collaborazione da parte del Centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio di Roma.
A bordo, si è imbarcato anche un fotografo dell’agenzia di stampa Reuters, Darrin Zammit Lupi, che ha prodotto un fotoreportage sulla missione di salvataggio in cui è impegnata la nave della Moas.
I migranti che si imbarcano sulle coste libiche provengono per lo più dall’Africa subsahariana. Quando si imbarcano su gommoni e battelli dall’aria fragile e consunta, insieme a decine se non centinaia di altre persone hanno paura, molta paura.
Essere intercettati dalle navi che pattugliano il Mediterraneo e trasferiti sui loro ponti solidi e sicuri è quasi un sollievo.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) quest’anno sono sbarcati sulle coste europee oltre 225mila migranti, ma quasi 2.900 persone hanno perso la vita durante la traversata.
Col bel tempo, i trafficanti di persone salpano più frequentemente con il loro carico di vite e così anche il lavoro dei soccorritori aumenta e richiede che le navi della marina, quelle della guardia costiera e quelle delle Ong siano costantemente in contatto e coordinino gli interventi.
Una volta localizzati e trasferiti a bordo, operazioni non sempre semplici, i migranti hanno invariabilmente bisogno di assistenza medica e spesso tra di loro vi sono anche bambini, neonati e donne incinte.
Il loro viaggio non è finito, una volta sbarcati sulle coste europee, o meglio su quelle italiane, il loro futuro è ancora incerto.